Editoriale. Vengo anch’io? No, tu no

Carissime lettrici e carissimi lettori,
«Si potrebbe andare tutti quanti allo zoo comunale/ Vengo anch’io? No tu no/ Per vedere come stanno le bestie feroci/ e gridare «Aiuto aiuto è scappato il leone» / e vedere di nascosto l’effetto che fa». Il leone c’è ed è veramente scappato, da un circo, dalla fatica, dalla prigionia, dall’obbedienza forzata e chissà da che altro ancora.
Questa è la storia di Kimba, un leone che sicuramente viene da lontano, o da altre terre sono venuti qui i suoi avi, per ricavarne denaro, spettacolo, divertimento; va sotto cieli cittadini. Kimba lavorava e viveva in un circo ora di stanza a Ladispoli, la località di mare alle porte di Roma, con la spiaggia nera di ferro, rovente d’estate. Fino all’incidente di quello che si può considerare più un allontanamento che una fuga, Kimba, otto anni, era in gabbia insieme ai suoi due fratelli Zeus e Ivan. Il lucchetto che li sigillava lì dentro, non si sa stabilirne ancora la dinamica, si è aperto e Kimba è uscito. Il leone circense si è trovato, così, a camminare. Forse si è spaventato, lui appartenente ai re del deserto, di un cavallo, che probabilmente lo ha ricambiato, anche lui perché abituato, nella sua memoria di specie, ad avere paura e A sentirsi preda!
Il leone nella sua breve camminata, verosimilmente pieno di confusione più che di voglia di riscatto, ha seminato panico, ma anche tanta tenerezza, tra le persone e ora rischia la vita. Plausibilmente lo intuisce. Sarà per questo che si acquieta sentendo la voce del proprietario del circo alla quale è avvezzo a obbedire. Poi lo sedano e Kimba, imbrigliato e addormentato, ritorna a casa, anzi, in gabbia.
Ma ormai il putiferio si è scatenato, tra paura e protesta. Ed è subito…derby! Come sempre. Perché anche in questo caso, come in ogni situazione, nasce la velenosa e identica diatriba, che sia una guerra tra popoli o una discussione privata, che implica uno schieramento manicheo: o sei della mia idea o sei all’opposto. Senza mediazione, senza via di mezzo, per dirla umilmente.
Così Kimba, suo malgrado, diventa oggetto di contesa. Lui non sa nulla, lui è già figlio di un’ingiustizia. Qui sulla sua groppa stanca, di un essere sradicato, che doveva spaziare nei grandi territori della savana o nella vastità di luoghi simili, si gioca la partita di chi vuole vedere i suoi numeri al circo, di coloro che assicurano, proprietari compresi, di trattare bene Kimba e i suoi simili non umani, e altri/altre persone, umane che esigono perentorie la sua/loro immediata (e dove andrebbero?) liberazione. Fanatici e fanatiche, tutti e tutte, di odio. Che dopo lo spettacolo si sono scagliati/e contro chi usciva dal circo, tentando, a volte riuscendoci, aggressioni fisiche. Non è modo questo di difendere chi soffre.

Noi siamo sinceramente dell’opinione che il circo può vivere egregiamente senza il lavoro degli animali. La prima esperienza italiana è stata con un appartenente alla stessa famiglia circense ora presente a Ladispoli. Francesco Vassallo, proprietario del circo Atmosphere, ha deciso di dire basta alla presenza degli animali nel circo e li ha sostituiti con incantevoli ologrammi producendo un effetto di grande poesia. Era il 2021 quando, dalla tournée fatta in Grecia, Francesco Vassallo si è fermato con le sue tende a Bari: «Ci sono acrobati, clowns, ballerini, pattinatori e maghi – commenta un telegiornale dell’epoca —. Ma il momento che lascia a bocca aperta viene nella prima e seconda parte dello show, con l’acquario con delfini, squali, meduse, balene che nuotano e sembrano fluttuare nell’aria. Tigri, elefanti, giraffe, struzzi e leoni (come il nostro Kimba! N.d.r.) che camminano a ritmo di musica. Ma questa volta sono liberi. Niente sbarre, niente catene e fruste, ma solo proiettori che generano ologrammi dagli effetti da incanto». Così, con la poesia delle immagini e della danza, Francesco Vassallo ha davvero saputo guardare al futuro! Si può fare.
Gli e le animalisti/e accorse e accorsi davanti al circo di Ladispoli non si sono limitati alla protesta per suggerire la graduale cancellazione della presenza degli animali (sia i grandi che i piccoli, dai leoni ai cagnolini) dagli spettacoli circensi, ma hanno spintonato, insultato chi era uscito/a dallo spettacolo serale. Tutti e tutte considerandosi reciprocamente nemici. La brutta faccia di un derby… non riuscito.

