Carissime lettrici e carissimi lettori,
ci è voluta forza, volontà, ma anche amicizia, amore. Segno politico. E lui, Roberto Saviano, l’amico intimo, il fratello che sa consolare e condividere, lo ha fatto con il rito.
Non si è tolto mai la giacca. Lo hanno notato, gli amicissimi/e dei momenti estremi di Michela Murgia, andata via sotto il cielo dei sogni d’agosto, e chi era fuori, mentre il giornalista, amico, parlava a lei e quasi al suo posto, facendone un suo ultimo, condiviso ed ennesimo gesto politico.
Il rito è un atteggiamento meraviglioso. Il gesto di quella giacca mai tolta, di fronte all’atto più estremo della vita, a cui viva Michela Murgia diceva di voler arrivare, è un segno, come dire, di enorme rispetto e stima. Il rito non è religioso, è spirituale, anche quando riguarda un credo. È quel gesto, quell’aria che ti respira dentro e ti porta a vedere quello che non si conosce o si ritrova interiormente, come una voce antica, di sempre. Ecco questo deve aver guidato Saviano, di nuovo colpito, insieme alla stessa sua amica, come sempre. Come tante altre volte. Il discorso fatto da Saviano nella chiesa detta Degli artisti, in una delle piazze più belle di Roma (Piazza del Popolo), ha suscitato proteste a tal punto forti che la famiglia, la comunità intima e non di sangue, creata e voluta intorno a sé da Michela Murgia, ha sentito il dovere di esporsi e difendere lo scrittore e giornalista. Era bello l’intervento di Saviano, ma politico, diretto, forte. Lo scrittore è stato attaccato da una parte della stampa che lo ha accusato di aver fatto un comizio a suo uso personale. «Che avesse usato per sé quello spazio»: tutto questo lo negano i parenti e gli amici più intimi di Murgia, che decidono di parlare, di esporsi attraverso i media. «Parlando al suo funerale – hanno scritto — Roberto ha esaudito un desiderio fortissimo di Michela, addirittura un mandato. Che lo ha fatto dunque per generosità, per rispetto di una volontà, a spese della sua fatica emotiva e fisica in un frangente devastante. E che lo ha fatto con le parole esatte che Michela Murgia avrebbe scritto se, come certo avrebbe desiderato, avesse potuto pronunciare lei stessa un discorso al proprio funerale».
Il discorso, per chi non lo ha ascoltato, è forte e toccante: «Il conforto non sta nell’edulcorare il dolore, – ha detto Saviano — il conforto sta nell’indicare un sentiero che attraversa il dolore e ti permette di uscirne. Scrivere era questo, per Michela Murgia: la strada che, attraversando il dolore, porta fuori, alla ricerca della felicità. In questo Paese – continua — è stato possibile che si considerasse una scrittrice, un’intellettuale, un’attivista come rivale politica, una nemica politica. Ma tra chi ha potere e un intellettuale non c’è reciprocità: al contrario, c’è sproporzione. Un parlamentare ha l’immunità e un potere reale, ha il Parlamento stesso a proteggerlo, mentre l’intellettuale ha soltanto la propria voce: può offrirla o sottrarla. Non ha che le proprie parole e il suo corpo. Attaccare sistematicamente Michela aveva, e ha, il solo scopo di intimidire chiunque decida di esporsi. E vi hanno fatto credere, spargendo infamia, che fossimo noi a diffondere odio, noi che avevamo invece deciso, con fermezza, di reagire a tutto questo orrore».
