Inizia – per il ciclo Cambiamo discorso – Contributi per il contrasto agli stereotipi di genere, organizzato dall’associazione Reti culturali a partire dal 2020 e proseguito in questi anni – una serie di tre incontri sul tema Donne e ambiente, di cui il primo si terrà online il 16 marzo prossimo.

Condurrà la discussione Donatella Pagliacci, prof.a associata di Filosofia morale dell’Università di Macerata, e interverranno sulle Prospettive eco-femministe Alessia Belli, dott.a di ricerca in Filosofia dell’Università di Pisa, e Greta Mancini, docente a contratto di Filosofia morale istituzionale e di Antropologia filosofica presso l’Università degli Studi di Macerata.
La tematica viene così sintetizzata da Donatella Pagliacci, come base di introduzione al webinar: «Anche rispetto al modo in cui la donna vive il proprio rapporto con la natura, il dominio maschile ha imposto le sue regole, che purtroppo non hanno mai avvantaggiato né la natura né le donne. L’ecofemminismo nasce negli anni ’70 per rivendicare il diritto femminile di abitare la Terra e il proprio corpo, cercando di sottrarsi al modello prometeico patriarcale, rifiutando meccanismi di pensiero deterministici rispetto alla natura e all’identità femminile, rivendicando una posizione che considera “importanti le connessioni storiche-esperienziali-simboliche-teoretiche tra il dominio imposto alle donne e il dominio imposto alla natura, connessioni la cui comprensione è cruciale tanto per il femminismo che per l’etica ambientale” (Karen J. Warren, Potere e potenzialità del femminismo ecologico)».
Alessia Belli relazionerà su Storie di ordinaria pandemia e di come si può diventare indigeni/e, concentrandosi su come sia «da un impulso vitale, dal desiderio di rispondere al senso di impotenza, frustrazione e chiusura legate alla pandemia che prende corpo un viaggio nel cuore dell’ecofemminismo, un viaggio di scoperta, di ricerca, di interrogativi su modi diversi e possibili di attraversare questa vita. Sulla strada, un incontro, un libro, un’avventura materiale e spirituale e il filo dell’indigenità a tentare di ricucire storie locali e globali per una rinnovata, possibile, filosofia – e pratica – dell’abitare questa terra».
Greta Mancini parlerà di Donne e altri mostri: la natura come luogo comune: «Consapevole che non sia possibile tornare indietro a uno stato originario e armonico di natura (se mai sia esistito!) e tantomeno che si possa oggettivarla e considerarla come qualcosa di fragile da proteggere, le recenti riflessioni di Donna Haraway, permettono di indagare un nuovo paradigma costitutivo del complesso rapporto tra donne e ambiente. Attraverso l’idea di artefattualismo dinamico, la natura è co-costruita attraverso la collaborazione di molte attrici e attori: umani, non umani, organici, tecnologici, tutti/e appartenenti a un collettivo natural-culturale grazie al quale enti differenti si fanno e si disfano in un processo relazionale di simpoiesi, di cui avere cura e premura».
Per conoscere meglio le relatrici di questo primo incontro, prima di ascoltare dalla loro viva voce i nodi centrali della questione dibattuta, poniamo loro alcune domande:
C’è stato un evento, una situazione particolare, un’esperienza… che a un certo punto del vostro percorso accademico vi ha portate ad affrontare il tema ambientale in ottica femminile?
DP Studiando le prospettive filosofiche contemporanee ho cominciato a occuparmi prima delle teorie femministe e poi dell’eco-femminismo. Si tratta di un campo di ricerca sterminato e ricchissimo di implicazioni sia dal punto di vista etico che antropologico. L’emergere delle problematiche ambientali ha messo al centro la necessità di una risposta sistemica facendoci rendere conto che, spesso, i dibattiti sull’eco-sostenibilità trascurano la prospettiva di genere che, al contrario, è ricca e apre molte interessanti proposte non solo teoriche ma anche pratiche. Molti progetti di riqualificazione e rigenerazione urbana eco-sostenibili sono ideate e realizzate da donne, questo rende sempre più evidente un modo di abitare il mondo e la storia che, come dice Geneviève Fraisse, è sessuato.
