Carissime lettrici e carissimi lettori
«La libertà non è star sopra un albero/ Non è neanche il volo di un moscone/ La libertà non è uno spazio libero/ Libertà è partecipazione». Era l’anno domini 1972 e il grande cantante e teatrante Giorgio Gaber definiva così, in musica, la ricchezza più cara agli uomini e alle donne e, aggiungerei, a tutti i viventi. Il “Signor G” definiva il termine come non espressione di “potere” su tutto (creato compreso, ricordate il dialogo con Simba in Re Leone?). La partecipazione è il fulcro della sua interpretazione. Allora, partendo da qui, dalla “partecipazione” di azione con i propri simili, la Libertà si lega al Lavoro, il 25 aprile alla festa del Primo Maggio.
Ce l’ha manifestato, come il dipanarsi di un bandolo filosofico e filologico, il presidente Sergio Mattarella (ormai lui forte garante della democrazia di questo Paese) che quest’anno, celebrando un giorno prima il Lavoro in una fabbrica di Latina, ha ricordato l’inadeguatezza economica dei salari e ribadito l’urgenza di controlli per la sicurezza sul lavoro causa di tanti incidenti, purtroppo anche mortali. Il discorso di Mattarella di oggi si congiunge a quello dello scorso anno quando il Presidente diceva: «Il lavoro è libertà. Anzitutto libertà dal bisogno; e strumento per esprimere sé stessi, per realizzarsi nella vita. I progressi straordinari della scienza e della tecnica per migliorare la qualità e la sostenibilità dei prodotti e dei servizi, devono essere sempre indirizzati alla tutela della dignità e dell’integrità delle persone, dei loro diritti. A partire dal diritto al lavoro. Il lavoro — aveva concluso Mattarella — deve essere libero di abusi che creano emarginazione e dunque rappresentano il contrario del suo ruolo e del suo significato». Dunque, il lavoro e la libertà coesistono saldamente, fino a fondersi. E i festeggiamenti per la Liberazione sono la base del Primo Maggio.
Il termine lavoro viene così spiegata dalla più popolare delle enciclopedie: «è un’attività produttiva, che implica la messa in atto di conosce rigorose e metodiche, intellettuali e/o manuali, per produrre e dispensare beni e servizi in cambio di compenso, monetario o meno. Si tratta di un servizio utile che si rende alla società e prevede la concessione sistematica al pubblico di un bene in cambio di un altro, in forma di compenso non sempre monetario. Nel mondo moderno l’attività lavorativa viene esplicata con l’esercizio di un mestiere o di una professione e ha come scopo la soddisfazione dei bisogni individuali e collettivi. Dal punto di vista giuridico si distingue il lavoro subordinato da quello autonomo e parasubordinato con caratteristiche intermedie tra i primi due». Poi si passa alla spiegazione etimologica e agli interessanti collegamenti con i dialetti regionali, quelli che secondo il professor Tullio De Mauro erano la “seconda” lingua materna degli italiani e delle italiane: «Il termine lavoro deriva dal latino labor con il significato di fatica. Sono noti i detti della letteratura classica durar fatica e operar faticando. Altro termine di parlate italiane per “lavoro” è travaglio, che deriva dal latino tripalium (strumento di tortura), ad esempio in siciliano “lavorare” si dice travagghiari e in piemontese travajè e così via. Ancora oggi in alcuni dialetti regionali si usano i termini faticare, andare a faticare (per dire lavorare, andare a lavorare)» (Wikipedia).
Ma il lavoro non occupa solo il primo articolo della Costituzione italiana: «L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro» che così si definisce come fondante dello Stato nato appunto dalla Liberazione, ma è presente in più parti della nostra Carta costituzionale. Cominciando dall’articolo 4: «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività e una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società». Così del lavoro parlano, quasi a cascata, l’articolo 31 (per le agevolazioni economiche), l’articolo 35, 36, 37, 38, 41 e 46. Si parla di tutela, di retribuzione, di parità retributiva tra uomini e donne (non ancora raggiunta) di assistenza alle famiglie, di previdenza e assistenza sociale, di diritto allo sciopero, di garanzie per le donne riguardo alla tutela nella gravidanza e durante il puerperio (art.37) e di sicurezza e al diritto alla gestione comune del lavoro (art 41 e 46) «ai fini dell’elevazione economica e sociale del lavoro».
