Schiavitù come abuso e commercio di esseri umani

La definizione di schiavitù, del vocabolario Treccani, indica che questa è «una condizione di chi è giuridicamente considerato proprietà privata e, quindi, privo di ogni diritto umano e completamente soggetto alla volontà e all’arbitrio del legittimo proprietario».
Pare che la schiavitù sia da legare alla diffusione dell’agricoltura ed è documentata nelle principali civiltà antiche sviluppatesi in Mesopotamia, Egitto, India e Cina; in ogni epoca ha alimentato un commercio redditizio, tuttavia è necessario evidenziare che la schiavitù propriamente detta in antico era fortemente legata alla conquista militare, mentre successivamente e soprattutto in età moderna, essa è sinonimo di sfruttamento economico illegale; benché la schiavitù sia stata condannata nella Convezione di Ginevra del 1926, esiste in molte parti del mondo, è solo cambiata nelle sue manifestazioni.

Gli schiavi e le schiave erano considerate degli oggetti non avevano capacità giuridica e vivevano una condizione di grande inferiorità; persino Aristotele ne dava una definizione come di “beni animati” e scrisse: «[…] Coloro che sono diversi (dagli altri uomini) come l’anima dal corpo o l’uomo dalla bestia – e sono in questo stato se il loro lavoro è l’uso del corpo, e se questo è il meglio che può venire da loro – sono schiavi per natura. Per loro è meglio essere governati secondo questo tipo di regola» (Politica, 1). Negli scritti classici emerge che un copioso numero di schiave/i garantisse il funzionamento economico di ogni città; questo modello, messo in discussione nei dialoghi di Socrate, ha commisurato il potere di un padrone di schiavi a quello di un tiranno, mentre la filosofia stoica, che fonda i suoi principi sull’uguaglianza e l’etica, sostiene che nessun essere umano è schiavo per natura.
La prima legge scritta che riconobbe dei diritti su schiavi e schiave fu il Codice Babilonese del re Hammurabi, XVIII secolo a.C., anche se il loro trattamento in pratica dipendeva dall’umanità o dalla crudeltà del possessore, per cui esistevano condizioni diverse tra loro. La principale fonte di schiavi e schiave furono le guerre, coloro che erano sconfitti venivano uccisi o ridotti in schiavitù sotto varie forme: impiegandoli nei lavori forzati, perdevano la loro libertà per debito se non erano in grado di rimborsarlo, erano venduti/e, altri lo diventavano per nascita. L’economia nel mondo greco si fondava sul lavoro servile, distinguendo uomini liberi (eleutheroi) da uomini schiavi (douloi). Le schiave e gli schiavi erano esseri umani posti in una condizione di minorità il cui “valore” si misurava sulla base della loro capacità di fornire lavoro per altri, erano privi della rete di relazioni che garantiva il valore sociale dei “liberi”. Chi era schiava/o non aveva la possibilità di disporre di sé, era possesso del padrone, tanto che non aveva personalità giuridica, era considerato parte della casa del suo padrone. La schiavitù nel mondo greco si distingueva in schiavitù individuale (appartenenza a un padrone) e schiavitù collettiva, per cui un insieme di schiave/i apparteneva alla comunità; gli/le schiave erano suddivisi in diverse tipologie:  schiavitù rurale (una condizione obbligatoria, in base alla quale i contadini non erano proprietari del suolo che coltivavano ma appartenevano alla collettività (polis) che li assegnava al cittadino che aveva diritto di possedere la terra); schiavitù-bottino di guerra (andrapodes, come merce comprata e venduta sul mercato); schiavitù per debiti (questa condizione poteva essere anche temporanea); infine vi era la schivitù per nascita. Una categoria speciale era quella dei demósioi, o schiavi pubblici, che facevano parte dell’amministrazione civica, i cui compiti erano vari, redigevano testi, amministravano gli archivi, si occupavano della contabilità pubblica. Lo sviluppo economico greco tra il VII e VI sec. a.C. produsse un incremento del numero di schiavi e schiave, arrivavano a migliaia nei porti greci sulle coste del Mediterraneo, del Mar Nero e e del Mar Egeo.

