Carissime lettrici e carissimi lettori,
cominciamo dai bambini e dalle bambine. Iniziamo dall’accettazione, dalla non discriminazione. Partiamo dal combattere ogni tipo di razzismo che include, ma non è l’unico elemento, il pigmento diverso della pelle degli umani, unica razza ammissibile su questo pianeta, su Gaia, un nome che, per la sua implicita bellezza, può illudere di avere improvvisamente e magicamente cancellato ogni guerra sul pianeta che ci ospita.
Eppure mai come in questo periodo tra sovranismi, muri, ossessione di patrie e nazioni, mari trasformati in cimiteri, genitori che contano solo per l’appartenenza sessuale e non per l’amore che devono dare alle figlie e ai figli, è presente il concetto di razzismo che divide, istiga di per sé all’odio, commette intrinsecamente ingiustizia.
Questa settimana, dedicata alla lotta contro il razzismo, l’abbiamo colmata di riflessioni, di discorsi che indicano la causa, il significato dell’esclusione, dell’ingiustizia e, di conseguenza, della sofferenza di tante persone, uomini, donne, bambine e bambini.
Toponomastica femminile ha dato vita, a questo proposito, a una maratona on line con un titolo affascinante: Senso di marcia, per coglierne la molteplicità degli aspetti, la diversità degli sguardi sul mondo. Iniziata lunedì è ancora in corso e durerà fino a domani, domenica, disponibile su You Tube (link). Il progetto è stato finanziato, con un contributo statale, dall’Unar, l’Ufficio nazionale per l’antidiscriminazione razziale e per l’eliminazione delle differenze. L’Ufficio è stato istituito nel 2003 in seguito a una direttiva comunitaria «che impone a ciascun Stato Membro di attivare un organismo appositamente dedicato a contrastare le forme di discriminazione».
È interessante sapere, proprio riguardo all’Unar, che attraverso questo ufficio lo Stato garantisce, anche in consonanza con i principi della Costituzione, il diritto alla parità di trattamento di tutte le persone, «indipendentemente dalla origine etnica o razziale, dalla loro età, dal loro credo religioso, dal loro orientamento sessuale, dalla loro identità di genere o dal fatto di essere persone con disabilità. Garantisce l’applicazione del principio di parità di trattamento fra le persone e contrasta il diffondersi di fenomeni discriminatori, assistendo le vittime, controllando l’efficacia degli strumenti di tutela esistenti e analizzando le forme e le dinamiche di manifestazione del fenomeno». L’Unar fa anche altro: «Raccoglie segnalazioni e fornisce assistenza concreta alle vittime di discriminazione attraverso un Contact Center dedicato (numero verde 800.90.10.10 con servizio gratuito multilingue), svolge inchieste sull’esistenza di fenomeni discriminatori nel rispetto delle prerogative dell’autorità giudiziaria, formula pareri e raccomandazioni sui casi di discriminazione raccolti, svolge studi, ricerche e attività di formazione su cause, forme e possibili soluzioni del fenomeno discriminatorio, informa il Parlamento e il Governo attraverso due relazioni annuali sui progressi e gli ostacoli dell’azione antidiscriminazione in Italia, promuove una cultura del rispetto dei diritti umani e delle pari opportunità. Elabora proposte di strategie di intervento in ambiti di discriminazione, volte a garantire un’effettiva integrazione sociale delle categorie interessate».
Le cronache di questi giorni parlano fortemente di discriminazione. Ma purtroppo se ne fa un pretesto per uno scontro ideologico e non per trovare soluzioni di accoglienza.