Il lavoro, appena celebrato nella sua Festa di inizio maggio, con il Concertone offerto dai sindacati e ritornato alla sua sede storica di svolgimento di piazza San Giovanni, rimessa a nuovo per il Giubileo, è stato ricordato in tutta Italia con la tristezza dei tanti morti, uomini e donne che un giorno sono usciti e uscite di casa per non ritornarci più. Sono rimasti “intrappolati/e” da errori, disfunzioni, cattivi controlli e anche disonestà volute per produrre maggiori profitti.
Una “guerra silenziosa” l’hanno nominata nei cortei, ma dovrebbe essere, al contrario, molto “rumorosa” (come i femminicidi!) per i numeri alti che si evidenziano, anno dopo anno. I cortei hanno segnato tre luoghi “simbolo” di queste cosiddette “morti bianche”. C’era Casteldaccia, vicino Palermo, dove il 6 maggio scorso, quasi un anniversario, morirono sei operai che stavano lavorando sulla rete fognaria. Poi a Montemurlo per ricordare la giovanissima Luana D’Orazio, praticamente “mangiata” dalla macchina tessile a cui stava lavorando, nel 2021, e aveva solo 22 anni! A Roma il corteo più grande non tanto perché è la capitale, ma perché, insieme a tutto il Lazio detiene il triste primato di “maglia nera” in quanto a disgrazie mortali sul lavoro.
Gli infortuni con esito mortale aumentati da 1041 nel 2023 ai 1481 del 2024 (https://www.avvenire.it/attualita/pagine/la-strage-sul-lavoro-1-481-morti-nel-2024 tratti da Osservatorio sui morti sul lavoro di Bologna, che comprende sia le morti sul luogo di lavoro che quelle in itinere). È una triste media di un lavoratore o lavoratrice con rischio di morte ogni due giorni. L’aumento è notevole. Nei primi due mesi di quest’anno c’è stato un accrescimento del 16% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Centotrentotto vittime in due mesi fa davvero rumore! Rumore fa anche la notizia della tendenza secondo l’età: a morire sono soprattutto gli e le over 65 (dunque a un disgraziato passo dalla pensione) e chi è sotto i 25 anni: le e i giovanissimi.
Proprio a Roma, nella notte a cavallo della fine di aprile e l’inizio del mese di maggio alcuni/e studenti della Rete di Cambiamo il mondo del lavoro ha rinominato alcune strade simboliche della capitale donando loro una nuova dedica con il nome di molte delle vittime morte sul lavoro. Così Viale Trastevere, dove si trova il ministero dell’Istruzione (eludiamo e del merito?) è diventata Viale Lorenzo Parelli, il ragazzo morto nel suo ultimo giorno di pcto, la cosiddetta “alternanza scuola-lavoro”. A piazza dell’Immacolata, nel quartiere San Lorenzo, a un passo dall’università La Sapienza, è stato dato il nome di Luana D’Onofrio, la ventiduenne stritolata dall’ingranaggio di un orditoio in una fabbrica tessile. Piazza Vittorio Emanuele, al centro del quartiere multietnico dell’Esquilino (dove Papa Bergoglio ha segnato il luogo del suo ultimo viaggio migrante, nella Basilica di Santa Maria Maggiore) si chiama per un giorno con il nome di Satnam Singh, morto a Latina dissanguato dopo aver perso un braccio, abbandonato in strada. A Peter Isiwele, precipitato nello spazio di un ascensore alla stazione Termini, è stata dedicata via di Santa Croce in Gerusalemme. Aveva 76 anni e non riusciva a vivere con la sola pensione, Massimo Mirabelli, anche lui morto sul lavoro: a lui è stata dedicata la centralissima piazza della Repubblica.
