Storia di resistenze e di resistenti. Argentina Bonetti Altobelli

La Resistenza ha il sapore della ribellione e dell’opposizione, ma il modo di farlo assume forme diverse, che si adattano a chi la sceglie; ecco perché dire di “no” a ciò che è ritenuto ingiusto, indegno e disumano è espressione di libertà, di partecipazione civile e soprattutto è frutto di una profonda e radicata convinzione: la Resistenza è un cammino che non ammette scorciatoie o comodi passaggi e, spesso, si percorre da sole/i. C’è chi lo fa con gesti eclatanti di profondo ribellismo, come abbiamo potuto leggere per Alekos Panagulis (https://vitaminevaganti.com/2023/08/05/storie-di-resistenze-e-di-resistenti-alekos-panagulis/), c’è chi invece predilige farlo senza destare scalpore, ma mantenendo salda e costante la propria determinazione nel dire no come la protagonista della storia di oggi: Argentina Bonetti Altobelli.

La nostra storia inizia a Palazzo Chigi, residenza dell’uomo che, nel 1924, ricopre il ruolo di primo ministro in Italia, Benito Mussolini, e ha commissionato l’assassinio di chi, Giacomo Matteotti, in Parlamento, ha denunciato i brogli, le violenze e le intimidazioni delle camicie nere che hanno accompagnato le elezioni che lo hanno portato al potere. Ora quell’uomo teme di perdere tutto e oscilla, come sempre farà durante tutta la sua parabola politica, tra l’atto di forza e la trattativa. Per l’atto di forza, che lo porterà a pronunciare le inquietanti parole del 3 gennaio 1925: «Se il Fascismo è stato un’associazione a delinquere, a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l’ho creato», c’è sempre tempo; la strada della trattativa, invece, richiede di agire subito. Mussolini pensa allora che sia possibile una riappacificazione con i socialisti riformisti, redigendo una possibile lista di candidati per alcuni incarichi governativi. Tra di essi c’è una donna, Argentina Bonetti Altobelli, che potrebbe diventare la prima sottosegretaria all’agricoltura nella storia politica italiana, in un paese in cui le donne non votano.

Argentina Bonetti nasce a Imola il 2 luglio 1866 da Nicola e Gertrude Galassi, il padre non conosce subito la figlia perché è arruolato nel Corpo Volontari d’Italia e sta combattendo in Trentino con Garibaldi durante la Terza guerra di indipendenza. Il nome scelto per la bambina e il motivo dell’assenza del padre alla sua nascita dimostrano quanto sia profondo e radicato il patriottismo di Nicola e Gertrude. La piccola Argentina trascorre l’infanzia tra Bologna e Parma, con gli zii paterni, ai quali viene affidata dopo la nascita della sorella; da loro si sente amata come una figlia, ma non è per lei un’infanzia spensierata perché è dotata di una spiccata sensibilità che le impedisce di vivere serenamente quel periodo della sua vita; non si sente portata per il gioco, bensì per la lettura che diventa la sua grande passione, anche se ne compromette la salute e non è favorita dalla famiglia che teme che le letture possano influenzarla eccessivamente. Probabilmente è anche questo atteggiamento che fa scattare in lei un bisogno incontenibile di impegnarsi per far sentire la propria voce, senza subire le decisioni degli altri in merito alle sue scelte. La sua educazione politica, come del resto quella di buona parte della sua generazione, passa prima per il mazzinianesimo, che le permette di diventare propagandista e di parlare in pubblico, cosa essenziale per le donne dell’epoca che, attraverso discorsi e comizi, acquisiscono consapevolezza e sicurezza nelle proprie capacità oratorie; ma non solo: parlare in pubblico, significa, naturalmente, parlare anche agli uomini ed era tutt’altro che semplice perché all’epoca quest’attività pubblica era considerata per le donne sul filo del buon costume; insomma riuscire a farlo rappresenta già una conquista e una forma di resistenza alla discriminazione di genere. Attratta dalla figura di Andrea Costa, anche lui imolese di nascita, Argentina Bonetti si avvicina poi al socialismo, impegnandosi a favore delle e degli umili. A Parma, nel 1885, in un circolo, tiene il suo primo intervento dal titolo L’emancipazione della donna. Ciò che la lascia perplessa è la scarsa partecipazione femminile a quel comizio e il poco interesse per l’argomento da parte dell’uditorio maschile. Nonostante quest’esordio non proprio edificante, la giovane ha talento e, con il supporto dello zio, intensifica la frequenza dei suoi discorsi, affiancandosi ad altri propagandisti oppure tenendoli da sola; si reca spesso nelle campagne e raggiunge il luogo concordato per l’intervento servendosi di una mula oppure utilizzando una bicicletta che viene considerata come un simbolo di modernità e d’emancipazione per l’epoca.

