Carissime lettrici e carissimi lettori,
Delia ce lo ha detto chiaro. La protagonista del fortunato film di Paola Cortellesi, C’è ancora domani, ha capito anche lei la forza devastante del possesso e della gelosia. Ha capito che una donna non può vivere così, come era successo a lei. Delia decide che quello non può essere il destino della figlia e di nessun’altra “figlia” a venire, aggiungiamo noi. Capisce e si spaventa
mentre dalla cucina, dove lava i piatti del pranzo (luogo e azione deputati) “origlia” il dialogo fra Marcella e Giulio, il suo promesso sposo che poi tale non sarà più. L’abito da sposa di Marcella diventa secondario. Quel marito, così come la pensa, non può farlo entrare più nella sua vita: «Non ce devi anna’ più a lavora’…E chi t’ha detto?! Te lo dico io, tu sei mia». Bastano queste poche frasi. Da qui può partire solo il dispiacere di una vita senza significato o la violenza, anche estrema, anche a costo della morte se non si accondiscende a quel “bene” apparente, a quel profondamente “male” dell’essere solo oggetto e possesso di un uomo.
Erano altri tempi? Scherza, sempre Paola Cortellesi, durante il monologo al ritiro di un premio David di Donatello a lei assegnato. Scherza con in bocca il sapore amaro di chi sa che quel che dice è la verità e gioca sul significato opposto che hanno alcune parole (cortigiana/cortigiano, uomo di mondo/donna di mondo, fino al palese contrasto del binomio zoccolo/zoccola) se declinate al maschile o al femminile, se rivolte a una donna (sempre con valenza sessuata) o a un uomo che, in determinati casi, quelli scelti dall’attrice e regista, ispirano forza e positività!
Era appena passata la guerra, la seconda mondiale, che non chiamano “grande” seppure di morti ne ha fatti tanti, compreso un genocidio di ebrei/e, omosessuali, zigani/e dissidenti. Alcune donne, allora, accettavano di essere picchiate, di non essere considerate se non oggetti da comandare («quando te ne andrai tu — dice, sempre nel film, il padre alla figlia Marcella — in questa casa non ci sarà più una donna»!). Stavano in silenzio, avevano paura.
Soprattutto erano considerate oggetti, obbedienti a chi li possiede: «Le botte me le fa scappà dalle mani».
Poi c’è stata la contestazione, gli anni della presa di coscienza femminile. Le donne cominciano a partecipare più apertamente, le eterne “scordate”, alla Storia. Passo dopo passo. E i maschi sono messi di fronte alla realtà.
Qualcuno di loro si è destabilizzato, molto più di prima. In casa non sono più i soli a comandare. Il diritto di famiglia nuovo toglie la patria potestà e le donne non subiscono più il sopruso del “matrimonio riparatore” una sorta di escamotage per evitare di essere “colpevoli” di stupro, per evitare alle donne di morire per vendetta. Era nato in Sicilia, ma entrato di fatto nel codice italiano, da nord a sud. Correva l’anno 1981, neppure mezzo secolo fa! Le mogli hanno cominciato a contare, anche sull’eredità lasciata da un marito, anche nella scelta del luogo dove andare a vivere, indipendentemente dal lavoro “solo” di lui, anche nell’educazione dei figli e delle figlie (tenetela stretta quella lettera — raccomanda Delia — come fosse un “biglietto d’amore”).
Le donne hanno lavorato di più e si sono aperti, grazie a persone impegnate come Rosanna Oliva De Conciliis, i concorsi prima dedicati a “soli” uomini.
I femminicidi sono, invece, (o di conseguenza) aumentati. Oggi sono un pesante problema sociale. Il Centro di ateneo Antonio per i diritti umani Antonio Papisca ha dato l’esistenza di due definizioni: femmicidio e femminicidio. «Sono due termini specifici che definiscono in maniera non neutra gli omicidi contro le donne, in tutte le loro manifestazioni, per motivi legati al genere. Questi tipi di uccisione che colpiscono la donna perché donna non costituiscono incidenti isolati, frutto di perdite improvvise di controllo o di patologie psichiatriche, ma si configurano come l’ultimo atto di un continuum di violenza di carattere economico, psicologico, fisico o sessuale».