È una storia davvero antipatica, per non dire, brutta, quella che ha coincidenza che qui abbiamo indicato tra la Libertà e il Lavoro: l’episodio di Ascoli Piceno. Uno striscione, che direi bellissimo e soprattutto innocuo se non per proclamare la bellezza della Libertà, è stato esposto di fronte a un negozio di pane e si leggeva: «Buono come il pane, bello come il 25 aprile». Questo non deve essere piaciuto a molti, primo fra tutti al sindaco della città marchigiana, perché la proprietaria del forno, Lorenza Roiani, è stata visitata per due volte nello stesso giorno dalle forze dell’ordine e identificata. In più sono apparsi contro di lei altri striscioni e scritte davvero liberticidi.
Da figlia di fornaio e fornaia (perché pure mia madre era diventata abile nell’impasto e lo aveva insegnato anche a mia figlia) non posso che simpatizzare e sentirmi vicinissima a Lorenza Roiani, la trentottenne “fornarina” di Ascoli Piceno, laureata a Roma in Chimica, con corsi di cucina tra Milano e la capitale e una grande voglia di mettere “le mani in pasta”, come si dice, tanto da aprire un forno tutto suo intitolato “Assalto ai forni”!
Una grande passione per la panificazione tanto che Lorenza Roiani è diventata una tra le trenta donne fornaie più influenti d’Italia. E il bello insito in questa brutta storia è sapere a chiara voce che in Italia stanno aumentando considerevolmente le donne che si avvicinano all’arte della panetteria! Con la “testa” al femminile sono soprattutto loro, Lorenza Roiani compresa, ad usare per il pane e per la pasticceria il lievito madre, che vuol dire che oltre a un pane più “pulito”, più naturale, non si fa più, proprio come faceva mio padre, l’impasto la sera prima, ma si comincia tutto il lavoro partendo dalle cinque di mattina, come la stessa Roiani ci ha dettato in un’intervista. Un altro lavoro, dunque, non più esclusivamente al maschile, ma con un deciso intervento femminile. Linguisticamente: Fornaia o Panettiera. Spesso anche laureate con una voglia di imprenditoria artigianale.
Scrive il quotidiano Avvenire: «Il 25 aprile ad Ascoli Piceno ha riaperto il dibattito sulle identificazioni “facili”, dopo che la polizia ha chiesto e registrato le generalità alla titolare di un forno, colpevole — per così dire — di aver esposto uno striscione fuori dal suo negozio: 25 aprile buono come il pane, bello come l’antifascismo. Non è il primo caso. A dicembre del 2023 capitò alla prima della Scala di Milano, quando la Digos chiese i documenti a un loggionista che aveva osato gridare: Viva l’Italia antifascista. Due mesi dopo, sempre a Milano, toccò a una decina di cittadini che portarono un fiore al sit-in per Aleksej Naval’ny. C’è poi la ragazza di Fridays for future identificata per aver esposto un cartello (Ma non sentite caldo?) al Festival della letteratura di Mantova».
Seppure con un giorno di ritardo mi piace leggere con voi lettrici e lettori dei versi che celebrano il lavoro. Sono due poesie, una di Pablo Neruda e l’altra di Alda Merini, voci ormai conosciutissime a noi.
Ai miei obblighi
Compiendo il mio mestiere
pietra con pietra, penna a penna,
passa l’inverno e lascia
luoghi abbandonati,
abitazioni morte:
io lavoro e lavoro,
devo sostituire
tante dimenticanze,
riempire di pane le tenebre,
fondare di nuovo la speranza.
Non è per me altro che la polvere,
la pioggia crudele della stagione,
non mi riservo niente
ma tutto lo spazio
e lì lavorare, lavorare,
manifestare la primavera.
A tutti devo dar qualcosa
ogni settimana e ogni giorno,
un regalo di colore azzurro,
un petalo freddo del bosco,
e già di mattina sono vivo
mentre gli altri si immergono
nella pigrizia, nell’amore,
e sto pulendo la mia campana,
il mio cuore, i miei utensili.
Ho rugiada per tutti.