Nell’antica Roma, la schiavitù era una pratica diffusa e fondamentale per l’economia e la società. Le schiave e gli schiavi romani erano prevalentemente individui catturati in guerra o nati in schiavitù, e la loro condizione era estremamente precaria. Erano considerati come proprietà dei loro padroni, privi di diritti e completamente sottomessi alla loro volontà. Svolgevano una vasta gamma di mansioni, dalle lavorazioni agricole alle attività domestiche, dall’insegnamento alla servitù nelle miniere. Alcune schiave/i potevano godere di una certa autonomia e privilegi, ma questi casi erano piuttosto rari. La stragrande maggioranza conduceva una vita dura, spesso subendo maltrattamenti fisici e psicologici da parte dei padroni. Tuttavia, la schiavitù romana aveva alcune caratteristiche uniche, per esempio, in alcune situazioni, gli schiavi potevano accumulare denaro e persino acquistare la propria libertà, diventando così liberti. Nell’antica Roma, esistevano diverse tipologie di schiavitù, ognuna con mansioni e status sociali differenti. Ecco alcune delle principali categorie nella società romana: schiave/i agricoli, che dovevano svolgere compiti come la coltivazione dei campi, la raccolta dei prodotti agricoli e la cura del bestiame; schiave/i domestici, che lavoravano all’interno delle case dei loro padroni e svolgevano una vasta gamma di mansioni, tra cui la pulizia, la preparazione dei pasti, la cura di bambine/i, il servizio durante i banchetti e altre attività domestiche; schiave/i artigiani, come fabbri, ceramisti, o tessitori, che erano impiegati in officine o botteghe per produrre beni di consumo. Alcune schiave/i erano istruiti e assunti come insegnanti o tutori per figlie/i dei loro padroni; alcuni lavoravano per il governo romano e potevano essere impiegati in posizioni amministrative o burocratiche, avevano accesso a informazioni sensibili e potevano svolgere un ruolo significativo nell’amministrazione dell’Impero. È importante notare che la vita degli schiavi/e romane variava notevolmente in base alla loro occupazione, ai loro padroni e alle circostanze individuali. Alcuni schiavi/e potevano godere di una certa autonomia o di una migliore qualità di vita, mentre altri/e conducevano esistenze molto difficili e oppressive. La schiavitù in epoca romana è un aspetto importante della storia romana e ha avuto un impatto duraturo sulla cultura e sull’economia dell’antica Roma. La sua abolizione avvenne solo molto più tardi nella storia, con il declino dell’Impero Romano e l’avvento del cristianesimo, che portò gradualmente a una maggiore considerazione dell’umanità di tutti gli individui, comprese le/gli schiavi.
Un periodo oscuro nella storia dell’umanità legato alla schiavitù è quello del colonialismo, quando si registra la deportazione di uomini e donne verso il continente americano dall’Africa, elemento della nascita e dello sviluppo delle colonie che in breve assunse proporzioni senza precedenti, dando origine a delle economie basate sullo schiavismo. Nell’epoca coloniale, la schiavitù rappresentò un aspetto fondamentale dell’economia e della società nelle colonie europee sparse in tutto il mondo. Questo sistema di schiavitù significò rapimento, tratta e oppressione di milioni di individui provenienti principalmente dall’Africa, ma anche da altre regioni del mondo. Le schiave e gli schiavi coloniali erano considerati come proprietà dei loro padroni europei e sottoposti a condizioni di vita estremamente difficili, che implicavano il lavoro forzato nei campi agricoli, nelle piantagioni di zucchero, cotone, tabacco e nelle miniere; erano sottoposti a violenze fisiche, abusi sessuali e separazione dalle loro famiglie. La schiavitù coloniale rappresentò anche un grave caso di discriminazione basata sulla razza. Spesso era ereditaria, con le/i figli degli schiavi automaticamente considerati schiavi, perpetuando così una vita di servitù per molte generazioni.

La lotta per l’abolizione della schiavitù nell’epoca coloniale fu una delle lotte più importanti per i diritti umani nella storia. Movimenti abolizionisti emersero in Europa e nelle colonie stesse, e alla fine del XVIII e XIX secolo, diversi paesi abolirono legalmente la schiavitù. L’abolizione, tuttavia, non mise fine immediatamente al razzismo e all’oppressione, che continuarono a caratterizzare molte società post-coloniali.
La schiavitù coloniale rappresenta una parte oscura della storia dell’umanità, con impatti duraturi sulle dinamiche razziali, sociali ed economiche in molte parti del mondo. La sua eredità è ancora visibile in molte società contemporanee, che affrontano sfide legate alla disuguaglianza e alla discriminazione basata sulla razza.
Sono trascorsi un secolo e mezzo da quando Abraham Lincoln (1809-1865) politico statunitense, pone fine ufficialmente alla schiavitù e settant’anni dalla Dichiarazione universale dei diritti di ogni essere umano, 10 dicembre 1948, che la vieta. Purtroppo, nel 2023, questa forma di discriminazione ci riguarda ancora da vicino e appartiene a tutti i Paesi del mondo, infatti, tra i traffici illeciti la “tratta internazionale degli esseri umani” è seconda al traffico di stupefacenti; i più problematici rimangono i Paesi asiatici e africani. Concentrata soprattutto nei Paesi a reddito medio-alto, la nuova schiavitù non conosce frontiere etniche, culturali e religiose, limita la libertà nello sfruttamento a cui queste persone vengono sottoposte (Ginevra notizie Oil). Negli ultimi anni secondo il rapporto Global estimates of modern slavery: Forced labour and forced marriage (Stime globali della schiavitù moderna: Lavoro forzato e matrimonio forzato), nel 2021 erano 50 milioni le persone che vivevano in condizioni di schiavitù forzata, fra cui donne, bambini e bambine, maggiormente vulnerabili in un lavoro a tempo pieno, private di istruzione e gioco. Le Nazioni Unite definiscono il traffico di essere umani abuso di potere: imposto tramite la minaccia o l’uso della forza, o di altre forme di coercizione, rapimento, frode, inganno, espianto di organi per il mercato nero, oltre lo sfruttamento sessuale, diretto o a scopo commerciale.