Questa, che si collega per tanti versi a Kimba (mercoledì fatto portare via insieme agli altri animali non umani impegnati nel circo di Ladispoli, con destinazione concordata con il sindaco) è anche la storia di un grande artista indimenticabile «l’unico grande genio musicale che abbiamo avuto in Italia», come lo ha definito Roberto Vecchioni, Enzo Jannacci: un cantante di spicco della musica italiana. Pochissimi/e di noi sanno che Jannacci era anche un grande chirurgo cardiovascolare che si era specializzato in Sudafrica con Christian Barnard (primo al mondo a realizzare un trapianto di cuore) e altrettanto pochi e poche di noi ricordano che il professor Vittorio Staudacher del Policlinico di Milano diceva, a proposito della sua équipe, che ne facevano parte tre medici e un cantante. Facendo proprio lo spirito dissacratore di un dottore scrupoloso che diceva che «un vuoto di memoria è meglio in scena che in sala operatoria».

Enzo Jannacci (all’anagrafe Vincenzo Jannacci 1935-2013) ci ha lasciato, orfani della sua professione di medico cardiologo, di benefattore e di cantante, giusto dieci anni fa, alla fine di marzo del 2013. Per l’anniversario è uscito anche un film, nelle sale la prossima settimana, intitolato con il nome della sua più celebre canzone: Vengo anch’io? no tu no!, (regia di Giorgio Verdelli, napoletano di nascita ma «che ha saputo entrare nello spirito e nella cultura milanese del cantante e grande cabarettista»).
«Nel 1967 Enzo Jannacci non se la passa male – scrive di lui la rivista Rockit.it —. È nel giro da una dozzina d’anni in cui è successo di tutto: gli inizi come pianista nei cabaret milanesi, l’amore contemporaneo per il jazz e per il rock’n’roll, i lavori con i musicisti più disparati, tra cui un nome importante del be bop come Bud Powell, urlatori come Tony Dallara, crooner come Bruno Martino, i primi rocker Giorgio Gaber, Adriano Celentano e Luigi Tenco (prima della conversione jazz). Suona nei Rocky Mountains, poi nei Rock Boys, partecipa al Primo Festival del Rock’n’Roll (18 maggio 1957, al Palazzo del Ghiaccio di Milano, in via Piranesi) come chitarrista di Celentano; quindi fonda con Gaber I due corsari, con cui incide una manciata di 45 giri. Poi, dal 1960, la carriera solista, con la svolta decisa verso un jazz facile, un be bop popolare, che si possa ballare, come si ascolta nei club e nelle balere milanesi. Tre album, La Milano di Enzo Jannacci (1964), Enzo Jannacci in teatro (1965), Sei minuti all’alba (1966), tutti per la Jolly Records, che testimoniano l’ingresso, via Gaber, nella Milano degli intellettuali engagé (Giorgio Strehler, Dario Fo, Franco Fortini, Marcello Marchesi, Walter Valdi, Luciano Bianciardi) e che gli valgono grandi consensi di critica, ma pochi di pubblico, complice anche la Rai, unica radio e tv dell’epoca, che lo passa solo «raramente, sempre sul secondo canale, sempre dopo le dieci di sera e sempre quando sul primo canale c’era la partita Brasile-Ungheria (squadra fortissima e dal calcio spettacolare tra anni ’50 e primi anni ’60, n.d.r). «Tu abbassi l’indice di gradimento», mi dicevano» (Enzo Jannacci, intervista a “L’Europeo”, 1968, n. 18).

«Vengo anch’io… no, tu no è la storia buffissima di un uomo che viene continuamente respinto, perfino dal suo stesso funerale. Fu interpretata da molti come una canzone leggera, dal testo ironico, e invece recava in sé una profondità di intenti compresa solo in minima parte. Analisi cruda di una parte di umanità relegata ai margini della società, estranea agli avvenimenti che le si verificano intorno, sia che fossero personali sia che si estendessero alla sfera sociale e politica. Un arrangiamento senza dubbio azzeccato, peculiare di un genere di musica, che in quel periodo riuscì a veicolare la frustrazione di tutti coloro che si sentivano “esclusi”. Pubblicato nel 1968 all’interno dell’album omonimo, fu scritto a sei mani con Dario Fo e Fiorenzo Fiorentini e scalò in pochissimo tempo le classifiche di vendita italiane».

Di Enzo Jannacci, del creatore del El purtava i scarp del tennis (1964, forse dedicata al padre), Dario Fo si trovò a dire:«E’ un doppio personaggio come il doppio brodo e via dicendo, cioè lui è un vero personaggio in più se l’è inventato uno dentro perché ha capito, è molto intelligente e ha capito che uno dei piaceri più grossi della gente, soprattutto dei critici, è scoprire i valori di una determinata canzone, unito al discorso, è spiegarlo all’autore. Quindi ci gioca molto a fare quello che gli vengono le cose così dal cuore. In verità, sì è vero, ha molto cuore, ma ha soprattutto cervello». Scarp del tenis sarà anche una rivista, distribuita davanti al Duomo e alle parrocchie di Milano una volta a settimana, per aiutare i e le senzatetto.

