Nel 1818 Mary Shelley, autrice britannica, pubblicò per la prima volta un romanzo che avrebbe segnato la storia del genere gotico: Frankenstein, o il moderno Prometeo.
Il dottor Victor Frankenstein, protagonista del romanzo, dopo alcuni tentativi riesce a «dare animazione alla materia morta» (Shelley) dando vita alla creatura entrata nel mito. Il mostro viene creato resuscitando un uomo deceduto. Tuttavia, l’essere risorto sfidando la morte è inquieto, così terribilmente consapevole di essere un mostro, così terribilmente conscio di non essere come tutti gli altri. Tale inquietudine lo porta, dopo una lunga serie di peripezie, a chiedere al dottor Frankenstein di creare una donna come lui per potersi ritirare con lei lontano da tutto e tutti. Il romanzo riscuote uno straordinario successo, affondando le sue radici nelle paure umane, in particolare nella paura del diverso e dell’imprevedibile. È a questo romanzo che molte persone hanno pensato ricevendo la notizia che alcune funzioni neuronali del cervello di un maiale sono state ripristinate a distanza di ore dal decesso. Tuttavia, almeno per il momento, una creatura come quella del dottor Frankenstein rimane semplicemente il frutto di una straordinaria opera letteraria, e ogni opinione contraria finisce per essere un’altra narrazione atta ancora una volta a far leva sulle paure e sulla disinformazione.
Infatti, la ricerca (condotta da alcuni ricercatori della Yale University in Connecticut) ha “semplicemente” dimostrato che alcune attività cerebrali possono essere riattivate a distanza di un certo lasso di tempo dalla morte. Da qui a parlare di un moderno mostro resuscitato ce ne passa.
Lo scopo primario della ricerca era quello di indagare sulla capacità di recupero dei danni cerebrali. Infatti, il cervello (così come gli altri organi) è destinato, a seguito del decesso, ad andare incontro a una serie di ingenti danni dovuti in particolar modo alla mancata circolazione sanguigna e, dunque, al mancato apporto del necessario ossigeno. Un po’ come, per intenderci, se si smettesse di annaffiare la pianta di gerani sul balcone e se questa non potesse essere raggiunta da nessun’altra fonte di acqua. La pianta inizierebbe lentamente (neanche troppo, basti pensare a quando ci si dimentica di annaffiare le piante della vicina quando questa è in vacanza) a seccarsi fino a consumare se stessa. I ricercatori, per contrastare il “seccarsi” dei cervelli, hanno iniettato a quattro ore di distanza dal decesso una soluzione, battezzata BrainEx, contenente diverse sostanze chimiche. Tale soluzione ha funzionato in sostituzione del sangue (dell’acqua nel caso della metafora del geranio) per sei ore, ovvero per tutta la durata dell’esperimento. Durante queste ore alcuni neuroni ed altre cellule cerebrali hanno ricominciato la loro normale funzione metabolica e il sistema immunitario del cervello ha ripreso a funzionare correttamente. Tali risultati dimostrano, secondo i ricercatori, che la capacità di ripristino cellulare del cervello è di molto superiore a quanto sino ad oggi ritenuto. Per quanto riguarda la riattivazione delle funzioni cerebrali superiori (quelle che potrebbero farci urlare: la creatura è fra noi!) i ricercatori hanno sostenuto che, in tal caso, si renderebbe necessaria una scarica elettrica (forse simile a quelle utilizzate dal dottor Frankenstein) oppure preservare il cervello nella soluzione per un periodo molto più lungo delle sei ore, allo scopo di recuperare ogni danno dovuto alla carenza di ossigeno.
Certamente la ricerca apre numerosi dibattiti etici. C’è chi non ha esitato a richiedere a gran voce una nuova legislazione che tenga conto della tutela degli animali anche allorquando questi siano ormai morti. Ovviamente non si può che concordare con tale richiesta quando, seppur nessuna creatura sia ancora stata vivificata, la letteratura fantastica e la scienza arrivano a sfiorarsi così da vicino. Come sempre accade per le leggi che trattano tali casistiche, certamente evolveranno con il progredire degli sviluppi in materia. Non ci resta che guardare, auspicabilmente senza allarmismi inutili, agli sviluppi di questa ricerca che potrebbero condurre ad interessantissime innovazioni.
Articolo Di Ettore Calzati Fiorenza
Romano e orgoglioso cittadino d’Europa. Ossessionato dalla comunicazione, sostenitore della scienza e dell’importanza del dubbio perché, in fondo, quasi nulla di cui ci crediamo certi è effettivamente tale. Tra i miei interessi principali rientrano anche la letteratura, le arti figurative e la musica. “Le parole sono tutto quello che abbiamo” e per questo faccio del mio meglio per mantenere quelle date, usque ad finem.
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