Le vittime invisibili dei femminicidi

Si parla di loro non appena avviene la tragedia: il femminicidio della loro mamma da parte del loro padre. La cronaca ci racconta come si chiamano, quanti anni hanno, se sono stati testimoni della tragedia. Poi scompaiono, non ne sentiamo più parlare. La loro vita continua ma non sappiamo più nulla di loro. Eppure se l’assassinio di ogni donna vittima di violenza maschile è la fine del suo calvario, per i suoi figli e figlie è la continuazione o l’inizio. L’inizio di un cammino complicatissimo: un labirinto burocratico per accedere agli scarsi aiuti, svolto per loro tramite da nonni o zii, lo stigma sociale, perché figli di un assassino oppure la compassione fine a se stessa. Il dover fare i conti di vivere con il dolore, la paura, l’angoscia. Spesso li aspetta un futuro economico  incerto, visto che chi li accoglie, nonni materni soprattutto, non sempre dispone delle risorse necessarie. E tutto questo unito al dolore di crescere senza la mamma.

Gli orfani e le orfane della violenza maschile sono invisibili.

Spesso nonni o zii materni devono combattere battaglie per averne la custodia al posto dei parenti paterni; e occorrono risorse economiche per poter sostenere le spese legali (servono costosi procedimenti giudiziari per rivendicare il giusto diritto degli orfani alla casa familiare o alla pensione di reversibilità o all’eredità materna) sia per far fronte a terapie psicologiche indispensabili ma costose. Non si stanca di ripeterlo il padre di Carmela Morlino, una giovane donna di Foggia, uccisa 4 anni fa in Trentino, dove viveva, dall’ex marito (che aveva il divieto di avvicinamento), davanti al figlio e alla figlia. Sebbene la vicenda sia ben più che drammatica, lui stesso dice che il tragico femminicidio è stato solo l’inizio del difficilissimo percorso che ha visto protagonisti i due nonni, il bambino e la bambina: dalla mancanza quasi totale di supporto economico e psicologico al calvario dei procedimenti giudiziari che peraltro vedono insorgere alcuni aspetti sconcertanti come quello per il quale si considera il maschietto, più grande, una vittima in quanto anche lui subiva violenze fisiche dal “padre” ma non la bambina la quale “non avrebbe subito violenza” in maniera diretta. Questo è uno dei casi in cui la violenza assistita si manifesta in tutta la sua gravità: una bimba che per mesi o forse anni ha visto il padre usare violenza verso il fratello e verso la madre fino all’atto estremo, che non viene considerata vittima di violenza assistita. Di fatto è lo stesso nonno, Matteo Morlino, a spiegare in quest’intervista (https://www.huffingtonpost.it/2018/11/25/femminicidio-il-dolore-di-un-padre-nella-legge-che-dovrebbe-tutelare-i-miei-nipoti-orfani-ce-qualcosa-che-non-va_a_23600164/) come sia scarsissima la tutela esistente verso gli orfani ed orfane di femminicidio.

Recentemente ho parlato in un altro articolo della violenza assistita. Sembrerebbe scontato che siano considerate/i vittime di violenza assistita anche i bambini e le bambine la cui mamma è stata vittima di femminicidio. Ma anche se è stata predisposta una legge ad hoc, di fatto così non è. Una legge infatti esiste: una delle ultime attività della precedente legislatura è stata l’approvazione della Legge 11 gennaio 2018, n. 4 recante “Modifiche al codice civile, al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in favore degli orfani per crimini domestici” ovvero gli/le orfani/e di femminicidio, in vigore dal 16 febbraio 2018. Tra le misure della legge, che modifica alcune norme di codice civile, codice penale, codice di procedura penale: l’accesso al gratuito patrocinio in deroga ai limiti di reddito previsti, l’accesso gratuito ai servizi di assistenza medica e psicologica, l’assegnazione di alloggi di edilizia pubblica, la facoltà di cambiare il cognome. Infine, viene esteso a tali soggetti il Fondo per le vittime di mafia, usura e reati intenzionali violenti, con previsione di un incremento di dotazione di 2 milioni di euro annui, indirizzati a borse di studio in favore degli/le orfani/e e al finanziamento di progetti di orientamento, di formazione e di sostegno per l’inserimento degli stessi nell’attività lavorativa. Sembrerebbe una buona legge e probabilmente lo è ma, per la mancanza di decreti attuativi, degli organismi che la rendano applicabile, per i tagli apportati dall’attuale governo, per la previsione di un reddito minimo degli affidatari degli orfani di femminicidio, che non deve superare una certa soglia, di circa circa 10.000 euro (troppo bassa al punto che quasi nessuno può farvi ricorso), la legge è quasi inutile.

Infine, il fondo non è stato rifinanziato dall’ultima legge di bilancio nonostante l’emendamento alla legge di bilancio, presentato da Mara Carfagna e non accolto, per finanziare il fondo con 10 milioni di euro. Sempre Carfagna nelle scorse settimane ha dato voce alla sua indignazione quando la Corte d’Appello di Messina ha annullato il risarcimento di 259.200 euro che nel giugno del 2017 i giudici di primo grado avevano riconosciuto ai tre figli minorenni di Marianna Manduca, dopo avere riconosciuto la responsabilità civile dei magistrati rimasti inerti nonostante le dodici denunce della donna, poi uccisa dal marito. Eppure era stato l’unico caso in cui gli orfani avevano acquisito una visibilità indiretta attraverso lo sceneggiato trasmesso dalla Rai sulla loro storia e sul coraggio degli zii che li avevano adottati, anche se quasi non li conoscevano. Speriamo che la Cassazione possa porre rimedio ad una sentenza motivata dal fatto che “l’omicidio non poteva essere evitato”. Una sentenza terribile perché sottintende che denunciare i violenti è vano. Come dice la deputata è «sconvolgente che i giudici abbiano sentenziato, in nome del popolo italiano, che non vi fu negligenza alcuna da parte di chi, preposto a proteggere la vita di noi tutti e a fare giustizia, ha ignorato le fondate e disperate richieste d’aiuto di Marianna Manduca».

Articolo di Donatella Caione

donatella_fotoprofiloEditrice, ama dare visibilità alle bambine, educare alle emozioni e all’identità; far conoscere la storia delle donne del passato e/o di culture diverse; contrastare gli stereotipi di genere e abituare all’uso del linguaggio sessuato. Svolge laboratori di educazione alla lettura nelle scuole, librerie, biblioteche. Si occupa inoltre di tematiche legate alla salute delle donne e alla prevenzione della violenza di genere.

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