La prossima settimana è il 25 novembre, il giorno dedicato a stimolare l’eliminazione della violenza sulle donne perpetrata dai maschi, spesso loro compagni, ex compagni e, purtroppo qualche volta, figli. Il venerdì sarà il giorno del Black Friday, il venerdì nero delle occasioni nel commercio, con la vendita nei negozi dei prodotti, vestiario compreso, a prezzi scontati.
Un’attrice, Claudia Gerini, testimonial della campagna di ActionAid ha dato in un’intervista una denuncia/ provocazione: «L’attrice – scrive Laura Martellini sul Corriere Tv — rilancia la provocazione del Black freeday di ActionAid, che denuncia in un nuovo report i tagli alla prevenzione della violenza di genere». E riporta le sue parole: «Rispetto al 2022 è del 70% il taglio ai fondi sulla prevenzione della violenza di genere — sottolinea la Gerini in un video, vestita di nero, in rosso le cifre di una sconfitta — C’è uno sconto incredibile rivolto alle donne italiane che batte tutte le offerte del Black Friday: è quello dell’attuale governo sui fondi per la prevenzione, dagli oltre 17 milioni di euro del 2022 ai 5 milioni attuali stanziati per il 2023. Ma puntare al ribasso non conviene affatto». A tale proposito è citata anche Katia Scannavini, sempre di ActionAid: «In dieci anni le risorse economiche per il sistema antiviolenza sono aumentate del 156%, ma il numero delle donne uccise da uomini in ambito familiare non è diminuito. La dimostrazione di come sia un fallimento la penalizzazione dei fondi destinati alla prevenzione, nell’ultimo triennio solo il 12% del totale».

Torniamo sotto il tendone del circo. Tra acrobati, clowns, musica e voli sui trampolini. Si ride e si piange. Il circo e i suoi artisti, umani e animali, è come se nascondessero un velo di tristezza.
Un leone stanco, intimorito, quasi restio a camminare, ci ha riportato, suo malgrado, coi suoi occhi spauriti, di nuovo in questo posto. Nel circo amato da Federico Fellini, che abbiamo celebrato la scorsa settimana. Le note malinconiche, solo apparentemente vivaci, di Nino Rota, i volti di tutti i personaggi dei suoi film ci incantano come l’essenza dello spettacolo circense.
Ci hanno fatto sognare, ridere e piangere, come può fare un dolore celato con un sorriso. Ancora magia. I nani con le loro andature sbilenche e le lacrime dipinte sulle facce dei clowns offrono spettacoli di poesia, di chi sa toccare il cielo prima di noi, forse attraverso un trapezio.

Deve essere successa la stessa cosa al cantautore Francesco De Gregori. Se il regista de Lo sceicco bianco ci ha portato da loro con le immagini e la musica, Francesco De Gregori ha associato la “cascata di note” che non riusciva ad adoperare a una notizia di cronaca “vera” che riempiva un trafiletto del giornale trovato sul tavolo della cucina.
Nasce La donna cannone i cui versi, intrisi di libertà, mi hanno portato alla mente di nuovo l’avventura di Kimba… «E senza dire una parola nel cuore ti porterò…».

La donna cannone
Butterò questo mio enorme cuore tra le stelle un giorno
Giuro che lo farò
E oltre l’azzurro della tenda, nell’azzurro io volerò
Quando la donna cannone d’oro e d’argento diventerà
Senza passare per la stazione l’ultimo treno prenderà
E in faccia ai maligni e ai superbi il mio nome scintillerà
E dalle porte della notte il giorno si bloccherà
Un applauso del pubblico pagante lo sottolineerà
E dalla bocca del cannone una canzone suonerà

E con le mani amore, per le mani ti prenderò
E senza dire parole nel mio cuore ti porterò
E non avrò paura se non sarò come bella come vuoi tu
Ma voleremo in cielo in carne e ossa, non torneremo più

E senza fame e senza sete
E senza ali e senza rete voleremo via

Così la donna cannone, quell’enorme mistero, volò
E tutta sola verso un cielo nero nero s’incamminò
Tutti chiusero gli occhi nell’attimo esatto in cui sparì
Altri giurarono e spergiurarono che non erano mai stati lì

E con le mani amore, per le mani ti prenderò
E senza dire parole nel mio cuore ti porterò
E non avrò paura se non sarò come bella come vuoi tu
Ma voleremo in cielo in carne e ossa, non torneremo più

E senza fame e senza sete
E senza ali e senza rete voleremo via

(1968)
https://www.youtube.com/watch?v=PYTJZ2cOxe4

Buona lettura a tutte e a tutti contro ogni violenza verso le donne.