Altra forma di schiavitù è il matrimonio precoce e forzato, legato ad abitudini e pratiche patriarcali consolidate nel tempo e riguarda donne e ragazze sposate senza poter scegliere e sottoposte a violenze fisiche e psicologiche indicibili; il numero che coinvolge le minori di sedici anni o meno, è molto più alto dalle stime attuali, le bambine non possono dare legalmente il proprio consenso al matrimonio. Qualsiasi forma di prostituzione è una schiavitù anche se non è reato in tutti i Paesi, ogni Stato ha delle proprie norme per le prestazioni sessuali: regolamenta la compravendita in forma diversa, la criminalizza, oppure si astiene. Secondo una ricerca del 2009 ogni anno sono circa seicentomila le vittime della tratta che finiscono nella prostituzione; dovuta alla richiesta di sesso a pagamento, sia esso legale o illegale, che spinge le organizzazioni criminali a soddisfare la richiesta. La legalizzazione della prostituzione ha luogo nei Paesi in cui la professione è esercitata liberamente, con la richiesta di una licenza, pagando le tasse, in Olanda e in Germania è legale così come le case chiuse; legalizzarla dovrebbe scoraggiare l’impiego di vittime del traffico di essere umani, ma i dati dimostrano il contrario. Due studi, uno pubblicato sulla rivista World Development e l’altro della New York University, entrambi nel 2013, conducono allo stesso risultato: Germania e Olanda sono destinazioni importanti delle persone trafficate illegalmente; in Germania il numero delle vittime coinvolte nella prostituzione è aumentato dal 2002, anno in cui il mercato del sesso è stato liberalizzato. La ragione economica dietro a questa realtà è che la legalizzazione della prostituzione ne accresce la richiesta e rende più attrattivo il mercato delle organizzazioni criminali, che amplia l’offerta, per soddisfare le richieste dei clienti con donne dai tratti “esotici”. In Italia la prostituzione non è vietata, lo Stato si limita a impedire il favoreggiamento e lo sfruttamento per scoraggiarla, ma il non controllo fa sì che il mercato rimanga attivo e non rende minore la presenza di vittime della tratta di persone. Lo studio della New York University suggerisce, per ridurre il traffico di essere umani senza limitare la possibilità di fare della prostituzione il proprio lavoro, il modello tra la legalizzazione olandese e la criminalizzazione svedese, in cui lo Stato rende legale il sesso venduto in possesso di una regolare licenza, mentre perseguirebbe i clienti che lo comprano da prostitute non autorizzate: il rischio di pene severe renderebbe meno attrattiva la tratta degli esseri umani.
Sebbene la migrazione sia positiva per il lavoro su famiglie, comunità e società, il lavoro forzato diventa schiavitù e particolarmente vulnerabili sono appunto le/i migranti, a causa di una migrazione irregolare e di reclutamenti illeciti e non etici. Grace Forrest, fondatrice e direttrice di Walk Free, ha dichiarato: «La schiavitù moderna è l’antitesi dello sviluppo sostenibile. Eppure, nel 2022, essa continua a essere parte dell’economia globale; il problema è causato da crimini umani, legati sia alla schiavitù come fenomeno storico sia alla persistenza di disuguaglianze strutturali. In un periodo di crisi interconnesse, una vera volontà politica è la chiave per porre fine a queste violazioni dei diritti umani». In sintesi, abbiamo creato praticamente una schiavitù basata sul diritto del sopruso, dove il possessore ha il controllo assoluto delle vittime, utilizzate finché serve, poi rimpiazzate con altra merce. Quindi occorrerebbe: migliorare e applicare le leggi adottando misure più incisive, mettere fine al lavoro forzato, contrastare l’aumento della tratta nelle imprese e nelle filiere di fornitura, rafforzare la protezione sociale e le tutele legali, compreso l’innalzamento dell’età legale del matrimonio a diciotto anni, fornendo un maggior sostegno alle donne, alle ragazze e alle persone più vulnerabili; dunque per raggiungere questo obiettivo necessita un coinvolgimento generale di tutti e tutte.

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Articolo di Giovanna Martorana

PXFiheft

Vive a Palermo e lavora nell’ambito dell’arte contemporanea, collaborando con alcuni spazi espositivi della sua città e promuovendo progetti culturali. Le sue passioni sono la lettura, l’archeologia e il podismo.

Un commento

  1. Leggendo questo articolo, mi rendo conto che l’essere umano è peggiorato nei secoli. Ottima ricostruzione storica. Mi lascia tanta amarezza, ma fotografa la realtà dei fatti.

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