Carissime lettrici e carissimi lettori,
«C’era una volta… una principessa? Macché! C’era una volta una bambina che voleva andare su Marte. Ce n’era un’altra che diventò la più forte tennista al mondo e un’altra ancora che scoprì la metamorfosi delle farfalle». Si chiamavano Serena Williams o Malala Yousafzai, Rita Levi Montalcini o Frida Kahlo, Margherita Hack o Michelle Obama o avevano altri nomi e cognomi, ma tutte hanno trovato la volontà di avverare un sogno di carriera, di vita, indipendentemente o malgrado fossero donne!
Con la loro esistenza tante donne, anche molte di più di cento, hanno dato l’esempio alle bambine incoraggiandole, perché sappiano fin da piccole che ce la possono fare, che possono costruire il mondo secondo i loro desideri.
Belle favole da leggere alle ragazzine (e, perché no, anche ai ragazzini) prima di andare a dormire, secondo quanto detta il titolo di un libro, per far capire che non ci sono ostacoli insormontabili per le femmine.
Storie della buonanotte per bambine ribelli. 100 vite di donne straordinarie mette in fila la vita di cento donne raccontate da Elena Favilli e Francesca Cavallo (per Mondadori, 2020) e ritratte da 60 illustratrici provenienti da tutto il mondo. Insomma, un libro tutto al femminile, un testo fatto di storie di valore didattico che a maggio di un anno fa ha raddoppiato con un secondo volume e altre 100 storie di donne, stavolta tutte contemporanee, da Luciana Littizzetto a Jasmine Trinca, da Paola Cortellesi a Paola Turci e alla scrittrice e cantautrice Levante.
Nei due volumi ci sono, spiegate alle bambine e ai bambini (è indicato per lettori e lettrici dagli otto anni in su), scienziate, pittrici, astronaute, sollevatrici di pesi, musiciste, giudici, chef, politiche antiche e moderne: Cleopatra, per esempio, è una delle protagoniste del primo libro. Tutte donne che si pongono come «esempi di coraggio, determinazione e generosità per chiunque voglia realizzare i propri sogni».
Se la data dell’8 marzo, appena festeggiato ieri, ci ricorda che deve essere celebrata “tutto l’anno”, questo libro (i due volumi) aggiunge al detto precedente un’altra importante mission, per dirla con un termine poco autarchico (!), ma molto di moda: la giornata internazionale per i diritti della donna deve esistere non solo tutti i giorni, ma anche per tutta la vita, iniziando dall’infanzia. Deve essere formatrice di ogni piccola donna e indicare anche ai maschi, fin da piccoli, che le affiancheranno sempre per il mondo, che la parità di genere può dare i suoi frutti, quotidianamente, in ognuna di noi.
Analizziamo la parola donna e la vediamo come appare nelle varie lingue, antiche e moderne. Il termine in italiano viene dalla parola latina domna, domina, padrona, a differenza di quanto succedeva in Grecia dove l’uomo aveva il ruolo pubblico e la donna era relegata in spazi domestici con obbedienza al padre e poi al marito. Tutto questo combaciava con il significato della parola γυνή che nella sua seconda accezione voleva dire sposa, nella terza concubina e moglie e nella quarta ancella. Dall’Europa antica alla Cina. Il pittogramma che rappresenta la parola donna indica una figura femminile in ginocchio ed è alla base di altri termini cinesi che indicano la madre, la moglie, la sorella (minore e maggiore). In un periodo più antico, però, la società cinese era matriarcale e sarà per questo che lo stesso pittogramma si lega al termine cognome, formazione del cognome! In arabo termine donna è imr’a, che deriva dal termine maschile imr’ che vuol dire, appunto, uomo o essere umano. Pertanto, il termine donna si realizza aggiungendo una ta’ marbuta che è la lettera per formare il femminile, al termine uomo. Sempre legato alla stessa radice è la parola murua’ che vuol dire virilità o anche mascolinità».