AB C’è stato un episodio in particolare che ha avuto una funzione di catalizzatore: la pandemia, che ha rappresentato un ulteriore, drammatico punto di rottura nel rapporto tra esseri umani e ambiente. Già prima di questo evento il tema ambientale era entrato nel mio orizzonte di interesse, anche grazie al lavoro come filosofa in un’azienda molto attenta e innovativa dal punto di vista ecologico. Ma è stata la combinazione della pandemia e la fine di due importanti percorsi a livello professionale e umano, che mi hanno portata a interrogarmi radicalmente sul legame, in quanto donna, con la natura e avviare un percorso di ricerca e di pratica ecofemminista tuttora in corso.
GM Credo che il mio interesse per la declinazione del tema ambientale in ottica femminile sia nato grazie a una serie di incontri, di care e fortunate amicizie, ma anche di esperienze non programmate. Il tema ambientale mi è caro da molto tempo e affonda le radici nello studio del rapporto etico che ci lega, in quanto umani e umane, alla vita degli animali. Ciò mi ha portato a riflettere sui sistemi patriarcali di dominazione binaria e su come queste logiche violente coinvolgano la natura, gli animali non umani e umani, in particolar modo le donne.
Secondo voi, oggi, negli ambiti accademici, politici, sociali… è affrontato in modo adeguato il tema del rapporto essere umano/ambiente?
DP Come per molti altri temi, anche il tema ambientale è spesso strumentalizzato dal dibattito politico. Manca una visione capace di tenere conto della reale relazione tra essere umano e ambiente, perché manca una visione integrale della persona umana, delle relazioni che intrattiene nel corso della sua esistenza. La ricerca accademica internazionale si sta muovendo per trovare delle risposte che possano essere supportate sia sotto il profilo scientifico che etico. Sono decisamente numerose le pubblicazioni che affrontano le tematiche ambientali, da molti punti di vista, ma le prospettive di ricerca difficilmente emergono nei dibattiti pubblici, che sono spesso di basso spessore culturale.
AB No, non penso che il rapporto tra essere umano e ambiente sia adeguatamente affrontato. Quanto viene discusso e proposto, infatti, è ancora perlopiù inscritto all’interno di un sistema capitalista e patriarcale. Dare realmente centralità a questa tematica, significherebbe mettere in discussione proprio i capisaldi di capitalismo e patriarcato per lavorare ad alternative teoriche e pratiche basate sulla valorizzazione di modelli economici e sociali che pongano al centro la preservazione della vita, il lavoro riproduttivo (che sostiene le basi materiali della vita), i saperi accumulati da secoli da donne e popoli originari, da sistemi che tutelano i beni comuni, promuovono la solidarietà inter e intra-specie e la presa di decisione collettiva.
GM A mio avviso, ci troviamo nel mezzo di un paradosso: da un lato, la presenza costante delle tematiche ambientali coniugate da molteplici punti di vista e in ambiti differenti; basti pensare alle agende politiche, ai Fridays for future, alla presunta nuova sostenibilità di aziende e multinazionali. Dall’altro lato, però, la pervasività delle tematiche relative al rapporto tra esseri umani e ambiente finisce per sortire l’effetto opposto, provocando un generale disinteresse morale. Penso che alla base della politica, della ricerca, delle questioni sociali, debba esserci un rinnovato sentire etico che non può venire alla luce senza una personale e convinta autoimplicazione nella questione ambientale. Come ha scritto Jonathan Safran Foer «se niente importa, non c’è niente da salvare».
Le donne, fino al secolo scorso, nei nostri Paesi occidentali, non potevano – per legge – frequentare le università, fare attività politica riconosciuta e avere ruoli di governance; ancora oggi è così in molte parti del mondo e da noi le leggi di parità, che ora esistono, sono spesso disapplicate: le discriminazioni partono da lontano e pervadono ogni ambito, quali indicazioni concrete e fattibili nell’immediato vi sentite di dare, come studiose, per procedere e non retrocedere sulla via della parità?
