Quando un autore o un’autrice pubblicano un libro consegnano al mondo che li leggerà la propria visione delle storie e dei fatti narrati, una prospettiva non neutra e oggettiva ma del tutto personale. Lettori e lettrici, a loro volta, si impossessano di quella visione trasformandola in un’altra, altrettanto particolare e personale, in cui loro stessi/e si misurano e si riflettono con le loro storie e i loro avvenimenti.

È ciò che fanno Roberta Ortolano e Samanta Picciaiola nella pubblicazione Sono stata anch’io bambina. Dialoghi con Elena Gianini Belotti, edito di recente da Biblioteca di Sofia. A cinquant’anni di distanza dall’uscita del libro Dalla parte delle bambine e a un anno dalla scomparsa di Elena Gianini Belotti, ci regalano la loro visione dell’autrice e della sua scrittura che tanto ha influenzato il mondo femminista e quello pedagogico-educativo. Lo fanno in un modo particolare, non montando in cattedra ma dalla cattedra. Mi scuso per il gioco di parole, necessario per aprire un punto fondamentale. Le due autrici, che sono state bambine, poi ragazze e ora sono docenti e portano ancora con loro “i bagagli” precedenti, non intendono insegnarci che cosa ha scritto Elena Gianini Belotti: vogliono spiegarci piuttosto cosa ha significato per loro leggere le sue opere senza dismettere i panni di quello che sono e sono state in passato. Ortolano e Picciaiola non congelano le loro esperienze bensì le introducono nelle pagine del libro e le consegnano a lettori e lettrici perché possano a loro volta recuperare il proprio vissuto. Ci si ritrova ‒ a me è capitato ‒ in un gioco di immagini e riflessi capace di trasportare in una dimensione caleidoscopica i testi di Gianini Belotti, in una lettura corale come «[…] quando più giovani, ragazzine, […] si leggeva ad alta voce per rimanere più uniti e per apprendere meglio la lingua». Non a caso queste parole di Maria Luisa Muscatello, grazie alla quale è nato un fondo presso la Biblioteca delle donne di Bologna denominato Biblioteca di Sofia, sono le prime in assoluto nel testo di Ortolano e Picciaiola, precedendo la prefazione e l’introduzione.


Le autrici dichiarano subito il loro agire: «Questo libro nasce da un desiderio di riappropriazione di spazio e parole, della legittimità di un dire posizionato. E la posizione che accomuna noi autrici è quella della scuola». Le ha spinte nell’impresa la convinzione di non voler «scrivere nei termini di una trattazione sistematica e scientifica dell’opera di Gianini Belotti […], ma che ci chiamasse a lei il necessario interrogarsi che la relazione educativa sempre richiede».
Hanno suddiviso il piccolo volume in due parti, scegliendo ognuna un libro, quello che ha maggiormente «sedotto» la personale sensibilità: Roberta Ortolano si cimenta con Dalla parte delle bambine, Samanta Picciaiola con Prima della quiete. Storia di Italia Donati. Ne nasce una sorta di pacato «corpo a corpo» con quanto letto, «un viaggio, un’esplorazione, […] in ascolto di ciò che il testo anima e muove». Mi trovo d’accordo con quanto affermano le autrici: non è uno scritto a quattro mani, ma «un dialogo a due cuori» che nella sensibilità, nei ricordi personali e nel mettersi a nudo attraverso l’esperienza di lettura e di vita, trova il filo comune di un delicato ricamo che unisce tutto.
Un dialogo molto ravvicinato quello che le due autrici costruiscono con l’opera di Elena Gianini Belotti. Una vicinanza che nasce da una solida base comune, fatta di riflessioni teoriche ed esperienze di studio affiancate alla pratica, all’osservazione (anche di se stesse) e a valutazioni sul campo. Lo stesso cammino intrapreso da Gianini Belotti molto tempo fa.

