Il mese di marzo dei webinar del ciclo Cambiamo discorso-Contributi per il contrasto agli stereotipi di genere, organizzato da Reti Culturali, e partito nel 2025 con una tematica del tutto innovativa, rispetto alle tante precedenti: Ben-essere di genere (vedi il primo articolo sulla medicina di genere) è dedicato al tema della maternità.
Ce ne parlerà nel suo incontro che si terrà giovedì 10 aprile prossimo, alle ore 17.00, Donatella Pagliacci, Ordinaria di Antropologia filosofica, Filosofia della Relazione e Filosofia dell’esperienza all’Università Cattolica di Milano. Affronterà una riflessione intorno alla maternità sia come desiderio (presente o assente) sia come vissuto femminile. Abbiamo già avuto modo di intervistare la studiosa alcuni anni fa, sul tema di donne e ambiente, ora le rivolgiamo ancora alcune domande per conoscere il suo iter professionale e le nuove prospettive dei suoi studi.

Rispetto a due anni fa vediamo che hai cambiato Università: è un dato di normale avvicendamento negli Atenei o è dovuto anche a una trasformazione o svolta nei tuoi interessi culturali e impegni di lavoro?
I cambiamenti sono sempre indizi positivi di una vita che non può e non deve rimanere statica. Si colgono le opportunità e si intraprendono percorsi differenti portando con sé sempre la bellezza e la ricchezza di tutto quello che si è imparato, delle esperienze che si sono vissute, delle amicizie e delle relazioni significative.
Ora sei docente di due ambiti disciplinari di cui non si sente parlare frequentemente, filosofia della relazione e dell’esperienza: nello specifico di che cosa ti occupi e a partire da quali testi-base?
Nell’ambito della Filosofia delle relazioni mi occupo di un tema che mi sta molto a cuore la questione della capacità di vivere in relazione con sé stesse/i e con gli altri e le altre in modo qualificato. Un tema che ha prodotto il volume pubblicato nel 2019 L’io nella distanza. Essere in relazione, oltre la prossimità. Nell’ambito della professione educativa, il tema della capacità di mettere distanza, qualificando la relazione nel segno del rispetto e del riconoscimento, è considerata una questione davvero cruciale.
Nell’ambito del Corso di Filosofia dell’esperienza, dopo una riflessione sul significato e il valore dell’esperienza, guardando anche a filosofe/i che se ne sono occupati, mi sono focalizzata sul testo di John Dewey, un autore cruciale per una riflessione di filosofia dell’educazione.

Nel periodico Hermeneutica uno dei tuoi ultimi scritti parla di pratica filosofica come pratica di cura, un tema fondamentale (oltre che per l’importanza nelle relazioni) anche per dare da un lato più valore e riconoscimento sociale alle tante professioni rivolte alla cura e lasciate spesso alle donne, sottopagate, e dall’altro per incentivare anche il genere maschile a prendersene carico, in famiglia e fuori dalla famiglia: che ne pensi?
Nel testo in questione mi focalizzo in particolare su come la riflessione filosofica possa contribuire a costruire comunità inclusive e democratiche.
Il tema della destinazione delle donne alle pratiche di cura è una vexata quaestio che fatica a essere affrontata, nelle sedi opportune, e peggio ancora mancano le risposte adeguate. Occorre un diverso e più qualificato riconoscimento delle donne, del loro valore, del loro lavoro; mi sembra che in questo senso ci sia ancora molta strada da percorrere prima di raggiungere anche solo il livello minimo che dovrebbe al contrario essere urgentemente raggiunto.
Ci sarà modo di approfondire durante il webinar il tema specifico della maternità, ma rispetto alla genitorialità, secondo te, c’è una maggior consapevolezza nelle nuove generazioni di quanto implichi di responsabilità e impegno di condivisione oppure anche in questo campo c’è stata una regressione rispetto ad anni scorsi meno pervasi dalla compulsione al consumismo e alla distrazione?
Spero di poter parlare dell’esperienza della maternità con il giusto tatto. È un tema delicato e difficile, facilmente strumentalizzabile da una parte o dall’altra e questo è un rischio e un errore. Le donne non dovrebbero essere “ridotte” a organi di riproduzione ma dovrebbero potere altresì “godere” della possibilità di vivere un’esperienza sempre unica. Nello stesso tempo non tutte dovrebbero sentirsi “costrette” a mettere al mondo figli e figlie, così come coloro che per diverse ragioni non possono averne di loro, dovrebbero poter sperimentare la possibilità di donare il loro amore, come nel caso dell’adozione. Dobbiamo guardarci dal considerare la maternità una minaccia oppure figli e figlie come un possesso. Questo sarebbe un errore che purtroppo a volte non riusciamo a focalizzare. Estremizzo per capire che tra i due poli esiste una varietà di sfumature. Il titolo scelto non è mio ma è un’espressione usata da una studiosa, che l’ha utilizzato alcuni anni fa, che, tuttavia, mi sembra ancora oggi stimolante e capace di aprire alcune prospettive sulle quali riflettere.
Ringraziamo Donatella Pagliacci per il tempo che ci ha dedicato e le diamo appuntamento per il prossimo giovedì 10 aprile.
Questo il link per effettuare la preiscrizione all’incontro online e ricevere poi le indicazioni per il collegamento: https://meet.google.com/adf-uagq-ceo
Chi non potesse partecipare alla diretta dell’incontro online, potrà rivederlo (come tutti i precedenti) sulla pagina fb di Reti culturali.
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Articolo di Danila Baldo

Laureata in filosofia teoretica e perfezionata in epistemologia, già docente di filosofia/scienze umane e consigliera di parità provinciale, tiene corsi di formazione, in particolare sui temi delle politiche di genere. Giornalista pubblicista, è vicepresidente dell’associazione Toponomastica femminile e caporedattrice della rivista online Vitamine vaganti.