Abbiamo parlato di bambine e bambini, di diritti violati, di un tema che rientra in pieno e che coincide con la discriminazione sottolineata e combattuta ricordandone le varie forme in questa settimana contro il razzismo e, appunto, le discriminazioni legate alle minoranze, non solo razziali. In un’intervista la filosofa Michela Marzano ha commentato la situazione dei tanti ragazzi e delle tante ragazze figlie e figli delle famiglie omogenitoriali. Tanti sono stati i sindaci e le sindache, fra cui il sindaco di Milano Giuseppe Sala, che li hanno riconosciuti registrandoli all’anagrafe con il nome e il cognome dei due genitori siano questi due uomini o due donne: «Il sindaco Sala ha semplicemente mostrato l’esistenza di un vero problema – ha detto Marzano –. È un problema che possano oggi esistere dei bambini e delle bambine, dei ragazzi e delle ragazze che non siano considerati uguali di fronte alla legge. C’è chi nasce in famiglie eterosessuali e ha determinati diritti in quanto figli e figlie, bambini e bambine, in quanto minori. Invece c’è chi nasce e vive in altre famiglie, nelle famiglie omogenitoriali e non gode esattamente degli stessi diritti. Ora, devo dire che questa è una situazione estremamente ingiusta perché, tralasciando le modalità attraverso le quali questi bambini o queste bambine nascono, cosa che riguarda le scelte genitoriali, dobbiamo pensare a loro come minori, come dei bambini/e più o meno piccoli/e, degli e delle adolescenti, giovani che non possono avere le stesse protezioni e gli stessi diritti degli altri. Questo è qualcosa di inaccettabile in uno Stato come il nostro, l’Italia. La cosa è già diversa in Francia (dove la filosofa vive da tempo n.d.r.) e in tanti altri paesi europei. La situazione dell’Italia è paragonabile soltanto a quella dell’Ungheria e della Polonia. Una situazione del tutto ingiusta perché non si capisce per quali motivi dei bambini e delle bambine debbano subire delle scelte ideologiche, il rifiuto da parte di un pezzo del mondo politico e debbano essere trattati come dei cittadini/e di serie B. Questa è la questione che hanno messo in evidenza tanti/e sindache e sindaci che possiamo dire illuminati/e, che hanno sentito la necessità di trascrivere all’anagrafe i certificati, per poter proteggere questi bambini e queste bambine. Il Parlamento si deve esprimere chiaramente su questo problema che ci porta indietro. All’attivazione della legge sulle unioni civili era stato promesso a questi bambini e a queste bambine che si sarebbe fatto qualcosa per loro e questo qualcosa per loro non è stato fatto. C’è un vuoto legislativo». Infatti, i rischi sono evidenti. Se nella vita a qualcuno di questi ragazzi/e va male qualcosa, muore la parte genitoriale riconosciuta dalla legge, il /la minore non può appoggiarsi all’altra madre o padre e di fatto si allontana dalla sua famiglia reale e rischia persino l’affidamento a qualche istituto.
Parlare di discriminazioni porta, sempre rimanendo nella cronaca più attuale, a parlare del modo sessista e davvero poco inclusivo con il quale ci si rivolge alle donne penalizzandole rispetto a un mondo macho non ancora pronto a un passaggio d’uguaglianza.
Orribile che una persona che rappresenta il Governo, un sottosegretario, e per di più alla Cultura (!), un critico d’arte, Vittorio Sgarbi, si sia espresso così pesantemente sulle donne, giovanissime, includendole tutte come professioniste del mercimonio del proprio corpo. Non pago e fingendo le scuse (ma aggiungendo che le faceva ai moralisti e, ma non lo ha detto, alle moraliste) voleva ripeterlo ancora sottolineando così il concetto arcaico della donna, soprattutto se giovane, come essere di solo sesso. Tutto ciò durante un’intervista in una trasmissione della domenica pomeriggio e sul canale principale della televisione pubblica (dobbiamo dire di Stato o della Nazione?!).
Si continua, purtroppo. Sempre dalla politica (che dovrebbe dare un viatico di comportamento). Se nei paesini del nuorese non nascono più tanti bambini come una volta il problema è risolvibile. Ci pensa un sindaco macho, quanto misero e, aggiungerei, banale nella sua volgarità ai minimi termini. iIl sindaco in questione invita (si fa per dire!) le donne locali (giovani e fertili, come in una monta?!) a passare da lui in ufficio, una ogni tre ore… Da schifo (e non mi scuso della parola!). Attore di questa ulteriore fanfaronata è Pierpaolo Sau, 60 anni, primo cittadino di Tonara nel Nuorese che, come ormai sembra essere diventata una prassi, ha scritto la sua bravata sessista sulla sua pagina social per poi cancellarla dopo la bufera chiaramente avvenuta!
Se parliamo di giornalismo guardiamo al ruolo delle donne in questa professione che vede sempre gli uomini ai vertici (da poco si contano donne a dirigere giornali e telegiornali).
Giulia è un nome femminile bellissimo e antico legato per tanti versi alle donne della Roma di secoli fa. Il significato in latino è colei (o colui) che discende da Giove o è devoto/a a Giove (mentre in grecoιουλος rinviava addirittura alla lanugine della barba maschile). Il nome rimanda alla Gens Iulia, grande famiglia con capostipite Giulio Cesare e alla ribelle figlia di Augusto che sapeva tenere testa al padre imperatore e che passò alla Storia come la prima femminista, nonché alla martire cristiana originaria di Cartagine vissuta tra il 420 ed il 450 d.C., e morta in Corsica. Le reliquie oggi sono custodite nel maestoso complesso monastico di Santa Giulia a Brescia (antica Brixia).