Ci piace ancora ricordarla. È stata una sorella vicina a tutte, importante nel cammino delle donne per quelle strade, come diceva lei, che devono riempire con la loro sensibilità a forza. Di lei un’altra grande scrittrice del nostro tempo, Dacia Maraini, ha detto: «Michela era una donna straordinaria per coraggio, determinazione e intelligenza. Mai fanatica, mai dottrinaria. Era sempre sorridente e questo dimostra un buon atteggiamento verso la vita. La nostra coraggiosa Michela — sottolinea — ha inventato un nuovo tipo di famiglia, non basato sul sangue ma sulle affinità e la scelta. Ci ha lanciato una grande sfida. Dovremo discutere di questa sua gioiosa proposta. Michela Murgia era femminista — aggiunge ancora Maraini — e di femminismo ci sarebbe bisogno ancora. Ma soprattutto, mi preme tornare a sottolineare l’importanza di questa sua ultima sfida, quella sulla famiglia. Abbiamo assistito in queste ultime ore, al caso di un matrimonio fatto saltare per un presunto tradimento, davanti agli invitati, con tanto di filmato poi distribuito attraverso i canali social in modo che la vicenda fosse resa pubblica. Assistiamo a continui omicidi di donne in famiglia, e non solo di donne. Ecco, allora è evidente che qualcosa va rivisto. E Michela Murgia ha lanciato la sua proposta. Condivisibile o meno, è comunque un segnale che invita a riflettere. Quale sia la soluzione contro la violenza che circonda la famiglia non lo so, ma è vero che il tema ci riguarda tutti. La famiglia — spiega ancora Maraini — va rinnovata. Michela ci ha fatto vedere che non esistono solo i legami di sangue, ma le affinità. Sull’amore poi, non si comanda. E non è detto che due che si amano debbano per forza sposarsi». Torniamo all’estate. Torrida, Ripetitiva. Fermiamoci alla parola Esodo. Dal vocabolario della lingua italiana: «Emigrazione da una regione da parte di popolazioni, volontaria o più spesso forzosa, determinata da ragioni politiche, economiche, religiose o culturali, o anche da calamità naturali. Libro dell’Esodo. Nella Bibbia, il secondo libro del Pentateuco, detto in ebraico shĕmōt(«nomi») ewĕ-ēlleh shĕmōt («e questi sono i nomi»), dalle sue parole iniziali. Narra come gli ebrei, oppressi in Egitto, furono liberati da Mosè, dopo che dieci piaghe si erano abbattute sugli Egizi. Attraversato il Mar Rosso, gli Ebrei si addentrarono nel deserto, dove furono miracolosamente saziati con quaglie e manna; quindi, raggiunsero il Monte Sinai, dove Mosè ricevette da Yahweh la Legge e strinse con lui l’alleanza per il popolo». Ecco il significato della parola usata ormai da tutti/e, tramessa dai media per gli spostamenti di massa dell’estate: un’esagerazione mediatica, a tutti gli effetti.
E ora che ferragosto, la festa di metà del mese dedicata all’imperatore Augusto, è anche per quest’anno passata, inizia il controesodo delle masse obbedienti al rito totalizzante della vacanza. Da raccontare. «Nel mondo romano i giorni dell’anno dedicati al culto pubblico e privato, i giorni di ferie pubbliche erano nefasti, essendo nefas (proibito) esercitare il potere giudiziario e convocare i comizi. In Roma, nei tempi più antichi, le ferie pubbliche erano fissate dai pontefici che stabilirono la distinzione tra ferie stativae (fisse) e ferie indictivae(mobili), ordinate da un magistrato fornito di imperium. Le ferie pubbliche si distinguevano in giorni nefasti per motivi di letizia, indicati nei calendari con la sigla NP (nefastus purus), e nefasti per causa di tristezza, indicati con la lettera N.
Le ferie Latinae in età storica erano una festa indittiva romana che si celebrava in onore di Giove Laziale sul Monte Albano, in origine festa federale dei Prisci Latini, istituita, secondo la tradizione, dal re Fauno, o da Enea. Dopo la distruzione di Alba Longa, che vi presiedeva, passò sotto la direzione di Roma come festa nazionale romano-latina finché durò la confederazione del Lazio alleata di Roma (338 a.C.). Poi divenne festa romana, indetta ogni anno dai consoli, cui partecipavano tutte le antiche città del Lazio, tra le quali erano divise le carni del toro immolato a Giove. Le ferie latine furono celebrate anche nei primi secoli dell’Impero» (Treccani).