Poi si va nello specifico di ciascuno: «Il femmicidio, dall’inglese femicide, è un termine criminologico introdotto per la prima volta dalla criminologa femminista Diana H. Russell all’interno di un articolo del 1992 (!) per indicare le uccisioni delle donne da parte degli uomini per il fatto di essere donne (a). Secondo quanto formulato da Diana Russell il concetto di femmicidio si estende al di là della definizione giuridica di assassinio e include quelle situazioni in cui la morte della donna rappresenta l’esito/la conseguenza di atteggiamenti o pratiche sociali misogine». «Diversamente — è scritto — il termine femminicidio, dallo spagnolo feminicidio, racchiude un significato molto più complesso che supera la definizione ristretta di femmicidio,
focalizzandosi soprattutto sugli aspetti sociologici della violenza e sulle implicazioni politico-sociali del fenomeno. Utilizzato nel 2004 dall’antropologa messicana Marcela Lagarde con lo scopo di attirare l’attenzione politica sulla drammatica situazione vissuta dalle donne in
Messico, in particolare nella zona di Ciudad Juárez, il concetto di femminicidio è diventato oggetto di studio anche di altre attiviste dell’America Centrale come Julia Monárrez, Ana Carcedo e Monserrat Sagot, acquisendo ben presto una diffusione globale. Per Marcela Lagarde il femminicidio esprime la forma estrema della violenza di genere contro le donne, prodotto dalla violazione dei suoi diritti umani in ambito pubblico e privato attraverso varie condotte misogine, quali i maltrattamenti, la violenza fisica, psicologica, sessuale, educativa, sul lavoro, economica, patrimoniale, familiare, comunitaria, istituzionale, che comportano l’impunità delle condotte poste in essere, tanto a livello sociale quanto dallo Stato e che, ponendo la donna in una condizione indifesa e di rischio, possono culminare con l’uccisione o il tentativo di uccisione della donna stessa, o in altre forme di morte violenta di donne e bambine: suicidi, incidenti, morti o sofferenze fisiche e psichiche comunque evitabili, dovute all’insicurezza, al disinteresse delle istituzioni e all’esclusione dallo sviluppo e dalla democrazia». Dunque, il femminicidio come fatto di responsabilità della politica e della società che non pone le donne, qualsiasi età abbiano, in uno stato di sicurezza e, quindi, di libertà.
Dopo la morte di Giulia Cecchettin, per il rumore fatto per lei, sembrava si aprisse una speranza, di un rallentamento più che di un totale annullamento di una violenza così estrema. Invece non è andata così. Gli ultimi delitti contro le donne lo dimostrano. Ilaria e Sara hanno commosso per l’età, 22 anni entrambe, per la situazione di essere ancora studenti, chiaramente per un rifiuto, per non volere acconsentire a un legame o alla continuazione di questo. Per amarsi e rispettare se stesse. Invece anche loro sono state accoltellate, fatte a pezzi, messe in una valigia rotolata da un burrone, come “roba”, oggetto che non si usa o non si può più usare. Usare!
In questi due femminicidi sulla cosiddetta “prima pagina” entrano altre donne. Questa volta madri, di entrambi gli uccisori, che aiutano, che tentano di coprire la mostruosità commessa dal proprio figlio, maschio, che hanno generato. Dall’altro lato esiste un figlio, Bojan Panic, di appena 19 anni, che si ritrova, suo malgrado, assassino del padre, terrorizzato che uccidesse la madre alla quale faceva continua violenza. Scrive Paola Ortensi, impegnata da sempre su temi femminili: «Un figlio uccide il padre per difendere la madre e due mamme terrorizzate, inebetite, coinvolte dalla violenza dei figli che hanno ucciso la ragazza che volevano per loro, e di cui rivendicavano la proprietà, accompagnano e supportano i loro figli dopo i delitti. E, contemporaneamente, pensando alle mamme di Sara ed Ilaria, le due studentesse uccise a Messina e Roma, il cui dolore a fianco dei padri, le ha gettate in una disperazione irreparabile. Bojan Panic, 19 anni studente in provincia di Trento era da troppo tempo, anni, che soffriva vedendo sua madre umiliata, maltrattata, menata, senza aver mai denunciato il marito.
