Il 1° maggio è il simbolo della storia del lavoro. Ne è la pietra miliare, il punto di partenza, la rivendicazione del diritto alla dignità di lavoratrici e lavoratori.
Si sa, sono le rivoluzioni a rendere celebri le date, la giornata lavorativa di otto ore è stata una conquista di molte lotte, merita memoria, ma nel ricordo ci sono anche i martiri di Chicago del maggio 1886.
La Prima Internazionale di Ginevra nel 1866 ispirò la manifestazione di quel 1° maggio a Chicago, perché fu proprio lì che furono decise le otto ore di lavoro, le otto di svago e le otto di riposo.
La manifestazione del 1° maggio 1886 degenerò e fu repressa. Si concluse con l’impiccagione di quattro lavoratori, responsabili soltanto di essersi trovati nel momento sbagliato sul terreno di scontro.
In Italia il 1°maggio 1890 fu la prima di quelle giornate assunte a simbolo del riscatto della classe lavorativa dallo sfruttamento e dalla lotta per la conquista delle otto ore di lavoro.
Non fu riconosciuta per decenni dal potere costituito ma, dalla fine dell’800 al fascismo, fu tenacemente festeggiata anche se i vari Governi ne scoraggiarono sempre le celebrazioni.
Il ventennio fascista la oscurò e la festa celebrativa dei lavoratori fu inglobata nella propaganda filo-nazista, sostituendola con il 21 aprile, “Natale di Roma”.
Nell’Italia liberata, il 1° maggio 1945 fu straordinario.
Lavoratori e lavoratrici per le strade di tutta Italia manifestarono non solo per la loro festa ma per la caduta della dittatura, la fine della guerra e la riconquista della libertà.
A Roma si concentrarono forze politiche e sindacali e quel giorno di Piazza del Popolo si disse, “non fu mai più così bella come quella mattina di sole”.
Dal pulpito anche una donna ebbe la parola, Maddalena Secco, arrestata e condannata dal tribunale fascista a dieci anni di carcere, per avere svolto attività antifascista, tramite i sindacati, in vari stabilimenti genovesi, per spiegare l’importanza della partecipazione delle donne alla Resistenza.
La notevole riuscita della manifestazione ebbe il merito di promuoverla tra le date indelebili nel calendario, con il valore simbolico che ancora oggi le riconosciamo, vissuto dalla classe lavoratrice con la stessa forte carica emotiva, gioia e impulso unitario di cui fu capace il 25 aprile per la Liberazione.
Un 1° maggio libero dopo ventiquattro anni di persecuzioni e sofferenze, riaffermava e rivendicava i diritti di chi lavora in uno Stato democratico insieme a un sindacato libero, autonomo e democratico, protagonisti insieme di quella fase della vita del Paese.
Le lotte e le conquiste sancite dal 1° maggio riguardano tanto gli uomini quando le donne.
I concetti di lavoro e lotta spesso sono identificati con il solo lavoro maschile. La storia fortunatamente ci ha lasciato tracce della fatica delle donne.
Il canto popolare “Se otto ore vi sembran poche…” è di lotta tra i più noti in Italia. Le mondine rivendicavano l’istituzione delle otto ore come orario massimo giornaliero. L’importanza di testimonianze come la loro, come quella delle operaie delle filande, prime a porre in Italia la questione femminile e la retribuzione adeguata, fa emergere l’immagine di donne energiche e volenterose, di esperienza, di crescita, in un ritratto del lavoro del dopoguerra.
Come fu delle donne l’esperienza nei campi di tabacco, decisiva per molte, per l’evoluzione della mentalità, per una consapevolezza più critica sul ruolo loro riservato nel mondo del lavoro, modellando così quella generazione successiva che sarebbe approdata nelle fabbriche.
La storia ci riempie di orgoglio, ci ricarica e ha dato un senso alla ricorrenza nei nostri anni più recenti. Il lavoro è un potere incredibile, un creatore di pace. I bassi salari e il flagello della disoccupazione sono alla base delle sofferenze di chi lavora.
Il tempo e la politica lo hanno destrutturato e questo ha impoverito i diritti di tutti. Teniamo conto comunque che la qualità del lavoro è cambiata, la sua struttura si è trasformata, ormai connessa con i sistemi digitali e le intelligenze artificiali. Questo cambiamento comunque non può sviare l’attenzione della politica e ledere la centralità che il lavoro deve avere nei programmi del Paese.
La storia ci spinge a commemorare un passato di rivolte e di conquiste ma davanti a noi c’è una realtà difficile, una battaglia dei diritti che ci porta ad esigere, senza sosta, il rispetto per la dignità individuale e collettiva di tutte e tutti, lavoratrici e lavoratori.
È difficile trarre conclusioni nel confuso momento politico e storico del nostro Paese.
È però troppo evidente il contrasto nel rapporto tra occupati e disoccupati, c’è in discussione il concetto di società e di sistema economico.
Gli uomini, e soprattutto le donne, fanno sempre più fatica a entrare nel mondo del lavoro, giovani laureate/i si trasferiscono all’estero, si sgretola il tessuto industriale, commerciale, economico e sociale.
In questo 1° primo maggio comunque celebriamo il lavoro di uomini e donne.
Sia la festa dei diritti, di chi il lavoro non ce l’ha, anche di chi ne ha avuti sempre troppo pochi. Sia la festa di chi lavora non riuscendo a superare la soglia di povertà.
Sia la festa di lavoratrici e lavoratori autonomi e dipendenti, di precari, di turnisti in fabbrica, di chi lavora gratis e di chi è costretto dal caporalato.
Celebriamo un 1° maggio per chi ha nazionalità diversa dalla nostra, ha fede diversa, opinione diversa.
Celebriamo la dignità, la difesa dei diritti, il genere, il rispetto delle differenze.
Oggi, in questo 1° maggio annunciato, non c’è modo migliore per onorare la storia del lavoro.
Articolo di Grazia Mazzè
Grazia Mazzè è nata e vive a Palermo. Da circa trent’anni è in distacco per attività sindacale. Segretaria Regionale di categoria del settore della chimica, energia e tessile della UIL, è impegnata da sempre nell’attività dei Coordinamenti Pari Opportunità e Politiche di genere, a livello regionale e nazionale. È la referente del gruppo Toponomastica femminile per la città di Palermo.