Tornando in Europa troviamo una curiosità: mujer in spagnolo e muher in portoghese rimandano al latino muler o mulleris che vuol dire acquoso, molliccio, indicativo, in una civiltà patriarcale, di fragilità, di sottomissione. In albanese, la lingua più antica europea, per dire donna ci sono due parole: grua, che dovrebbe venire dal greco e indicare la donna anziana, e Femer che deriva dal latino Femina. Anche la lingua tedesca ha due termini: weib e frau. Quest’ultimo significa signora ed è ambiguamente legata al maschile frou.
Ecco i significati in inglese spiegati da Francesco Iacovelli, referente di lingua inglese per Anlis Basilicata: «La parola woman deriva dall’antico inglese wimman-wiman al singolare e wimmen al plurale, letteralmente woman-man, alterazione di wifman (singolare) e wifmen (plurale) che faceva riferimento anche al ruolo di donna inteso come domestica. Un composto di wif – woman – più man, ovvero human-being. Ciò che era importante per la formazione della parola donna, era l’affiancamento del wif al man. Per quanto riguarda lady, essa deriva dal 1200; parola proveniente dall’antico inglese hlæfdige, ovvero donna di un padrone (lord) o anche colei che impasta il pane, dall’unione della parola hlaf ricollegata a bread (pane) più dige che vuole significare maid (domestica) la cui parola è collegata a dæge, cioè creatrice di impasto per il pane. Con il trascorrere del tempo, però, vediamo come dalla parola lady si possano intendere diverse sfaccettature, per esempio, sempre nel 1200, questa parola definiva la donna come una persona di una posizione superiore all’interno della società; nel 1300 raffigurava, invece, la donna scelta come oggetto di un amore cavalleresco. Nel 1861, lady voleva significare: donna che ha una buona posizione di rango sociale grazie ai suoi modi e alla sua sensibilità. Dal 1890 la parola è usata comunemente per indicare qualsiasi tipo di donna». E ancora: Женщина in russo, zan in persiano, khatun in hindi e in urdu, kadın in turco, warmi in lingua quechua, mani in lingua uza: sono tutte parole che racchiudono l’etimologia della parola donna che cerca, nei secoli dei secoli, il suo spazio. Partendo sempre da quel passaggio, per niente facile e, anzi, violento, tra matriarcato e patriarcato (fonte RadioBullets, marzo 2021).
Possiamo, possono le donne, guardare con più sollievo al futuro. Ma la strada, come si dice, è lunga e per niente facile. Non c’è solo la carriera e l’essere riuscite a toccare le professioni prima aperte solo agli uomini (e per questo dobbiamo tanto all’intraprendenza e al coraggio di Rosanna Oliva De Concilis che ha aperto alle donne le professioni pubbliche alle quali non avevano, negli anni Sessanta del secolo scorso, ancora accesso). Ci sono altre cose che invalidano l’agire delle donne nel sociale e nella loro realizzazione paritaria con i maschi. Le differenze sono ancora tante e tanti i pericoli che devono affrontare le donne, dentro e fuori casa. Fuori casa le donne lavorano di meno degli uomini. Secondo Openpolis «molto spesso le donne incontrano maggiori difficoltà a trovare un impiego e a coprire ruoli di prestigio e responsabilità. Complici anche gli stereotipi riguardo al lavoro familiare e di cura, si ritrovano più spesso inattive: una condizione che riguarda il 30,5% delle donne europee, quasi 10 punti percentuali più degli uomini. Oppure sottoccupate, costrette a lavorare meno tempo per dare spazio alle attività domestiche». Nella stessa ricerca (datata 2023) l’Italia è il secondo Stato membro dell’Unione Europea con il divario più ampio, di circa 20 punti. Se le donne hanno figli sono poi penalizzate tantissimo, mentre tra gli uomini con figli lavora ben il 90%. Secondo il Sole 24ore «nel mondo del lavoro la parità tra uomini e donne è ancora lontana: la differenza salariale tra uomini e donne nel settore privato raggiunge, nel 2022, quasi 8 mila euro l’anno. Lo dicono i dati dell’Osservatorio sui lavoratori dipendenti del settore privato dell’Inps che registra un gender pay gap di 7.922 euro. La retribuzione media annua complessiva di chi lavora in Italia è di 22.839 euro; per il genere maschile è di 26.227 euro contro i 18.305 euro del genere femminile. Le differenze sono marcate anche tra i territori con le retribuzioni medie nel 2022 più elevate nell’Italia settentrionale, pari a 26.933 euro mentre per Sud e Isole le medie sono di 16.959 e 16.641 euro. Tra le Isole e il Nord-Est la differenza è di 7.333 euro».