Ma G.i.u.l.i.a è anche l’acronimo di un’associazione di giornaliste. GiULia (acronimo di GIornaliste Unite LIbere Autonome) è nata nel 2011 e le iscritte all’associazione risiedono in tutta Italia. «Nota anche come: Giulia Giornaliste, l’associazione si pone due obiettivi principali, sui media e nei media: modificare lo squilibrio informativo sulle donne anche utilizzando un linguaggio privo di stereotipi e declinato al femminile; battersi perché le giornaliste abbiano pari opportunità nei luoghi di lavoro, senza tetti di cristallo e discriminazioni» come detta la presentazione sul sito.
Da due anni (dal 2020) a cura di Sui generis della parte lombarda dell’associazione è redatta una rassegna mensile (l’analisi è settimanale), che esamina un gruppo di quotidiani ((il Corriere della Sera, La Repubblica, La Stampa, Il Giornale, Il Messaggero, Avvenire, Domani, il Fatto quotidiano, Il Manifesto, Il Sole 24 ore, Qn, La Verità, Libero, La Gazzetta dello Sport, Tuttosport) con l’occhio alla presenza femminile. secondo una lente quantitativa e qualitativa. Vengono contate le firme, editoriali e interviste, vengono esaminate le notizie che parlano di donne. Ogni settimana una squadra composta da Gegia Celotti, Barbara Consarino, Laura Fasano, Paola Rizzi, Luisella Seveso, Maria Luisa Villa, Caterina Caparello legge in un’ottica di genere i giornali. I risultati sono sempre interessanti. Per esempio nella settimana dal 27 febbraio al 4 marzo sui principali giornali italiani ci informano che c’erano in prima pagina 843 firme di uomini e 254 di donne. Gli Editoriali e i commenti in prima pagina erano 147 scritti dagli uomini e solo 37 quelli delle colleghe. Le interviste sono state fatte a ben 182 uomini mentre solo 62 a personaggi femminili. Anche i giornali e il giornalismo devono fare ancora molta strada per un vero pareggio di genere!
Una poesia che ci fa pensare a una donna e molto amata. A scriverla è Fernando Antonio Nogueira Pessoa (Lisbona 13 giugno 1888. morto a soli 47 anni, a causa di problemi epatici, sempre a Lisbona il 30 novembre del 1935) è l’autore della poesia che vi dedico oggi. Una poesia d’amore e di ricordo dell’amore. Pessoa è stato un importante poeta, scrittore e aforista ed è considerato uno dei maggiori poeti di lingua portoghese. Basti pensare che per il suo valore è comparato a Camões, che è il padre della letteratura portoghese. Fernando Pessoa ha vissuto in Sudafrica per molti anni, perciò si dice che l’inglese abbia giocato un ruolo fondamentale nella sua vita: «Traduceva, lavorava, scriveva, studiava e perfino pensava in inglese».
Fu un momento
Fu un momento
quello in cui posasti
sul mio braccio,
in un movimento
più di stanchezza
che di pensiero,
la tua mano
e la ritirasti.
Sentii o no?
Non so. Ma ricordo
e sento ancora
qualche memoria
fissa e corporea
ove posasti
la mano che ebbe
qualche senso
incompreso,
ma tanto lieve!…
Tutto questo è nulla:
su una strada però
com’è la vita
c’è molto
d’incompreso…
Che so io se quando
la tua mano
sentii posarsi
sul mio braccio,
e un poco, un poco,
sul cuore,
non ci fu un ritmo
nuovo nello spazio?
Come se tu,
senza volerlo,
mi toccassi
per dire
qualche mistero,
improvviso ed etereo,
che neppure sapevi
dovesse esistere.
Così la brezza
dice sui rami
senza saperlo
un’imprecisa
cosa felice”.
(Fernando Pessoa)
Questo numero monografico di Vitaminevaganti è dedicato al progetto Senso di marcia nell’ambito delle attività della XIX settimana contro il razzismo. Il filo rosso che lega molti articoli è quello dell’accoglienza. Accoglienza, «termine avvolgente, che esprime una modalità di relazione fra gli esseri viventi e non solo. Ossia la capacità di creare empatia, di percepire e accettare l’altra/o nella sua complessità: un coacervo di bisogni, luci e ombre, fragilità, ricchezza d’animo, talenti, saperi … Inoltre impone la pratica di un linguaggio lontano dalla violenza e dalla volgarità, contenuto per esempio nel verbo rottamare». Così si esprime un’emigrante di lusso nel prezioso articolo che riflette sui tanti temi legati a questa bellissima parola.