Il femminismo, ha ragione Maraini, non deve mai venir meno e continua a stare nella nostra testa la frase di Mafai che fa capo alla nostra rivista: «Alle giovani dico di non abbassare la guardia, non si sa mai».
A Veglie, una località pugliese vicino Lecce, il Consiglio comunale è in subbuglio. Alcuni membri di Veglie per tutti si sono rivolti alla sindaca Maria Rosaria De Bartolomeo in modo offensivo chiamandola signorina. Come giustamente ha osservato la presidente della commissione Pari opportunità della provincia di Lecce, Anna Toma:«Mai la dialettica politica può divenire strumento asservito agli stereotipi di genere».
«La mancanza di rispetto della parità di genere avutasi in questa occasione è grave ed offensiva – ha spiegato intervenendo la stessa sindaca—. Il processo di sensibilizzazione deve partire dalla base, tutti i giorni, attraverso comportamenti e buone prassi che passano soprattutto dal rispettoso esempio che si dà in società e ancor prima in famiglia. Ci sarà sempre qualcuno che tenderà a colpirci per il solo fatto di essere donne – prosegue — sminuendo il nostro impegno perché donna, signora, signorina, senza riconoscere né ruoli, né professionalità, né formazione. È più facile chiamare una giovane sindaca signorina piuttosto che un giovane sindaco signorino. E purtroppo ci sono ancora persone che pensano che il modello patriarcale e maschilista la faccia da padrone nella nostra società». Più brutta la notizia, che arriva ora alla cronaca, riguardante una ragazzina costretta a tornare a Milano perché bullizzata, per tutto lo scorso anno scolastico, dai compagni di scuola, colpevole di aver chiuso una relazione con un altro compagno di classe. Tutte le mattine era accolta, nell’aula di una scuola romana, frequentata esclusivamente da figli e figlie di cosiddetti vip, con insulti tipo «cotoletta, tornatene a Milano» o «aprite le finestre qui c’è puzza». La ragazzina, avvilita, si è trasferita per il prossimo anno scolastico nel capoluogo lombardo, ma i genitori hanno sporto denuncia.
Continuano in Rai le epurazioni con il tentativo di cancellare il secondo anno del programma, ormai pronto per la messa in onda, proprio di Roberto Saviano, che aveva ottenuto alti ascolti parlando di malavita, mafia, mala amministrazione nella sua Insider. Sui social i soliti leoni e leonesse da tastiera e un certo tipo di stampa hanno poi cominciato una vera e propria campagna di insulti contro Corrado Augias (uno degli epurati della prossima stagione rai). Augias è uno dei nostri più importanti intellettuali e questo che sta accadendo ci fa riflettere e, permettetemi, vergognare.
L’estate inoltrata, e quasi decadente, mi fa pensare ai colori, all’estetica della grande pittrice messicana che una mia carissima amica mi ha insegnato ad amare, tanto tempo fa, Frida Kahlo. Di lei, così appassionata della vita, nonostante tutto, nonostante i segni del dolore del corpo e i tormenti dell’anima, ho trovato quasi per caso una poesia che mi è apparsa subito bellissima. Ho rintracciato nelle parole il colore delle sue pitture, il suo mondo fatto di sentimenti forti. Un grazie sentito a Isa Maggi e a Statigeneralidelledonne, a cui devo l’occasione di aver recuperato questa meraviglia.
Leggiamola insieme.
Ti meriti un amore che ti voglia
spettinata,
con tutto e le ragioni che ti fanno
alzare in fretta,
con tutto e i demoni che non ti
lasciano dormire. Ti meriti un amore che ti faccia
sentire sicura,
in grado di mangiarsi il mondo
quando cammina accanto a te,
che senta che i tuoi abbracci sono
perfetti per la sua pelle.