Argentina Bonetti da giovane

Rientrata a Bologna, incontra di persona Andrea Costa dal quale si aspetta parole di riconoscimento per il suo impegno, ma riceve, al contrario, questo piccato commento: «una figliola come te deve fare all’amore e non occuparsi di politica, perché essa è pericolosa e chissà dove potrebbe trascinarti». Argentina Bonetti, naturalmente, non si ferma al giudizio di quell’uomo, anche se lo aveva idealizzato molto e la lettura dei suoi scritti l’avevano avvicinata al socialismo, e si impegna ancora di più nell’attività politica e sindacale. Il voler essere libera e indipendente per poter proseguire nel suo impegno portano Argentina Bonetti ad allontanare da sé simpatie profonde che si sarebbero potute trasformare in relazioni sentimentali, ma nulla può fare con Abdon Altobelli, insegnante, scrittore, uomo di grande cultura e da lei giudicato «serio, profondo di studi, simpatico nella conversazione e piacente, sebbene non bello». Il sentimento per quell’uomo raggiunge le stanze profonde del suo cuore e, dopo alterne vicende, lo sposa; da quel momento affianca al cognome da nubile quello del marito che, all’interno della coppia, assume un ruolo che è molto importante analizzare. Dopo la nascita del primo figlio, Demos – la seconda si chiamerà invece Trieste, a testimonianza di quel forte patriottismo di stampo mazziniano che convive in lei con il socialismo – Argentina è completamente assorbita dall’involucro magico e inebriante, ma anche pericoloso, della maternità; in Abdon, invece, prevale la sensibilità dell’insegnante che deve far uscir fuori le e i suoi studenti dalla zona di comfort e spingerli verso nuove sfide: di 17 anni più vecchio di lei, ne vede le capacità e le abilità e vuole che le valorizzi e non le sacrifichi. Questo approccio si rivela fondamentale per la giovane madre che viene stimolata dal marito, come lei stessa confessa dicendo che lui la spingeva: «a perfezionare le mie idee e a tenere vivo il mio spirito combattivo, e spesso mi ripeteva che voleva che non si spegnesse in me la bella fiamma della mia idealità». Non è solo lui a ricordarle il suo ruolo e a spingerla verso l’impegno politico, ci sono anche i compagni che la invitano a riunioni, conferenze e che la spronano ad accettare la nomina in qualche commissione. È importante sottolineare che non fu così per tutte le emancipazioniste, diciamo che il caso di Bonetti Altobelli è piuttosto un’eccezione; la maggior parte delle donne impegnate, pur avendo magari anche un marito che condivideva gli stessi ideali, doveva fare i conti spesso con chi non accettava la dimensione pubblica della propria moglie o compagna e questo provocava situazioni veramente laceranti.