Di linguaggio dell’accoglienza e della Carta di Palermo leggerete in Le parole pesano: pesiamo le parole. L’autrice ci ricorda che «quando si parla di accoglienza in senso culturale, non si parla solo dell’assegnazione di diritti e doveri, ma di quell’atteggiamento che viene definito da un’altra parola importante, “riconoscimento”. Per riconoscimento si deve intendere un atteggiamento verso uno o più soggetti portatori di una qualche forma di diversità – di genere, sociale, nazionale, culturale, etnica – che si fondi sull’accettazione di essi per ciò che essi sono, e non per ciò che si pretenderebbe che fossero». «Ieri come oggi, milioni di persone affidano il loro destino e le loro speranze alle acque di un mare che spesso si trasforma in culla di morte».
Inizia così Migrare. Tra ricordi di ieri e testimonianza di oggi, mentre Storie di donne che viaggiano i loro mondi è il tema centrale del libro Siamo qui. Storie e successi di donne migranti. Il 42% di chi migra è di sesso femminile, il 35% di queste donne ha una laurea. L’alta percentuale di presenze femminili che emigrano si registra anche nell’immigrazione sul resto del territorio italiano. Inclusione è un progetto in fieri che unisce due diversi media: fotografia e videointervista, nato da un’idea di Iolanda Carollo.
Continuiamo a conoscere le persone che emigrano da terre lontane in Dal Bangladesh all’Italia. Facciamo un salto in Palestina per scoprire che sono i libri, i film e la musica a mantenere viva la resistenza civile del popolo palestinese.
Ettijah è l’unico collettivo hip-hop femminile di tutta la Palestina. Se ne parla in Il collettivo hip-hop femminile Ettijah. Torniamo in Italia, poco prima della fine della seconda guerra mondiale per avvicinare Un piccolo pezzo di una storia grande. I treni della felicità, una esperienza bellissima di accoglienza che si deve alle donne della stufa rossa, da conoscere una per una.
Vincitore del Leone d’oro all’ultima mostra di Venezia, ripercorre alcune tappe della vita artistica e politica della fotografa di fama mondiale Nan Goldin. La storia di una nuotatrice speciale è raccontata nella pellicola Sarahsarà Sarah dedicata a una ragazza che sin da piccola è costretta a confrontarsi con la dura realtà del razzismo di quegli anni e con la difficoltà di affermare la sua identità di donna e di disabile.
Una guerra ai tabù è quella combattuta da Ghada Amer, artista egiziana che, per la prima volta, espone i propri lavori in Europa. Il suo impegno sociale si palesa in ogni sua opera, in Ghada Amer. Astrazione e femminismo senza frontiere una breve guida.
Storie di discriminazione sono quelle raccontate in Ipazia, in Figlio del bosco, il bellissimo racconto di una docente di sostegno e del suo incontro con un ragazzo che vive in una baita di montagna e in Esclusione, stereotipi, violenza, ordinaria follia. Il caso di Camille Claudel.
Anche la storia di Anna Maria Ortese può essere letta come una storia di emarginazione. Ne scrive l’autrice della recensione Poveri e semplici.
Trenta giorni e 100 lire è l’ultimo libro della nostra scrittrice toponomasta Ester Rizzo, recensito nell’articolo omonimo. «All’aria densa di violenza che giunge dal fronte della Prima guerra mondiale l’autrice contrappone le urla dolenti e furenti di numerose donne siciliane che, in quel triennio terribile, scesero in piazza per la pace, manifestarono il loro ripudio del conflitto e sbandierarono fiere la loro opposizione alla retorica e alle logiche della politica interventista».
Non lo direste mai ma da Le musiciste migranti in lotta per i diritti sociali constaterete che spesso musiciste, compositrici e interpreti spesso sono donne costrette a migrare per potersi affermare.
Per le nostre serie, che continuano anche in questo numero ricordiamo la donna di Calendaria, Dorothy Crowfoot Hodgkin, Nobel per la Chimica nel 1964, mentre per Italiano lingua altra leggeremo L’Italiano in Italia.
Chiudiamo con Settimana Unar. 20 marzo 2023. e 23 marzo 2023, i report della prima e quarta giornata del progetto Senso di marcia, dai titoli Le donne vittime di guerra, artefici di pace e Stereotipi e pregiudizi, che sintetizzano i principali interventi e video che abbiamo condiviso sul canale youtube di Toponomastica femminile.
Buona lettura a tutte e tutti.
SM
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Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpreti; Siamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.