Vite intrecciate, fili di speranza. Introduzione

Trent’anni fa, dal 5 al 13 settembre 1994, si è tenuta al Cairo la Conferenza Internazionale sulla Popolazione e lo Sviluppo (Icpd), promossa dalle Nazioni Unite. Al centro delle discussioni, oltre a numerose questioni sociali fra cui l’immigrazione e diversi aspetti riguardanti la popolazione, vi era il tema della salute riproduttiva e dei diritti a essa riconducibili. Gli accordi fra gli enti governativi coinvolti hanno portato a un risultato significativo che ha permesso un miglioramento delle condizioni per le donne di tutto il mondo. Approfondendo il report presentato dalla dott. Natalia Kanem del volume Interwoven Lives, Threads of Hope: Ending inequalities in sexual and reproductive health and rights all’inizio del volume leggiamo che, durante questi decenni, i risultati ottenuti possono essere considerati incoraggianti: si stima che le gravidanze indesiderate siano notevolmente diminuite, assieme ai decessi materni. 

Questo, dopotutto, non è ancora abbastanza: la violenza di genere rimane tutt’oggi una problematica irrisolta e dal 2016 il numero di morti in gravidanza è rimasto invariato; inoltre, le donne devono ancora fare i conti con le conseguenze di una società che impedisce loro di poter decidere liberamente sul proprio corpo. Questa drammatica situazione è il prodotto dell’ineguaglianza dei diritti e delle possibilità fra diversi gruppi di ragazze e donne, a causa di diversi luoghi di provenienza, condizioni economiche e sociali, orientamenti sessuali e disabilità. Dai dati raccolti, emerge che la parte di popolazione femminile che più ha beneficiato dei cambiamenti in materia di salute riproduttiva è quella che risultava più facilmente raggiungibile: alcuni gruppi di minoranze o di comunità considerate emarginate non hanno potuto assaggiare i frutti di questo progresso, rimanendo purtroppo ancorati a disuguaglianze e sistemi del passato. Vittime in prima linea di queste complicazioni sono in primo luogo alcune donne di origine africana che non ricevono adeguati trattamenti ostetrici e le donne indigene che hanno a che fare con pratiche rischiose durante tutto il corso della loro gravidanza, dalla gestazione al parto, senza dimenticare le ragazze con disabilità o facenti parte della comunità Lgbtqia+; eppure, non si tratta esclusivamente di un fattore culturale: la sanità è colpita da una mancanza di fondi anche e soprattutto nel settore ginecologico e ostetrico, che non permette un accesso stabile e sicuro alle pratiche sanitarie. 

Secondo Kanem, è necessario continuare a lavorare per la salute delle donne, in continuità con quanto stabilito nella Icpd: la sfida deve mettere al primo posto quella popolazione femminile estremamente coinvolta in fenomeni di disuguaglianza ed esclusione, e per farlo bisogna agire in profondità e sradicare gli effetti di questi modelli nocivi; questo impegno, portato avanti con le azioni e le rivendicazioni di attiviste, da quelle femministe a quelle ambientaliste, può avere effetti benefici su tutta la società garantendo equità, oltre che uguaglianza, con un riscontro sicuramente sociale, ma anche economico.  

Nel rapporto Vite intrecciate, fili di speranza: porre fine alle disuguaglianze nella salute e nei diritti sessuali e riproduttivi che avremo modo di studiare a fondo, ad avere un ruolo essenziale sono le testimonianze delle ragazze e delle donne che hanno permesso, a fronte di un gran numero di dati e informazioni raccolti, di valutare «l’impatto dell’accesso ai servizi sulla salute sessuale e riproduttiva in tutto il mondo».  
Il primo capitolo ci offre una panoramica sulla situazione generale e corrente sui diritti e sui passi in avanti compiuti in questi ultimi tre decenni, a seguito della Conferenza: di questo progresso, dopotutto, non riescono a beneficiarne tutte le donne, seppur segnali incoraggianti possano portare a credere il contrario, in parte grazie a una maggiore (ma non totale) uguaglianza di genere fra sessi. Infatti, in alcune aree del mondo, procedure sanitarie di prassi sono ancora un lontano obiettivo da raggiungere e, purtroppo, a contribuire è la mancanza di interesse e di dati tangibili in tutto il mondo sulla salute riproduttiva femminile. Infatti, anche solo sfogliando i capitoli centrali, abbiamo l’opportunità di trovarci di fronte a una serie di dati e report che restituiscono un quadro tristemente preciso su diversi aspetti inerenti a questa tematica: dalle donne che non hanno accesso a procedure di interruzione di gravidanze sicure, alle ragazze che hanno vissuto episodi di violenza e abuso, alle discriminazioni basate sulla provenienza o sull’orientamento sessuale. Tuttavia, non tutto è perduto: l’educazione sessuale, la possibilità di decidere liberamente sul proprio corpo e, si spera al più presto, la fine dei soprusi di genere possono fare la differenza. Ma come possiamo permetterlo? Nel quinto capitolo, fra le prime pagine, leggiamo una frase di Lilla Watson che è la chiave per le nostre azioni «Se sei qui per aiutarmi, credimi, stai sprecando il tuo tempo. Ma se vieni qui perché la tua liberazione è legata alla mia, allora dobbiamo impegnarci insieme». Cogliamo, quindi, questo invito e lavoriamo per un futuro diverso, migliore, con tutte e per tutte. 

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Articolo di Nicole Maria Rana

Nata in Puglia nel 2001, studente alla facoltà di Lettere e Filosofia all’Università La Sapienza di Roma. Appassionata di arte e cinema, le piace scoprire nuovi territori e viaggiare, fotografando ciò che la circonda. Crede sia importante far sentire la propria voce e lottare per ciò che si ha a cuore.

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