Famiglia Bonetti Altobelli

A guidare Argentina Bonetti Altobelli ci sono sia l’ideale di un socialismo umanitario, sia l’azione sindacale, sia l’emancipazionismo femminista e ne sono una testimonianza gli incarichi che ricopre: diventa presidente della sezione femminile della Società Operaia di Mutuo Soccorso di Bologna, che contribuisce a rendere autonoma da quella maschile e che organizza in modo da potenziare la distribuzione di sussidi per malattia e maternità, l’attività di depositi e prestiti e la distribuzione delle macchine da cucire. Tra le iniziative più significative che promuove troviamo: un asilo per i bambini delle socie impegnate in lavori non domestici e una scuola di disegno professionale per sarte, modiste e ricamatrici a cui segue il progetto per l’apertura di un indirizzo commerciale. Nel 1893 diventa componente della Commissione Esecutiva della Camera del lavoro di Bologna e, agli inizi del ‘900, si distingue per l’attività organizzativa finalizzata alla creazione di leghe dei lavoratori agricoli del bolognese che la porta a diventare una delle principali dirigenti della Federazione provinciale dei lavoratori della terra e a essere scelta, poi, come Segretaria di tale Federazione a livello nazionale. L’impronta sindacale che lascia come Segretaria è caratterizzata dal tentativo di comporre l’antagonismo presente tra le diverse figure del mondo agricolo per promuovere un’azione unitaria e dalle rivendicazioni contrattuali che comprendono: il salario a ore e non a giornata; le 8 ore di lavoro; il legame tra massimo del salario e impegno della manodopera; l’abolizione del lavoro a cottimo; il riconoscimento degli uffici di collocamento gestiti dalle leghe; l’assunzione di lavoratori in proporzione alla grandezza dei fondi. Bonetti Altobelli promuove inoltre esperienze cooperative finalizzate all’assorbimento della manodopera; l’alfabetizzazione e l’educazione politica della classe contadina, favorendone l’incivilimento e la presa di coscienza della propria forza in sede contrattuale; lo sviluppo di una politica del lavoro che permetta l’ampliamento dell’occupazione attraverso la promozione di lavori pubblici e, soprattutto, si impegna perché entri in vigore un’avanzata legislazione sociale a tutela del lavoro. Proprio per quest’ultimo aspetto, Argentina Bonetti Altobelli diventa componente del Consiglio Superiore del Lavoro, un organo consultivo del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio con l’obiettivo di creare uno spazio di confronto tra i vari attori del mondo del lavoro. Il ruolo di guida della FNLT di Bonetti Altobelli continua fino all’affermazione del fascismo, ma, come detto in precedenza, non è esclusivo, in quanto si affianca anche alla partecipazione alla Direzione del PSI tra il 1908 e il 1910. Il suo è un socialismo che progressivamente si configura come riformista in quanto incentrato sulla dimensione organizzativa del movimento; sulla graduale emancipazione politica ed economica della classe lavoratrice attraverso un’attenta opera educativa; sulla necessità di una legislazione sociale, in grado di tutelare le categorie più emarginate, come ad esempio le contadine, impiegate spesso in lavori ibridi e non riconosciuti, o anche le lavoratrici delle filande e le sarte costrette a lavorare senza limiti e sottopagate. La legge Carcano del 1902 rappresenta un primo e ancora limitato tentativo di regolamentazione del lavoro femminile e minorile, ma il grosso problema segnalato dalla stessa Bonetti Altobelli è che questa legge risulta «sconosciuta alle lavoratrici e non è osservata dai padroni in quasi tutti i laboratori di sartoria», ma anche nelle campagne e nelle filande; «di chi è la colpa?», si chiede la sindacalista, «un po’ di tutti», è la laconica risposta, non solo quindi dei padroni, interessati solo a spremere più che possono; delle autorità, che non fanno il loro dovere di controllo, ma anche «delle lavoratrici stesse, rimaste estranee fino a quel momento al movimento operaio […], limitandosi a sterili lagnanze e più sterili maledizioni quando, estenuate, si accorgono che il lavoro onesto non isfama, e quando anemiche, tisiche, con una giovinezza spezzata dal troppo lavoro, da stenti, da privazioni, per consiglio dei medici debbono abbandonare, se pur non ne sono pietosamente licenziate». L’importanza di rivolgersi alle categorie più emarginate e alle donne diventa un tratto distintivo dell’attività di propagandista di Argentina Bonetti Altobelli che predilige, nei suoi discorsi, un linguaggio semplice e piano, capace di raggiungere tutte/i non solo per il fatto di essere comprensibile, ma anche perché in grado di coinvolgere e di stabilire un contatto diretto con il pubblico, oltre a valorizzare la dimensione didattica e pedagogica attraverso il ricorso a favole morali o immagini metaforiche vicine al vissuto di lavoratori e lavoratrici. Altro aspetto peculiare della propaganda di Bonetti Altobelli è la sua capacità di non rinunciare mai alla sua dimensione femminile, aborrendo qualsiasi forma di autoritarismo e dirigismo e prediligendo un tono genitoriale, autorevole, materno e rivolgendosi ai propri organizzati con la formula “figli lavoratori”. Questa scelta ripropone l’indirizzo che la sindacalista aveva dato alla propria militanza e cioè di non rinunciare mai alla propria sensibilità e alla propria natura femminile a partire dall’abbigliamento: si rifiuta di mortificare il proprio aspetto con gli austeri e cupi abiti neri, che molte propagandiste utilizzavano per neutralizzare la loro femminilità considerandola penalizzante, e cura il proprio aspetto con un abbigliamento semplice, ma ricercato e raffinato. La competenza acquisita con lo studio e l’esperienza, si affianca al carisma, frutto di una notevole capacità dialettica che si avvale delle doti femminili e della forte autostima, che la donna si costruisce anche grazie al supporto e al sostegno del marito: sono questi gli strumenti attraverso i quali Argentina Bonetti Altobelli si afferma nel mondo politico e sindacale, ribellandosi all’ordine costituito del tempo, al conformismo, alla consuetudine, agli stereotipi della morale borghese, che attribuivano alla donna un preciso ruolo, e resistendo strenuamente all’appiattimento al maschile tipico di alcune donne che, anche oggi, raggiunti livelli dirigenziali, credono che il proprio genere rappresenti non un valore aggiunto, ma una penalizzazione.