Dentro casa le donne subiscono un lavoro di cura trasparente, non considerato e tanto meno retribuito. Poi la violenza che non si ferma. Violenza psicologica, economica, violenza fisica, fatta di botte e, sempre più spesso, sfociante in un femminicidio che vede coinvolti figlie e figli e non solo spettatori, ma anche uccisi/e. Solo l’anno scorso si sono contate 120 vittime per mano di un compagno, marito o ex marito e la cronaca si riempie di sangue con i numeri di questo 2024 che conta, a fine febbraio, già 10 morte ammazzate.
Insomma, l’uomo, il maschio, la fa ancora da padrone, come si dice. La donna spesso di fronte a un marito in carriera fa un passo indietro e rinuncia alle sue possibilità. Una storia che capita in maniera più frequente di quanto pensiamo. Un esempio, diventato di pubblico dominio, è quello che ha riguardato Fabio Roia, 63 anni, promosso, a febbraio scorso, come nuovo presidente del Tribunale di Milano. Ma per farlo, e per evitare conflitti di interesse, la moglie Adriana Cassano Cicuto, giudice e presidente di Sezione, ha dovuto cambiare ruolo e passare in Corte d’appello. Roia, che si è sempre professionalmente interessato di parità di genere, ha iniziato il suo discorso di investitura parlando di questa scelta della sua compagna di vita: «Devo formulare un atto forse di scuse alla Presidente Adriana Cassano Cicuto, giudice che conoscono molto bene e sulla cui persona ho scommesso la mia vita, la quale ha rinunciato alle funzioni semidirettive giudicanti presso il tribunale per evitare situazioni di incompatibilità e consentirmi di celebrare con voi questo momento. L’unica ombra. Perché emerge sempre la questione di genere con la donna che deve arretrare per fare spazio all’uomo. Da parte mia il desiderio e l’impegno che in un momento davvero prossimo si possa dire e fare il contrario, attraverso la creazione di una effettiva parità di chance fra donna e uomo in tutte le articolazioni della società, con l’uomo che senza frustrazioni rinunci a favore della donna».
Durante lo stesso discorso il giudice Roia ha nominato anche un’altra donna, Ilaria Salis: «La credibilità della magistratura – ha detto — si conquista anche evitando elementari violazioni di regole del doveroso rispetto dell’individuo. Nel nostro tribunale non devono accadere situazioni come quelle che hanno riguardato la persona Ilaria Salis o che possono riguardare una donna vittima di violenza non creduta perché priva di una vita ritenuta lineare».
La musica porta distensione e gioia. Una canzone, seppure triste, ci fa abbandonare ai nostri pensieri e ci dà coraggio. A cantare questo brano sulla condizione femminile, intimistico, ma universale, è l’indimenticabile Mia Martini (1947-1995) della quale si è scritto che possedeva «duttilità nel passaggio fra i vari registri e una vocalità capace di coniugare note passionali a note più drammatiche con facilità, nonché caratterizzata dal suo essere sofisticata e con una forte intensità interpretativa».
La canzone si intitola Donna e l’autore è Enzo Gragnaniello.