«Vai. Muoviti. Beato è colui che si muove». Queste parole di Olga Tokarczuk. Nobel per la letteratura aprono la rassegna degli articoli di questa settimana e vogliamo accoglierle come uno sprone a impegnarci e ad aprire gli occhi in questi tempi difficili. L’invito dell’intellettuale, scrittrice, poeta e attivista per i diritti delle persone LGBTQAI+, appassionata di attraversamento dei confini e curiosa del mondo e delle persone, è il fil rouge del numero 245 della nostra rivista. Muoversi e attivarsi è quello che hanno fatto le donne egiziane raccontate in Tante donne, una comunità, per la nostra serie Musulmane memorabili, come anche quelle presentate nella recensione al libro Velata. Hijab, sport e autodeterminazione, di Giorgia Bernardini, scrittrice che a sua volta si muove e osa abbandonare lo sguardo occidentale con cui pretendiamo di vedere il mondo, allargandolo fino a comprendere le ragioni delle scelte delle atlete di indossare o meno l’hijab. Ce lo racconta l’autrice di Donne musulmane e sport: un viaggio nelle loro esperienze. Del gesto di coraggio di due donne, per la serie “Grecità”, si racconta in Alcesti la moglie, Ifigenia la figlia, due storie di sacrificio e morte. E con quanta energia si erano mosse le partigiane, descritte in Donne antifasciste nel carcere di Perugia. Parte sesta,
le ultime ad arrivare in prigione, dove avrebbero sopportato torture e interrogatori atroci.
Le regine di Palermo. Emma Perodi e Franca Florio sono due figure femminili che meritano di essere conosciute per aver animato e smosso la vita culturale della città siciliana nel periodo della Belle Époque. Altre donne, poi, hanno svolto un lavoro prezioso nella stesura delle biografie e nella ricerca di materiale archivistico di filosofe e filosofi, come si racconta in Filosofia e Anarchismo, per la serie Bibliografie vaganti.
Il movimento è alla base di tutte le puntate della serie collegate ai podcast di Rai radiotre Lonely planet, che questa settimana ci porta Alla scoperta dell’Alaska «in un itinerario di circa 10.000 km percorsi in solitaria», una sfida da affrontare con tanto coraggio e altrettanta prudenza. Un viaggio meno lungo ma sicuramente interessante è quello che ci porterà più vicino, in Barbagia, a visitare la Mostra di un’artista poco conosciuta. L’arte della surrealista Bona de Mandiargues in mostra a Orani è l’articolo che ce la descrive.

Cambiamo argomento: «È facile comprendere quale immagine del mondo e dei rapporti tra le persone e tra i generi comunica, soprattutto ai/alle giovani, una educazione letteraria che per secoli ha tramandato un solo modello di interpretazione della realtà, riconoscendo come esclusivi depositari di quel sapere gli uomini, per legge naturale, e ponendo ai margini, condannate all’oblio o a essere considerate semplici dilettanti, le poche donne che in modo fortuito, contro ogni buona regola sociale, avevano avuto accesso alla cultura». Per un canone letterario inclusivo e paritario nella scuola superiore. Parte prima ci accompagnerà nel lungo e faticoso cammino, non ancora concluso, teso a realizzare, anche nel campo della formazione delle giovani generazioni, quanto prevede l’articolo 3 della Costituzione. Anche questa è una discriminazione nei confronti del genere femminile e la vogliamo ricordare proprio nella settimana in cui ci si muove per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema della violenza maschile contro le donne, con la relazione sul penultimo incontro del corso Genere e diversità all’origine di violenze e discriminazioni del progetto La storia siamo noi della Società italiana delle storiche, dal titolo Razzismo e discriminazione di genere in colonia. Ci si può muovere silenziosamente, come ha fatto la protagonista del film C’è ancora domani, che tanto successo sta avendo nelle nostre sale, oppure decidere che Contro la violenza, facciamo rumore! , il titolo di un bel progetto realizzato a Lodi per il 25 novembre dall’associazione Rumorossə. L’intervista alla Consigliera di parità di Ancona esperta di diritto del lavoro e questioni di genere, Violenza economica e discriminazioni sul lavoro, per la serie Cambiamo discorso è l’occasione per riflettere su forme di violenza meno visibili ma ugualmente insopportabili.

Chiudiamo, come quasi sempre, con una ricetta. Per La cucina vegana oggi consigliamo i Finocchi gratinati alle mandorle, facilissimi e veloci da preparare, e il cui sapore dolce si sposa perfettamente con quello della frutta secca.
SM

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Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpretiSiamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.

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