Ti meriti un amore che voglia ballare
con te,
che trovi il paradiso ogni volta che
guarda nei tuoi occhi,
che non si annoi mai di leggere
le tue espressioni.
Ti meriti un amore che ti ascolti
quando canti,
che ti appoggi quando fai la ridicola,
che rispetti il tuo essere libera,
che ti accompagni nel tuo volo,
che non abbia paura di cadere.
Ti meriti un amore che ti spazzi via
le bugie
che ti porti il sogno,
il caffè
e la poesia.
(Frida Kahlo)
Buona lettura a tutti e a tutte augurandoci che il caldo si attenui, pacificamente.
In questa prima settimana senza la voce argentina e i pensieri sottili e arguti di Michela Murgia presentiamo alcune figure femminili che sicuramente le sarebbero piaciute e che avrebbero potuto diventare alcune delle protagoniste dei bellissimi podcast di Morgana, un regalo prezioso che la scrittrice sarda ci ha lasciato. Sicuramente lo sarebbero state la donna ritratta ne La Cantadora di Vanni Lai, fra realtà e fantasia, ma anche Mona el Hallak, architetta e attivista libanese, per cui «il recupero della memoria storica dei luoghi, il contrasto alla gentrificazione del nucleo popolare e antico della capitale e il concetto di architettura come accoglienza sono alcuni dei motivi ispiratori della professione». Anche la Nobel per la Medicina descritta nella Serie Calendaria 2023 Elizabeth Blackburn. Nobel per la Medicina, lo è, se non altro per la perseveranza e l’ostinazione che l’hanno spinta a studiare in tempi in cui le donne non erano ammesse all’Università. Una figura di donna ignorata dalla maggior parte di noi è quella descritta nella Rubrica Tesi vaganti, nel bell’articolo che riflette sull’importanza fondamentale di una disciplina dalle sorti altalenanti nelle nostre scuole, La geografia di Ellen Churchill Semple. Pure le protagoniste di Cahiers de doléance sarebbero state delle Morgane perfette, insieme a Neera e le altre, la puntata della Serie Grecità che leggeremo in questo numero e all’elenco di nomi femminili suggerito dall’autrice di Reggio Calabria. Angeli e strade. Per la serie Donne Horror e videogiochi incontreremo un personaggio femminile complesso e tragico, la cui storia fiabesca rappresenta un monito sulle conseguenze dell’abuso di potere, in Il caso Rule of Rose, tra etica giornalistica e moral panic.
Ci spostiamo a Bolzano, per condividere una buona pratica, sicuramente da diffondere in tutta Italia, Gocce-Tropfen, visibile memoria dedicata a «cinque donne unite dalla stessa determinazione nel perseguire con forza i propri obiettivi di vita anche pagando un prezzo personale molto alto e che non sono mai scese a patti con quello che volevano che fossero le loro vite».
In seguito, approfondiamo un tema a noi sempre molto caro, La presunzione dello stereotipo, per poi allargare lo sguardo alle persone che difendono i diritti umani con l’ultimo articolo del Report 2022/2023 di Amnesty International. Focus su Europa e Asia Centrale, con qualche sorpresa che riguarda la cosiddetta civile Europa, quella stessa Europa di cui parla l’autrice di Fare memoria. Giornata nazionale in memoria delle vittime dei crimini nazisti e antisemiti, che ha il pregio di ricordare, insieme al male, le azioni dei tanti Giusti e delle tante Giuste e di sottolineare l’importanza di visitare i luoghi del ricordo.
Chiudiamo la nostra rassegna con un’altra puntata sulla storia dell’alimentazione, Tradizione, ibridazione e contaminazione culinaria, accompagnata dalla ricetta della settimana: Sushi italiano, un piatto della nostra cucina, che è più vegana di quanto si sia portate/i a credere.
SM
***
Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpreti; Siamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.