Purtroppo è arrivato il giorno che Bojan ha avuto paura che il padre l’ammazzasse e per difenderla è lui che lo ammazza. Poi vedendolo a terra, disperatamente, cerca di rianimarlo e chiama con la madre sia l’ambulanza che i carabinieri. Un atto, quello di Bojan, che ha un precedente analogo nel 2020. Allora fu Alex che a Torino uccise il padre per difendere la madre e che poi, assolto per legittima difesa, ha deciso di prendere il cognome della madre.
Torno alle mamme di Stefano e Mark Sanson che hanno ucciso. Il primo ha ucciso Sara, che perseguitava da tempo, mentre usciva da una lezione all’università di Messina. Il secondo, a Roma, ha ucciso Ilaria che non voleva più stare con lui ed era andata a prendere delle cose che aveva lasciato nella sua casa. Ilaria che dopo essere stata brutalmente uccisa è stata buttata
dentro una valigia, in un bosco. La mamma di Mark ha confessato di avere aiutato il figlio a ripulire la stanza dove Ilaria è stata massacrata, prima che il figlio ne portasse via il corpo. Quasi in contemporanea la mamma di Stefano ha raccontato la telefonata angosciata del figlio, dopo l’omicidio di Sara, e di avere cercato di “supportarlo” psicologicamente per la disperazione che
provava e pare, dopo averlo raggiunto col marito, di avere pensato di poterlo proteggere, forse, aiutandolo a fuggire. Storie terribili che possiamo raccontare perché queste due madri hanno “confessato” la loro “debolezza” e che lungi sicuramente da me dal giudicare, comunque rappresentano motivo di riflessione e di un necessario tentativo di tornare a pensare quanto difficile, ma anche e sempre importante, sia la funzione delle madri anche nel nostro tempo» (NoiDonne).
Una meravigliosa donna cilena, Violeta Parra, nata nel 1917 e morta violentemente (suicida) nel 1967, scrive la canzone che ascolto con voi oggi. Davvero ci occorre la consolazione di un canto positivo, che dia forza, eletto a preghiera laica, aperta a tutti e a tutte. Grazie alla vita, nell’originale in spagnolo Gracias a la vida, è cantata dalla splendida voce di Gabriella Ferri che ci dona la versione italiana (leggermente diversa). Quella in spagnolo ce la offre un’altra grande cantante, Mercedes Sosa, accompagnata da Joan Baez. Entrambe interpreti di una delle più belle canzoni di Violeta Parra. Due icone del canto — si è scritto di loro —, la cantora popular, Mercedes Sosa, e l’usignolo di Woodstock, Joan Baez, da godere, profondamente. L’autrice, Violeta Parra «è stata la più grande cantautrice cilena e di tutto il Sud America, morta suicida il 5 febbraio 1967. Come Ernesto “Che” Guevara, diventò un mito e un simbolo dopo la sua morte. I suoi ritratti, i manifesti raffiguranti il suo viso carismatico, si incontrano ovunque in Cile, a testimonianza del fatto che la sua figura si radicò nella cultura delle classi più povere che la consideravano e la considerano tuttora un simbolo del riscatto sociale. Era una profonda conoscitrice del suo Paese e delle sue tradizioni. Lo aveva girato in lungo e in largo ed esprimeva la sua arte sia con la musica, sia attraverso l’uso delle arti visive. Fu la prima latino-americana a esporre al museo del Louvre a Parigi nel 1964».
Le parole e la musica di questo testo ci lavano le ferite, reali e metaforiche inferte dal tempo, a noi donne da uomini sbagliati, alla società intera. Si ergono a salvezza facendoci sentire, come in una preghiera, un nuovo inno laico alla creazione, tutte noi, ogni donna, riesce a sentirsi bene, così, nel proprio corpo, amandolo. Riappropriandocene per ridargli la volontà del rispetto. Bisogna amarsi, amare e rispettare sé stesse/i e farsi rispettare da chi ci circonda.