Non dobbiamo dimenticare, infatti, che il motivo fondamentale dell’adesione al socialismo di Argentina Bonetti Altobelli è la contestazione della soggezione economica e morale patita dalla donna, soprattutto se contadina, nella sfera pubblica e privata. Oltre all’ordine costituito borghese, un altro oggetto della sua critica sono le gerarchie ecclesiastiche accusate di perpetuare, attraverso un gretto conservatorismo, una predicazione che faceva leva sull’analfabetismo e l’ignoranza per rendere le donne schiave del pregiudizio e della paura, ostacolandole nel percorso del loro riscatto economico e morale. Il senso di inferiorità con cui una donna viene allevata è, comunque, per Bonetti Altobelli, comune a tutte le classi sociali: «bambole per l’uomo senza carattere e senz’anima». I principali strumenti di contrasto alla discriminazione di genere vengono da lei individuati nell’emancipazionismo, nell’istruzione e nell’organizzazione. Ecco, dunque, che la sua principale esortazione è rivolta ai compagni che devono sostenere prima di tutto le donne nello sforzo di sottrarsi alla predicazione religiosa e dare loro lo spazio per potersi istruire per comprendere i principi del socialismo, per prendere coscienza dei propri diritti e svolgere un ruolo attivo nella società. Quello proposto da Bonetti Altobelli è un modello alternativo: una donna lavoratrice, attiva nella società, nel mondo del lavoro, in politica, collocata quotidianamente a fianco, e non in un ruolo secondario, rispetto all’uomo, senza rinunciare però alle opportunità specifiche connesse alla sua condizione e cioè essere moglie e madre, condizione che è per lei essenziale sia garantita e tutelata dalla legge. Per lei la maternità è una delle più alte responsabilità femminili, le donne sono per lei «creatrici e conservatrici dell’umanità», il loro ruolo deve essere adeguatamente tutelato per permettere loro di essere sia madri che lavoratrici senza mettere a rischio la loro integrità di donne; questo l’avvicina all’azione di Anna Kuliscioff e di Maria Biggi Cabrini che in quegli stessi anni si battevano a Milano per un’adeguata legislazione a tutela della maternità. Bonetti Altobelli valorizza poi il ruolo della famiglia, considerata il nucleo primario della società civile, e del matrimonio, a cui vengono attribuite alte finalità educative e morali. Proprio per preservare quest’aura sacra attribuita all’istituto familiare e matrimoniale, ritiene essenziale il riconoscimento giuridico del divorzio, necessario per sciogliere quelle unioni prive del requisito essenziale dell’armonia familiare, senza la quale il ruolo educativo della famiglia viene meno. Donna-madre, donna-lavoratrice e attivista, è questo il modello femminile a cui Bonetti Altobelli fa riferimento quando, a partire dal 1906, decide di sostenere strenuamente la causa suffragista, opponendosi a chi voleva legare il riconoscimento del diritto di voto alle donne alle condizioni patrimoniali o d’istruzione. La sua posizione non sottovaluta i rischi della concessione di voto a donne analfabete e, spesso, condizionate dalle gerarchie ecclesiastiche, ma mostra fiducia nei confronti dell’attività propagandista svolta e incentrata sull’importanza dell’educazione femminile e cerca in tutti i modi di far comprendere quanto essa sia strategica per il successo del socialismo, facendo leva sui militanti e responsabilizzandoli.

