E come Elasticità

Sul vocabolario: possibilità di variare, capacità di adattamento, di adeguamento.

Contrari: rigidità, resistenza.

Nella contemporaneità così veloce, così mutevole, essere rigidi è più che mai un difetto; d’altronde in natura di norma prevale l’organismo capace di adattarsi a condizioni nuove.

La cultura diffusa però è più lenta, più inerte, più immobile.

Prendiamo i ruoli di genere: sono l’espressione pubblica dell’identità, l’insieme delle definizioni e delle credenze condivise rispetto a ciò che l’ambiente sociale ritiene appropriato per un maschio o per una femmina. Le norme comportamentali e i valori sfociano in imposizioni che cominciano fin dalla prima infanzia: “questo è come la donna dev’essere, questo è come l’uomo dev’essere”.

Ancora troppo spesso – in una divisione rigida – la donna è definita dal matrimonio e dalla maternità, l’uomo dal lavoro e dalla posizione sociale.

La logica che separa con un taglio netto il maschile e il femminile è costruita socialmente, ma la dicotomia di genere è talmente pervasiva da parer “naturale”.

Tra tutte le categorie sociali, quella di genere è la categoria che ottiene il più alto punteggio sulla dimensione di inalterabilità; la categoria “donna” è assai più essenzializzata della categoria “uomo”. Coloro che essenzializzano i generi valutano i tratti, le abilità, gusti e comportamenti di una persona in base al suo genere di appartenenza.

Sin dalle origini il patriarcato si è radicato in una serie di contrapposizioni tra princìpi antitetici e li ha collegati a maschile/femminile: cultura/natura, anima/corpo, spirito/materia, ragione/sentimento, pubblico/privato … per secoli filosofia e religione, diritto e medicina l’hanno concordemente sancito.

Il pensiero occidentale ha costruito nel tempo sulle differenze fisiche un complesso e radicato sistema di diseguaglianze sociali, da cui le donne perfino nel terzo millennio faticano ad affrancarsi.

È opportuno saper cogliere che una differenza biologica (la funzione riproduttiva), è diventata una differenza di ruoli (il ruolo materno), per poi trasformarsi in una diseguaglianza di genere (mancanza di logos), quindi nella subalternità sociale (la donna destinata unicamente all’ambito familiare), e infine nell’esclusione politica (se l’ambito femminile è quello della casa e della sfera privata, le donne non appartengono alla sfera pubblica e quindi non possono essere né soggetti politici né professioniste autorevoli).

Il percorso di socializzazione a questa rigida divisione per radicarsi deve cominciare in età precocissima; la forzatura dev’essere inavvertita.

Sono stati esaminati gli aggettivi utilizzati per i personaggi maschili e per quelli femminili nelle fiabe e nei sussidiari, e il risultato – nel nuovo millennio – è stato sorprendente. Gli uomini sono “audaci”, “coraggiosi”, “liberi”, “saggi”, oltre che “irosi” e “violenti”. Le donne sono “vanitose”, “pettegole”, “civette”, oppure “dolci”, “sensibili” e “fragili”, oltre che “comprensive” e “servizievoli”.

Sinonimi che possono essere usati al posto di ‘femminile’: debole, fiacco, molle, snervato, delicato, fragile. I ‘maschili’ corrispondenti sono possente, prestante, aitante, forte.

Le gerarchie conseguenti si inscrivono nel linguaggio e nel pensiero, da subito.

…ina …uccia …etta a raffica per le bambine, le fanciulle – e anche per le donne. Nomignoli. A rispecchiarne la piccolezza, la debolezza; a coccolarle, come si fa con gli infanti. Velina, letterina, meteorina, sondaggina, paperina.  L’uso di un vezzeggiativo o di un diminutivo se riferito a un uomo ha invece un intento spregiativo, sminuente, può avere un’intenzione offensiva. I simmetrici “regolari” sono infatti soprattutto …one, magari anche …accio. Un po’ di rudezza non guasta.

Infirmitas, imbecillitas, fragilitas sexus: così parlava il diritto romano fin dai secoli avanti Cristo, così aveva insegnato Aristotele. Noi abbiamo solo tradotto.

Una società così rigida, così restia al cambiamento, una scuola che favorisce una così forte stereotipizzazione dei generi sin dall’infanzia, non fan bene a nessuno.

Né ai maschi né alle femmine.

 

Illustrazione di Marika Banci

1--BExhxDopo la laurea in Lettere moderne, Marika si iscrive al corso triennale di Progettazione grafica e comunicazione visiva presso l’ISIA di Urbino. Si diploma nel 2019 con una tesi di ricerca sulle riviste femministe italiane dagli anni ’70 ad oggi e la creazione di una rivista d’arte in ottica di genere dal nome “Biebuk”. Designer e illustratrice, ha dedicato alle tematiche femministe molti dei suoi ultimi progetti.

 

Articolo di Graziella Priulla

RfjZEjI7Graziella Priulla, già docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi nella Facoltà di Scienze Politiche di Catania, lavora alla formazione docenti, nello sforzo di introdurre l’identità di genere nelle istituzioni formative. Ha pubblicato numerosi volumi tra cui: “C’è differenza. Identità di genere e linguaggi”, “Parole tossiche, cronache di ordinario sessismo”, “Viaggio nel paese degli stereotipi”.

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