Grazie alla vita
Che mi ha dato tanto
Mi ha dato due occhi
Che quando li apro
Chiaramente vedo
Il nero e il bianco
Chiaramente vedo il cielo alto
Brillare al fondo
Nella moltitudine, l’uomo che amo
Grazie alla vita
Che mi ha dato tanto
Mi ha dato l’udito
Così certo e chiaro
Sento notti e giorni
Grilli e canarini
Turbini, martelli
E lunghi pianti di cani
E la voce tenera del mio amato
Grazie alla vita
Che mi ha dato tanto
Mi ha dato il passo
Dei miei piedi stanchi
Con loro ho attraversato
Città e pozze di fango
Lunghe spiagge vuote
Valli e poi alte montagne
E la tua casa e la tua strada e il tuo cortile
Grazie alla vita
Che mi ha dato tanto
Del mio cuore in petto
Il battito chiaro
Quando guardo il frutto
Della mente umana
Quando vedo la distanza
Tra il bene e il male
Quando guardo il fondo dei tuoi occhi chiari
Grazie alla vita
Che mi ha dato tanto
Mi ha dato il sorriso
E mi ha dato il pianto
Così io distinguo
La buona o brutta sorte
Così le sensazioni che fanno
Il mio canto
Grazie alla vita
Che mi ha dato tanto
Fonte: Musixmatch
Compositori: Violeta Parra Sandoval
Testo di Grazie alla vita © Warner Chappell Music Argentina
A tutte le donne. A tutte le donne che hanno sofferto e soffrono per mano di un uomo che non le ha mai amate. Per tutte le donne morte per femminicidio. Buona lettura a tutte e a tutti, uomini e donne di buona volontà.
Il nuovo numero di Vitamine vaganti si apre con la protagonista di
Calendaria della settimana: Maria Teresa Talani e l’arte della glittica, incisora di grande talento al servizio delle più importanti famiglie d’Europa a cavallo tra Sette e Ottocento. Gli approfondimenti sull’arte continuano con Le grandi assenti. Stella Bowen, il racconto biografico della famosa ritrattista di guerra australiana, e L’influenza degli stereotipi sulla percezione del femminile, analisi di come «Gli stereotipi e i modelli di bellezza che ci sono stati inculcati nel corso dei secoli attraverso l’arte hanno avuto un’influenza significativa sulla percezione del femminile, contribuendo a condizionare le aspettative sociali e culturali nei confronti delle donne e la costruzione della loro identità.»
Parità di genere e medicina. Le protagoniste. Paesi extraeuropei. Parte prima continua la rassegna delle scienziate che si sono messe in prima linea per la lotta per la parità, concentrandosi questa volta al di fuori dell’Europa. Si rimane nel mondo della scienza con Le donne sul pianeta Venere, alla scoperta dei nomi femminili dati ai crateri del secondo pianeta del sistema
solare.
La sezione dedicata ai report si arricchisce: Il suo futuro è a rischio. Report, riassume il rapporto Her Future at Risk. The Cost of Humanitarian Crises on Women and Girls, pubblicato da WeWorld il 5 marzo 2025 che «accende i riflettori sulle devastanti conseguenze delle crisi umanitarie su donne e ragazze»; La copertura giornalistica italiana del femminicidio. Parte tre prosegue l’esplorazione delle pratiche giornalistiche quando riportano notizie di violenza di genere, concentrandosi sulla spettacolarizzazione della cronaca nera e su come gli omicidi di donne “indesiderate” siano considerati meno gravi di quelli delle “brave” donne.
Si torna in Puglia, a Mesagne, con I luoghi delle donne. Un viaggio nel Salento al femminile, il percorso progettato dalla Commissione Pari Opportunità della Provincia di Lecce che mira a recuperare la memoria delle donne e a celebrare il loro contributo.
La complessa questione del doppio cognome è affrontata in Doppio cognome. Da nove anni in attesa di una risposta, mentre la toccante testimonianza in Il peso di un cucchiaio parla di disturbi alimentari nell’adolescenza e del modo con cui la malattia impatta la persona interessata e la sua famiglia.
Spostando lo sguardo oltre i confini italiani, L’ordine del caos. Il numero 1/2025 di Limes. Parte Seconda offre qualche chiave di lettura su quanto sta succedendo nel mondo con l’elezione di Trump alla Presidenza degli Usa.
La recensione della settimana è dedicata a La maestra e la Bestia, della scrittrice catalana Imma Monsó i Fornell, la storia di una maestra educata da piccola dai propri genitori.
Mia madre, nella sezione Flash-back farà conoscere una donna che lottò per far arrivare l’acqua e le fognature nel suo quartiere.
Il numero si conclude con la consueta ricetta: La cucina vegana. Torta salata di topinambur. Buon appetito!
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Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpreti; Siamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.

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