DP La prima cosa da capire, mi verrebbe da dire a livello globale, è che la questione femminile non è una questione di nicchia né solo una questione di rivendicazione: è anzitutto una questione antropologica. Stiamo parlando di persone, persone che vengono discriminate, maltrattate, non riconosciute, usate e strumentalizzate. Quando parliamo di donne parliamo di persone. Se uno Stato, un governo non riconosce la dignità e i diritti delle persone non è un governo civile. A fronte di questo riconoscimento serve un lavoro, che comincia dall’educazione infantile, di valorizzazione delle potenzialità di tutti gli esseri umani, che sono tutti diversi e che devono poter essere messi in condizione di far fiorire e realizzare la propria umanità. L’agire discriminatorio inizia dal mancato riconoscimento del diritto di ogni essere umano di realizzare sé stesso, le proprie aspirazioni, da questo punto di vista ha ragione Martha Nussbaum quando riconosce che le carte costituzionali da sole non bastano, servono strategie e azioni concrete da parte dei governi – dal livello più basso delle amministrazioni locali e delle istituzioni pubbliche, fino alle strategie politiche statali – per rendere possibile una piena attuazione delle capacità e delle aspirazioni di ciascun essere vivente.
AB Lottare globalmente e localmente affinché le leggi di parità trovino un riscontro concreto è quanto mai prioritario. Eppure c’è un ulteriore scarto da colmare. Se infatti il tema della parità continua a essere inquadrato e affrontato entro la cornice capitalistica, rischia di riprodurre logiche di potere e valori profondamente in contrasto con la vita stessa, finendo per non contribuire di fatto a un cambio di paradigma, che è invece necessario e vitale. La sfera della ricerca, della politica, dell’economia e del sociale dovrebbero essere permeate dalle analisi e proposte ecofemministe, per portare a una nuova consapevolezza personale e collettiva capace di generare modi nuovi, partecipativi, di fare politica.
GM Il rischio è proprio quello di considerare la parità come un traguardo ormai raggiunto, privandola di quel carattere emergenziale che invece è necessario nelle questioni delle quali siamo tutti e tutte chiamati/e a rispondere. Le buone pratiche sulla via della parità partono certamente dall’educazione dei/lle più piccoli/e che vanno accompagnati/e alla scoperta di percorsi volti al riconoscimento di uguali capacità tra bambini e bambine, ma anche al rispetto delle differenze e, soprattutto, al contrasto di ogni tipo di violenza, nonché di facili stereotipi e di generalizzazioni linguistiche. Inoltre, come suggerito da una delle protagoniste dell’ecofemminismo di cui parlerò il 16 marzo, Donna Haraway, occorre costruire collettivi tra le specie, alleanze e co-implicazioni tra esseri umani, vite organiche, animali, artificiali, narrando storie di cooperazione, in una sorta di nuova ecologia natural-sociale.
Moltissime le sollecitazioni che ci arrivano da queste discussioni, ringraziamo le relatrici per le loro risposte e prepariamoci ad ascoltare i temi specifici che affronteranno, nella convinzione che l’umanità ha perso molta strada nell’impedire alle donne di dire la loro anche negli ambiti esterni alla famiglia, e il danno prosegue, in modi diversi nelle diverse parti del mondo.
Questo il link per effettuare la preiscrizione all’incontro online e ricevere poi le indicazioni per il collegamento: https://csvmarche-it.zoom.us/webinar/register/WN_5lHcoLgxT7eQbD5wsl_9XQ
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Articolo di Danila Baldo

Laureata in filosofia teoretica e perfezionata in epistemologia, tiene corsi di aggiornamento per docenti, in particolare sui temi delle politiche di genere. È referente provinciale per Lodi e vicepresidente dell’associazione Toponomastica femminile. Collabora con Se non ora quando? SNOQ Lodi e con IFE Iniziativa femminista europea. È stata Consigliera di Parità provinciale dal 2001 al 2009 e docente di filosofia e scienze umane fino al settembre 2020