Oltre all’impegno nella FNLT, Bonetti Altobelli viene designata a far parte del primo Consiglio Direttivo della CGdl, occupandosi anche della revisione dello Statuto.

Riunione del Consiglio direttivo della CGdL a Milano (1915). Argentina Bonetti Altobelli è la terza da sinistra

Il 1909 è un anno molto complesso sia a livello familiare che politico: innanzitutto muore l’amato marito e Argentina Bonetti Altobelli entra nella Direzione del PSI. Successivamente, nel 1912, è tra i fondatori della Cassa Nazionale Infortuni e, con l’ingresso dell’Italia nella guerra, il suo sforzo assistenziale nei confronti delle famiglie dei richiamati diventa eccezionale. Nel primo dopoguerra, continua la sua azione di contrasto alla disoccupazione e si prodiga per mantenere l’unità sia all’interno del sindacato, sia a livello politico, nonostante le profonde divisioni in seno al PSI tra massimalisti e riformisti. Nell’agosto del 1920 riceve un incarico estremamente importante: rappresentare la FNLT al Congresso internazionale dei lavoratori della terra ad Amsterdam dove presenta una relazione che rappresenta uno dei documenti più significativi del movimento organizzato dei lavoratori della terra per varie ragioni, ma principalmente perché riesce a unire la sua vicenda personale ed esistenziale con la dimensione corale del movimento, dimostrando come sia possibile costruire un noi senza rinunciare all’individualità di ciascuno. Non è casuale, quindi, che al motto massimalista «la terra ai contadini» contrapponga la rivendicazione «la terra alla collettività», in un’ottica gradualista definita sulla base dei bisogni della classe lavoratrice. Quando le squadre fasciste danno inizio alla distruzione delle strutture organizzative del movimento sindacale e socialista, Bonetti Altobelli ne ritiene prioritaria la salvaguardia attraverso un’azione parlamentare e politica, rifiutando l’azione di piazza proposta dai comunisti: la sua posizione risulta però minoritaria e prevale, invece, quella che porta allo sciopero generale indetto dall’Alleanza del Lavoro, rivelatosi un vero e proprio fallimento. Da tale avvenimento, il movimento socialista esce sconfitto e ciò aggrava le contrapposizioni interne tanto da determinare una scissione che porta alla nascita del Partito Socialista Unitario di Matteotti a cui Bonetti Altobelli aderisce. Il suo impegno a favore delle lavoratrici e dei lavoratori e per un ritorno alla democrazia e all’unità del socialismo continua nonostante la violenta affermazione del fascismo contro il quale scrive parole veramente profetiche in occasione del 1° maggio 1922 nell’articolo dal titolo Fascista proletario. In esso, si rivolge direttamente al «fascista dal berretto nero e con l’insegna della morte, che terrorizza i poveri lavoratori», lo identifica come un nativo delle paludi del ferrarese e figlio di lavoratori, cresciuto nella privazione, nella fame e nella sofferenza, educato all’interno delle leghe alla rivendicazione dei propri diritti e testimone delle prime conquiste del socialismo. «Tu non eri contento di queste povere conquiste… eri la perenne protesta, la voce sobillante nelle assemblee e nei comizi che diffidava di tutto e di tutti; che non sperava nella lenta e continuata assunzione dei lavoratori attraverso l’organizzazione economica e politica, ma reclamava l’azione diretta e la rivoluzione immediata». La guerra ha contribuito a far sparire la fede socialista e a prendere il suo posto sono arrivati odio e violenze: «oggi sei fascista, sicario pagato dagli agrari per distruggere col bastone e con le micidiali armi corte, le conquiste che i tuoi compagni lavoratori hanno ottenuto in vent’anni di lotte […]. Tu hai dei fanciulli che vivono oggi con il denaro maledetto delle spedizioni punitive, degli assassinii, degli incendi ai quali ti sei prestato».