Roberta Ortolano si confronta coi temi posti fa dal libro Dalla parte delle bambine. Riflette sulle abitudini culturali e sulle forme di pensiero ritenute “naturali” per le donne, così difficili da scardinare, sui meccanismi di imitazione e identificazione delle bambine e sulla “vendetta generazionale”, che ancora pervadono i rapporti tra infanzia e mondo genitoriale, sui condizionamenti sociali e sulla corsa tutta femminile verso la perfezione, insomma sui numerosi e onnipresenti stereotipi. Anche se il mondo sembra essersi trasformato, molti temi e problemi restano quelli di allora, se ne «sente parlare come se fossero un dato innato […] senza accorgersi che questi aspetti apparentemente innocui costruiscono il terreno fertile per la crescita della violenza di genere». Si interroga Ortolano e analizza la propria realtà, passata e presente, compresa quella professionale, utilizzando contributi culturali che cinquant’anni fa non esistevano e che allargano il pensiero, come è giusto che sia. Per l’autrice quello che emerge dalla lettura del libro Dalla parte delle bambine è «un senso di conferma», nonostante gli anni trascorsi; vi ritrova il «contenuto sovversivo e liberatorio dallo stereotipo della femminilità e mascolinità uniche», che mantiene il testo «infinitamente aperto, ricco e avveniristico. Quanto ancora, nonostante tutti i cambiamenti culturali e legislativi, la realtà è come la descrive Gianini Belotti viene da chiedersi. Lo è, nei fatti, moltissimo». Quella che cinquant’anni fa è stata condotta sulla «libertà delle bambine e dei bambini, sacrificata sull’altare della cultura patriarcale», è stata un’analisi «molto severa perché realistica», che trova conferme ancora oggi ma, suggerisce Ortolano, «da qualche parte quella libertà ha agito nel segno della ribellione generando possibilità nuove».
Ha ancora un senso stare dalla parte delle bambine domanda l’autrice in primo luogo a se stessa, ma anche a noi tutte/i e, a distanza, a Elena Gianini Belotti? Si, ha ancora un senso molto forte e molto impegnativo: «rappresenta una scelta partigiana che, esattamente come quella antifascista non sostiene una parte sull’altra, non agisce a scapito dell’altra, non appartiene a una squadra o peggio a uno squadrismo, ma libera tutte e tutti».

Sceglie il libro Prima della quiete. Storia di Italia Donati invece Samanta Picciaiola. Addentrandosi tra le pagine del romanzo di Gianini Belotti, l’autrice sente crescere i legami con le insegnanti di fine Ottocento, nonostante il molto tempo passato e i miglioramenti sociali e professionali avvenuti. La femminilizzazione della professione docente nei gradi inferiori dell’istituzione scolastica resta un tratto caratteristico dal tempo di Italia Donati. La figura della maestra rimane ancora fortemente segnata dalla sovrapposizione con quella della madre, entrambe “pensate” come naturalmente predisposte verso l’infanzia, piene di spirito di abnegazione, con le azioni didattiche che si vorrebbe sfumassero in quelle dell’accudimento. Lo spiega Ortolano, lo riprende Picciaiola confermando che le parti di questo «dialogo a due cuori», pur conservando forti autonomie di linguaggio e di scrittura, di sguardi e di esperienze, restano collegate.
La tendenza diffusa a non considerare il valore economico e sociale delle forme di cura compiute quotidianamente dalle donne, si riverbera sulle azioni che le docenti svolgono all’interno delle classi di scuola primaria. Sono ancora considerate il gradino più basso del percorso scolastico non perché poste all’inizio della fase di crescita di bambine e bambini, ma perché ritenute di minor spessore culturale; resiste una vena di scarsa stima sociale se ancora ci si aspetta che una maestra sia più buona che preparata, competente ed efficace; persiste l’idea che la professione magistrale sia pur sempre “un mestiere da donna” per il quale è più necessaria l’indole mite rispetto alle esperienze di studio e alle specializzazioni; non si interviene sulle differenze di trattamento economico e né sui limitati riconoscimenti sociali e restano ancora pochi i maestri, considerati bizzarre eccezioni buone a confermare la regola generale delle maestre/madri.
La storia di Italia Donati, ricostruita vent’anni fa con rigore ed empatia da Gianini Belotti, mantiene tratti comuni con il tempo presente, soprattutto con il vissuto di Samanta Picciaiola che non ha dubbi sulla necessità di condividerlo e squarciare i veli che impediscono di guardare con chiarezza il ruolo delle insegnanti della scuola primaria.