(Pablo Neruda)
Il Grembiule
Oddio il mio grembiule
guarda come mi torno indietro
era una bobina di anima
ogni giorno un filo d’amore
ogni giorno quelle ore che mi massacravano
io ogni giorno non ridevo mai
e la sera tornavo così stanca
e vedevo mio marito che mi guardava
e io mi giravo dall’altra parte
ma il mio grembiule era pieno di rose
erano tutti i baci che avrei dato a lui
invece di quello sporco lavoro
non hanno voluto pagarmi
né il grembiule e neanche la vita
perché ero una donna che non poteva sognare
ero una volgare operaia
che in un giorno qualsiasi
e chissà perché
aveva perso di vista il suo grembiule
per pensare soltanto a lui.
(Alda Merini)
Buona lettura a tutte e a tutti con i versi immortali del grande e amato Francesco Guccini che parla per questo mese di poesia, di rose e di amore
“«…Ben venga Maggio e il gonfalone amico, ben venga primavera
Il nuovo amore getti via l’antico nell’ombra della sera, nell’ombra della sera
Ben venga Maggio, ben venga la rosa che è dei poeti il fiore
Mentre la canto con la mia chitarra brindo a Cenne e a Folgore, brindo a Cenne e a Folgore…” (Canzone dei dodici mesi)
Il nuovo numero di Vitamine vaganti si apre con le due protagoniste di Calendaria della settimana: Suzanne Belperron, quando il gioiello è pura arte, storia di una gioielliera talentuosa, e Maria o Marietta Barovier, maestra vetraia, erede di una lunga tradizione artistica veneziana.
Politiche di genere nell’era dell’Intelligenza artificiale è il sunto dell’omonimo seminario che discute della scottante questione del genere e della politica nei tempi delle Ia e di come quest’ultime impatteranno il nostro mondo.
Si va in Russia con Sof’ja Vasil’evna Kovalevskaja, prodigio della letteratura e della matematica; ci si sposta poi più a sud, in Armenia, con Storie femminili dietro i nomi delle vie di Erevan. Parte seconda, dove si continuano a scoprire le storie di donne nascoste nella toponomastica locale. Di percorsi femminili e di felicità si parla anche in Donne in cammino verso la felicità. Ragazze come me è un approfondimento dei temi di attualità e sugli ultimi tragici episodi di femminicidio avvenuti nel nostro Paese. Il corpo femminile viene poi analizzato in due accezioni: Nessuna storia è lineare dal punto di vista storico e culturale, con un focus sulla contesa fra autonomia personale e pressioni sociali; Igiene mestruale e contrasto all’inquinamento ambientale attraverso il ciclo mestruale e le pratiche igieniche che si sono succedute nei secoli attorno ad esso, affrontando anche il problema della povertà mestruale e del suo impatto ambientale.
Razzismo ai tempi dei social studia come i social media abbiano, involontariamente o meno, aiutato a diffondere comportamenti discriminatori razzisti, mentre L’influenza dei media nella costruzione degli stereotipi di genere, parte della rubrica Tesi vaganti, illustra il modo con cui i media hanno alimentato e rinforzato stereotipi, modelli e codici culturali patriarcali.
Diventare genitori. È sempre un diritto? è la recensione della settimana dedicata a ben due libri, Donna si nasce di Adriana Cavarero e Olivia Guaraldo e Gravidanza per altre persone di Eva Benelli, testi che affrontano da punti di vista differenti il tema della Gpa.
Cinque artiste, due autrici e il valore della sorellanza è la carrellata di nomi femminili che sono stati scelti dalle scuole che hanno accolto l’appello di Toponomastica femminile «per arginare e ridurre stereotipi, pregiudizi e comportamenti sociali discriminatori, per combattere le dinamiche di segregazione di genere nell’istruzione e nella formazione e di conseguenza nel mercato del lavoro, e per sviluppare l’autostima e il reciproco rispetto».
Il numero si chiude con la ricetta di un piatto gustoso e ricco di storia: Un ricordo che prende vita. La ratatouille.
A tutti e a tutte auguriamo buon appetito!
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Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpreti; Siamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.