Per molti lettori e compagni di Argentina Bonetti Altobelli il protagonista dell’articolo precedente è proprio l’uomo che le offre il prestigioso incarico di sottosegretaria al Ministero dell’Agricoltura. Lei che si è sempre prodigata per contadini e contadine, facendo delle conquiste sindacali una ragione di vita, risponde lapidaria a tale proposta: «la vera riappacificazione è il ripristino della libertà», rifiutando sdegnosamente un incarico che l’avrebbe legata per sempre a chi aveva tradito l’ideale socialista, si era venduto agli agrari e aveva cancellato quelle libertà democratiche per le quali lei si era sempre battuta, nell’ultimo periodo a fianco di Matteotti, che Mussolini aveva fatto barbaramente uccidere. Dire no al Duce del fascismo significa diventare un bersaglio per le camicie nere e Argentina Bonetti Altobelli si rifugia, allora, a Roma dalla figlia Trieste, ritirandosi a vita privata e dedicandosi intensamente alla famiglia, sopportando le difficoltà economiche, seguite alla sua scelta. Non si perde d’animo e lavora come insegnante privata di francese e producendo a domicilio fiori da ornamento che poi vende. Non basta, e alla fine, per far fronte al bisogno della propria famiglia, accetta l’incarico di collaboratrice tecnica presso la Cassa Nazionale delle Assicurazioni.

Argentina Bonetti Altobelli

Gli ultimi anni di vita sono funestati da un pesante lutto, la perdita del figlio Demos, e da una malattia lunga e dolorosa che la conduce alla morte. Dopo il ritiro a vita privata, Argentina Bonetti Altobelli continua comunque a scrivere ai vecchi compagni, ma in forma strettamente privata, la donna teme che una resistenza attiva al regime possa nuocere alla sua famiglia; nonostante ciò, continua a credere fermamente nell’ideale socialista. Nelle sue ultime memorie è racchiusa l’essenza di una donna che ci insegna quanto la Resistenza si esprima in forme di opposizione che portano a dire no, a rifiutare posizioni di potere che avrebbero potuto garantire benessere alla propria famiglia, a condurre con dignità la propria esistenza, sopportando le difficoltà economiche e superandole con ingegno e creatività. Un manoscritto dedicato alla figlia e un Memorandum del marzo 1942 rappresentano il suo testamento spirituale, eccone alcune parti significative: «[compendio così la mia laboriosa vita – feci più di quanto potevo feci meno di quanto dovevo», e ancora: «volevo essere libera indipendente di proseguire la mia propaganda coi miei compagni che mi rispettavano e mi amavano […]. Io ero per tutti loro una fortezza inespugnabile» e infine: «Della mia vita, della mia opera non voglio farne cenno in questo foglio riservato ai miei sentimenti. Forse qualcuno potrà ricordarla e sono certa che non sarà vituperata anche se incompresa. Le mie nipoti e la loro generazione non dovrà arrossirne. È l’eredità unica che ad esse posso lasciare». Argentina Bonetti Altobelli ci lascia il suo agire, ma anche oggetti del suo esistere e del suo resistere: la bicicletta con cui si recava ai comizi nelle campagne parmensi, i suoi abiti eleganti e personalizzati, i fiori da ornamento che realizza in casa e vende per aiutare la sua famiglia e, infine, le rose e i garofani rossi che i vecchi compagni fanno recapitare a Trieste e che vengono depositati sulla sua bara quando, il 26 settembre 1942, si celebrano, in modo semplice e modesto, come lei stessa aveva chiesto, i funerali di chi aveva continuato a lasciare un segno, resistendo, a modo suo, a quel fascista proletario che aveva descritto in un suo articolo assolutamente convinta che «l’idea non si distrugge col bastone, né con la rivoltella, né con gli incendi, essa sola è immortale!».

Ad Argentina Bonetti Altobelli sono state dedicate vie in varie città tra cui Imola e Bologna.

In copertina: targa stradale, vedi Vitamine vaganti n 52.

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Articolo di Alice Vernaghi

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Docente di Lettere presso il Liceo Artistico Callisto Piazza di Lodi. Si occupata di storia di genere fin dagli studi universitari presso l’Università degli Studi di Pavia. Ha pubblicato il volume La condizione femminile e minorile nel Lodigiano durante il XX secolo e vari articoli su riviste specializzate.

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