Mozambico. Il diritto di scegliere la maternità

L’utero è l’unica parte del corpo femminile a non essere più un organo “privato” bensì un tema di dibattito pubblico, in cui sostanzialmente la donna perde la sua autonomia e libertà di scelta, poiché gli altri pretendono di decidere per lei, dall’esterno, a priori. Questa è la tesi portata avanti dal filosofo spagnolo Paul Preciado in materia di aborto, autodeterminazione e libertà di scelta. Una sfera di per sé semplice, complicata tuttavia dall’incontro di tutte le varie dimensioni sociali ed economiche: fede, cultura, politica…

Secondo un gruppo di ricerca in favore del diritto all’aborto, il Guttmacher Institute, le donne in età riproduttiva sono circa 1,6 miliardi in tutto il mondo di cui il 6% vive in Paesi in cui l’aborto è totalmente vietato. Questo ha come conseguenza che circa il 45% degli aborti a livello globale è considerato non sicuro e oltre 22.000 ragazze muoiono ogni anno dopo aver subito un aborto non sicuro, non considerando milioni di donne ricoverate in ospedale per complicazioni post-aborto. L’interruzione di una gravidanza effettuata da persone prive delle competenze necessarie o in un ambiente privo dei requisiti igienico- sanitari minimi, rappresenta una delle cinque cause di mortalità materna diretta.

In Africa l’aborto è proibito in oltre un terzo dei Paesi  Sub-sahariani, nei quali milioni di adolescenti si trovano ad affrontare gravidanza e parto in un’età compresa tra i 15 e i 19 anni e altrettante hanno la loro prima gravidanza sotto i quindici anni, come riferisce Medici senza frontiere. Le donne che affrontano una gravidanza indesiderata sono varie socialmente e culturalmente: sposate e non sposate, con figli, ragazze che frequentano la scuola, donne istruite provenienti da zone urbane e analfabete provenienti da zone rurali. Alcune usavano un contraccettivo che non ha funzionato, altre non lo usavano affatto o non erano a conoscenza della sua esistenza. Alcune hanno subito una violenza sessuale o sono state obbligate a rimanere incinte. Altre ancora avevano difficoltà economiche, erano senza partner o supporto familiare. In Paesi come questi le circostanze di una gravidanza indesiderata portano all’esclusione sociale, alla vergogna e allo stigma quanto l’aborto stesso. I Paesi africani che negli ultimi dieci anni hanno maggiormente ridotto la mortalità dovuta a casi di aborto non sicuro hanno spesso Ministre della Sanità e hanno lavorato per rendere più accessibili contraccettivi, assistenza medica e informazioni.

Il Mozambico è uno dei tre Stati africani in cui l’aborto è legale senza condizioni restrittive. Il 18 dicembre 2014 è stata introdotta una norma che consente l’aborto gratuito per tutte le donne nel primo trimestre e in circostanze particolari fino a 24 settimane, in strutture verificate e con professionisti qualificati.  Questo è sicuramente un passo assai importante, ma molti sistemi sanitari rispondono lentamente ai cambiamenti, non garantendo l’assistenza necessaria. Basti pensare che in seguito a questa legge gli standard clinici per l’aborto sicuro sono stati definiti solo nel 2017 e l’opposizione istituzionale, della comunità cristiana e musulmana, ma anche la resistenza degli operatori sanitari ne ha ostacolato l’attuazione. A ciò si aggiunge un secondo problema, non per importanza: la scarsa o inesistente educazione sessuale e la pianificazione matrimoniale, le statistiche riportano che il 48,2% dei matrimoni si celebrano al di sotto dei 18 anni.

Questa è la realtà con cui devono convivere le donne di questo Paese, non poi così lontano e diverso dal nostro: la lotta per il diritto di scegliere, per essere padrone e libere nel nostro stesso corpo accomuna le donne di ogni parte del mondo. Il Consorzio Associazioni con il Mozambico, in occasione della V Conferenza provinciale su donne e genere a Sofala, ha cercato di spiegare e raccontare cosa significa essere donna in Mozambico attraverso varie interviste riportate nel video che potete trovare qui:

https://www.youtube.com/watch?time_continue=81&v=KyrcmcBswcU   .

Vorrei concludere con l’affermazione di Florynce Kennedy, afroamericana femminista, difensora dei diritti civili e attivista: «Se gli uomini potessero restare incinti, l’aborto diventerebbe un sacramento», per ricordare che una donna può desiderare di diventare madre, ma non necessariamente adesso.

Articolo di  Elena Carmazzi

D0j9-P8_.jpegStudentessa del corso di laurea triennale in Scienze della Comunicazione all’Università di BolognaFemminista alla ricerca di storie e donne a cui dare voce. Lettrice seriale, appassionata di fotografia e concerti. Positiva, empatica e determinata. Alla continua ricerca e costruzione della propria strada. 

Lascia un commento

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...