Il trionfo dell’Italia femminile, che a giugno si è qualificata ai prossimi Mondiali di Francia 2019, non ha fatto troppo scalpore. Eppure, quel risultato sportivo non veniva raggiunto da 20 anni. Sette vittorie su sette nel girone di qualificazione, diciotto reti segnate e soltanto due subite. Numeri che raccontano un’impresa. La vittoria per 3-0 contro il Portogallo ha proiettato in alto le azzurre del ct Milena Bertolini, che avranno l’occasione per riscattarsi e per mettersi in luce dopo anni trascorsi in penombra. Da un lato la loro gioia e i loro volti distesi, dall’altro un mondo troppo distratto. La recente cronaca calcistica, infatti, ricorda un’estate incentrata su Cristiano Ronaldo, ormai un giocatore della Juventus, il colpo di mercato del secolo, e di un Mondiale – quello disputato in Russia – senza Italia. Maschile, naturalmente. Istituzioni, media e tifosi hanno “festeggiato” con poca attenzione le calciatrici, considerate (per tradizione) sportive di Serie B. Anche se, negli anni, qualcosa è stato fatto – probabilmente non a sufficienza – per abbattere il muro dei pregiudizi. Le società professionistiche, prendendo esempio dalla Fiorentina – promotrice in questo – stanno creando una propria squadra femminile. Le azzurre, infatti, provengono principalmente da Brescia e Juventus, vincitrice dell’ultimo scudetto. Un traguardo che, fino a qualche tempo fa, in pochi avrebbero immaginato.
Donne in campo: storia e numeri
Milano, 1933. Un gruppo di ragazze vestite con la sottana, un pallone e un campo da calcio da inventare per divertirsi. Con queste premesse, visto il periodo, il “Gruppo Femminile Calcistico” non sarebbe potuto passare inosservato. E infatti, per evitare che quelle giovani donne – troppo moderne per l’epoca – potessero influenzare altre “colleghe”, il Coni decise di spingerle verso sport differenti, vietando alle calciatrici di giocare gare e tornei. Sedici anni più tardi però, vennero fondate le squadre. A Trieste, con la Triestina e le ragazze di San Giusto, ma non solo. Un’espansione a macchia d’olio fino al 1968, l’anno zero per la nascita del calcio femminile italiano. Una svolta per le ragazze che sognavano di imitare i propri coetanei. Nacque la Federazione Italiana Calcio Femminile, quindi il primo campionato italiano e il primo scudetto, quello storico, vinto dal Genova contro la Roma. Sempre in quel periodo, l’Italia ospitò due tornei per nazioni non ufficiali e finì sul podio nelle prime cinque edizioni degli Europei. Prima l’entusiasmo dato dalla novità, poi le tensioni interne e un calcio italiano femminile diviso in più Federazioni, infine la riunificazione. Tornei, campionati, scuole calcio e un movimento che nel tempo effettivamente è cresciuto, ma non è mai esploso. Come invece è successo, o sta per succedere, altrove.
La rivoluzione norvegese
La vera parità dei sessi è nella Norvegia calcistica. I giocatori della nazionale maschile norvegese hanno accettato, dal 2018, di ridurre i loro compensi per renderli uguali a quelli delle loro colleghe della nazionale femminile, da sempre inferiori. Bastano poche righe per capire quanto un’iniziativa del genere sia destinata a rimanere nella storia. E quante ripercussioni potrebbe avere se solo venisse presa come esempio in Italia, o in altri Paesi più arretrati sotto questa prospettiva. Calciatrici e calciatori alla pari, con uno stipendio medio che sarà identico – circa 620 mila euro – a quello degli uomini, che hanno accettato una riduzione di circa 60 mila euro. Un passo gigante, considerando anche uno degli ultimi studi del Cies Observatory, in base al quale l’ingaggio annuale garantito dal Paris Saint-Germain a Neymar (30 milioni di euro) equivaleva al totale degli stipendi delle migliori calciatrici di sette Paesi. La Norvegia ha provato a influenzare anche altri Paesi. La nazionale maschile danese ha offerto circa 80 mila euro alle donne per supportare i loro impegni agonistici. E ne ha fatto riflettere altri. Le irlandesi, tempo fa, hanno minacciato lo sciopero perché trattate come “cittadine di quinta classe” dalla Federazione. Esempi che dimostrano quanto l’Italia non sia l’unico Paese ancora troppo indietro sotto questo punto di vista.
Calcio femminile, una storia ancora da scrivere
Probabilmente sono tanti e tutti collegati tra loro i motivi riconducibili alla scarsa considerazione del calcio femminile in Italia. Le donne che sognano una “carriera” del genere devono avere una determinazione esagerata. Se da un lato cresce il numero delle giovanissime, pronte a iscriversi a una scuola calcio, dall’altro diminuisce quello delle maggiorenni, costrette ad abbandonare la loro passione. I soldi sono pochi, le strutture sono più arretrate e l’impossibilità di vivere soltanto di calcio è reale. E poi, bisogna fare i conti con l’interesse del pubblico – per cultura e tradizione proiettato verso la sfera maschile di questo sport – e di conseguenza con quello degli investitori, non attratti da pochi ricavi. Una somma di fattori che non favorisce il lato rosa del calcio, che sicuramente avrebbe bisogno di una spinta mediatica importante. Maggiore visibilità, in primis agli occhi delle istituzioni e della stampa. Maggiore volontà di annoverarlo tra gli sport che contano. Come la tradizione calcistica italiana merita. Come quelle giovani calciatrici in sottana, negli anni ‘30, avrebbero desiderato.
Articolo di Angelica Cardoni
Ho iniziato a lavorare nel mondo del giornalismo sportivo (e non) nel 2010 nella carta stampata, poi ho accumulato esperienze in radio, in tv, sul web – come opinionista, inviata sportiva e redattrice -, fino al trasferimento a Milano, subito dopo la laurea in Scienze della Comunicazione conseguita all’Università di Roma Tor Vergata. Ho frequentato il master in giornalismo dell’università IULM di Milano.
bell’articolo! la foto però non mi sembra quella giusta, le scarpe non sono da calcio! Spesso si trova in rete una immagine della donna sportiva e soprattutto della calciatrice poco attinente sempre un pò “sexy”.
Anche dall’immagine occorrerà trovare le pari opportunità! grazie per il lavoro!
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