Donne piccole come stelle
C’è qualcuno, le vuole belle
Donna solo per qualche giorno
Poi ti trattano come un porno
Donne piccole e violentate
Molte quelle delle borgate
Ma quegli uomini sono duri
Quelli godono come muli
Donna come l’acqua di mare
Chi si bagna vuole anche il sole
Chi la vuole per una notte
C’è chi invece la prende a botte
Donna come un mazzo di fiori
Quando è sola ti fanno fuori
Donna, cosa succederà
Quando a casa non tornerai?
Donna, fatti saltare addosso
In quella strada nessuno passa
Donna, fatti legare al palo
E le tue mani ti fanno male
Donna che non sente dolore
Quando il freddo gli arriva al cuore
Quello ormai non ha più tempo
E se n’è andato soffiando il vento
Donna come l’acqua di mare
Chi si bagna vuole anche il sole
Chi la vuole per una notte
E c’è chi invece la prende a botte
Donna, donna come un mazzo di fiori
Quando è sola ti fanno fuori
Donna, cosa succederà
Quando a casa non tornerai?
Donna come l’acqua di mare
Chi si bagna vuole anche il sole
Chi la vuole per una notte
E c’è chi invece la prende a botte
Donna come un mazzo di fiori
Quando è sola ti fanno fuori
Donna, cosa succederà
Quando a casa non tornerai?
Buona lettura a tutte e a tutti. Forza a tutte le donne!
«Dietro un grande uomo c’è sempre una donna stupefacente». Con queste parole di Lella Costa, pronunciate per ricordare Lidia Poët e il giardino di San Pietro in Gessate a Milano, inizia la presentazione degli articoli di questo numero, che si pubblica nella settimana dell’8 marzo e a pochi giorni dal compleanno di questa rivista nata il 16 marzo 2019: candeline che celebrano il lustro dalla nascita di vitaminevaganti.com e i suoi 261 numeri in attivo!
Un’iniziativa toponomastica, questa volta a Firenze, ci fa conoscere Fedora Barbieri, una donna fuori dal coro, grande cantante lirica e donna dall’energia inesauribile. Proprio nella ricorrenza della Giornata internazionale dei diritti delle donne vengono qui proposti tre contributi “non allineati” al clima mainstream imperante: Maiuscolo singolare, minuscolo plurale, Sulla maternità basta, vi prego, e Il nome che non c’è.
Alla scoperta di figure femminili poco conosciute, per Le Grandi assenti, incontriamo Sarah Stone, pittrice e illustratrice britannica di storia naturale e scientifica, e in Via Nomentana n°315. La casa dell’infanzia di Anita Pallenberg , «l’icona indiscussa della cultura giovanile e musicale degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso», dalla vita nomade, inscindibilmente legata a quella dei Rolling Stones. La fiorentina Francesca Caccini è la musicista di Calendaria 2024, un’altra figura interessante e poco conosciuta. Rossella e Lietta. Storia di due insegnanti a Sora, è la puntata più recente della serie dedicata a questa cittadina e alla storia femminista che l’ha contraddistinta.
Donne in guerra, per la serie “Bibliografie vaganti”, è la seconda parte di una ricerca già comparsa sulla nostra rivista.
Dall’esperta di fantascienza al femminile riceviamo in dono, questa settimana: Racconti brevissimi di Daniela Piegai. Le stelle parlano una lingua straniera. L’altro consiglio di lettura proposto è raccontato in Quando un libro parla proprio di te, un diario al femminile che descrive una montagna diversa da quella raccontata negli spot pubblicitari.
Per il Laboratorio “Flash-back” questa volta leggiamo: St’la fè stüdià da fa, ch’la gha da spusas? un ricordo degli anni Settanta che ci parla di uno stereotipo di genere ancora duro a morire.
Chiudiamo, come sempre, con la ricetta vegana di questa settimana: Zucca gratinata al forno, un piatto gustoso con cui coccolare il nostro stomaco e il nostro palato, augurando a tutte e tutti Buon appetito.
SM
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Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpreti; Siamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.