Nelle figure femminili raccontate nel libro su Italia Donati, Elena Gianini Belotti ha voluto tratteggiare una sorta di «fenomenologia della discordia», per dirla con le parole di Picciaiola, che pone degli interrogativi sul «grande e mai superato fraintendimento della sorellanza». La dimensione conflittuale del femminile è stata narrata in modi differenti nelle pagine di Prima della quiete, guardando sia all’incomprensione materna nei confronti della figlia maestra, sia indagando i rapporti con le altre donne che intorno a Italia alimentano il clima feroce di ricatti, accuse e ingiurie fino al drammatico epilogo. I conflitti tra le donne, afferma Picciaiola, esistono nella misura in cui il potere maschile viene fortemente esercitato e riesce ad allontanare e disgregare quello che dovrebbe essere un naturale sentimento di solidarietà femminile. Picciaiola individua nelle pagine del romanzo di Gianini Belotti le dinamiche dei piccoli poteri individuali in mano alle donne, le ricontestualizza nel presente dichiarando che ancora esistono e «ricalcano lo stesso atavico modello», colpendo sia dentro che fuori le mura scolastiche. È successo anche a lei, giovane docente in una piccola scuola della periferica provincia italiana, di finire nel gorgo dei sospetti, delle dicerie, degli attacchi; ritrova però i medesimi meccanismi anche in contesti in cui dovrebbe essere più spontaneo agire in nome della solidarietà femminile. La scrittura di Picciaiola si svolge in analisi penetranti, ampiamente meditate ma anche dolenti, nate cioè da reali momenti di dolore provato. Non a caso l’autrice dichiara, all’inizio della sua trattazione, di aver vissuto il romanzo Prima della quiete come «una pratica di autocoscienza sotto forma di prosa».
Il controllo sociale del corpo femminile unisce epoche lontane e mondi diversi e se Gianini Belotti definisce Italia Donati come «uno dei primi casi di martire del sessismo», Picciaiola volge lo sguardo a quelle realtà del pianeta in cui le donne non sono libere di esprimersi, di agire, di essere. Il corpo femminile è il filo che unisce la drammatica storia della maestra Italia Donati al vissuto della giovane maestra Samanta Picciaiola agli inizi degli anni Duemila e, infine, al suo e al nostro presente. I corpi sono elementi centrali nella vita scolastica e «dire corpi vuol dire pensarne tanti, diversi, con differenti abilità, in cerca di identità e trasformazioni, giovani certo, infanti e puberi ma anche senescenti, maturi eppure ancora divergenti. […] Senza corpi non abbiamo educazione alla libertà e la libertà sarà anche quella di invecchiare, di concederci stagioni diverse dall’eterno presente, da quel fermo immagine dei corpi stereotipati a cui ci condanna il mito consumistico della bellezza».
Roberta Ortolano e Samanta Picciaiola dialogano con l’opera di Elena Gianini Belotti e permettono percorsi di esplorazione interiore e di confronto anche a lettrici e lettori. Muoversi dentro se stesse/i per agire sul cambiamento, sempre più urgente, sempre più indispensabile: la scelta fatta dalle due autrici risulta quindi intensamente politica. Lo lascio dire a loro: «Politica è stata la scelta di mantenere i nostri scritti sul piano personale, autobiografico e a tratti intimo, perché fosse evidente a chi legge la nostra volontà di metterci a nudo […] perché fosse chiaro che cultura, per noi in quanto femministe, è confronto e relazione, è il qui e ora e non un regno di oggetti definiti, codificati dentro una tradizione e presidiati e trasmessi sul filo dell’auctoritas».
Siamo state tutte bambine, con i mutamenti, la forza della ribellione e la ricerca della libertà proprie dell’infanzia e dell’adolescenza. Lo siamo state e se non lo siamo più, forse converrebbe tornare a esserlo.
In copertina: la classe di asilo di Elena Belotti e di suo fratello Guido nel 1934. Elena è la prima bambina in piedi a sinistra davanti alla suora. Archivio privato Barbara Belotti.

Roberta Ortolano, Samanta Picciaiola
Sono stata anche io bambina. Dialoghi con Elena Gianini Belotti
Biblioteca di Sofia, Roma, 2023
pp. 156
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Articolo di Barbara Belotti

Dopo aver insegnato per oltre trent’anni Storia dell’arte nella scuola superiore, si occupa ora di storia, cultura e didattica di genere e scrive sui temi della toponomastica femminile per diverse testate e pubblicazioni. Fa parte del Comitato scientifico della Rete per la parità e della Commissione Consultiva Toponomastica del Comune di Roma.

Grazie alle autrici, tutte, dalla ”storica” Elena che ha segnato il nostro percorso di crescita a queste giovani che la ripropongono, fino a chi le recensisce sottolineando la questione fondamentale della corporeità, ancora da esplorare con attenzione. Grazie davvero.
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