Dal Parlamento europeo arrivano le nuove direttive per congedo parentale e di paternità

Si inizia a respirare aria di parità con le nuove direttive su congedo parentale e di paternità, approvate dal Parlamento Europeo alla fine dello scorso mese.

Permettere ai padri, o ai secondi genitori, di prendersi cura della prole, secondo tempi e modalità previsti dalla legge, sarebbe sicuramente un cambio di rotta non indifferente per la costruzione di una società più equa e meno discriminante. I benefici derivanti non sono pochi, e andrebbero a vantaggio di uomini e donne. Quest’ultime, stereotipicamente reputate più adatte ai lavori di cura, sono state (e sono tuttora) sottorappresentate nel mondo del lavoro. D’altra parte la possibilità della maternità viene ancora considerata spesso un deterrente troppo forte per affidare loro un ruolo di vertice. In altri numerosi casi sono invece proprio le donne a rinunciare a un lavoro a tempo pieno, poiché non permette di dar vita a un perfetto work-life balance. Dall’altro lato della medaglia troviamo gli uomini, protagonisti indiscussi del mondo del lavoro. Il “mercato” che conta è infatti costellato di persone di sesso maschile che, tra appuntamenti in ufficio e improrogabili impegni lavorativi, non riescono a dedicare alla propria famiglia il tempo dovuto. Tale realtà è reputata così normale, così naturale che nemmeno la normativa li tutela sufficientemente in materia di paternità.

Con le recentissime direttive sembra si possa parlare dell’inizio di un vero cambiamento.

Tra le novità più importanti va menzionata l’estensione a dieci giorni del “congedo dal lavoro per il padre o, laddove e nella misura in cui riconosciuto dal diritto nazionale, per un secondo genitore equivalente, da fruirsi in occasione della nascita di un figlio allo scopo di fornire assistenza”. In questo arco di tempo, il padre (o il secondo genitore) dovrà percepire una retribuzione almeno equivalente a quella percepita in caso di malattia.

A seguire, all’interno delle direttive un altro punto risulta essere notevolmente rilevante. Gli Stati membri sono infatti chiamati ad adottare “le misure necessarie affinché ciascun lavoratore disponga di un diritto individuale al congedo parentale di quattro mesi da sfruttare prima che il bambino raggiunga una determinata età, non superiore agli otto anni, che deve essere specificato da ciascuno Stato membro o dai contratti collettivi. Tale età è fissata in modo da garantire che ogni genitore possa esercitare effettivamente il proprio diritto al congedo parentale e su un piano di parità.”.

Un congedo, pari a cinque giorni lavorativi l’anno, è garantito anche a un/una lavoratore/lavoratrice che presta assistenza a un/una familiare (o a una persona che vive nello stesso nucleo familiare) con condizioni di salute gravi.

Le novità, però, non finiscono qui. Anche al lavoro flessibile è destinato uno spazio meritevole d’attenzione. Ancora una volta gli Stati membri sono invitati ad adottare “le misure necessarie per garantire che i lavoratori con figli fino a una determinata età, che non deve essere inferiore a otto anni, e i prestatori di assistenza abbiano il diritto di chiedere orari di lavoro flessibili per motivi di assistenza.”

Quanto sostenuto sin qui è stato approvato con 490 voti a favore, 82 contrari e 48 astensioni, attraverso una direttiva che entrerà in vigore solo venti giorni dopo rispetto alla pubblicazione della stessa sulla Gazzetta ufficiale dell’UE.

E dopo?

Dopo la strada da percorrere è ancora lunga. Gli Stati membri hanno, infatti, la possibilità di elaborare la normativa prendendosi tutto il tempo necessario, fino a un massimo di 36 mesi.

Per ulteriori informazioni cliccare qui.

 

Articolo di Annalisa Cassarino

WXDTdE6fLaureata in Letteratura italiana, filologia e linguistica, è attualmente cultrice della materia (SSD L/LIN-01). Si occupa di questioni di genere e, in relazione a quest’ambito ha ricoperto il ruolo di tutor e formatrice (docenti e studenti/studentesse). Collabora con il centro di ricerca Grammatica e sessismo dell’Università di Roma Tor Vergata ed è una militante dell’Associazione Toponomastica femminile.

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