Il mondo delle vedove

Il 23 giugno è la Giornata Internazionale delle Vedove, istituita nel 2010 dall’Assemblea Generale dell’Onu per portare all’attenzione del mondo una delle più gravi violazioni dei diritti umani, di cui poco si parla e poco si sa. Ignorate dai media, dai governi, dalle organizzazioni sociali, oltre 250 milioni di donne sono condannate all’indigenza.

Essere vedove in molti Paesi significa perdere diritti, subire violenze, diventare invisibili, fare la fame. Ove la condizione femminile è oggetto di fortissime discriminazioni, ove lo stato di ogni donna è subordinato a quello dell’uomo di riferimento, la morte del marito corrisponde a una condanna sociale che trascina nella miseria la sua stessa discendenza.

Nel subcontinente indiano la situazione è particolarmente grave.

Per secoli in India le donne si sono immolate, volontariamente o con l’uso della forza, sulla pira funeraria del marito, in un atto di devozione estrema, o forse per sottrarsi a un destino da emarginate. La tradizione del ‘sati’, dal nome di una delle mogli di Shiva, è stata messa fuorilegge nel 1829. ma la sua ombra si trascina fino ai nostri giorni. Nelle zone rurali e più legate alla tradizione, risposarsi non è tutt’oggi contemplato, neanche per le vedove più giovani, molte delle quali spose bambine. La loro vita sarà dedicata alla memoria del marito defunto. Di Sati, chiamato anche suttee, esistono altre forme tra cui essere sepolte vive con il cadavere del marito e l’annegamento: resta comunque un atto di devozione coniugale e pietà senza pari, un atto per eliminare tutti i suoi peccati, la sua liberazione dal ciclo di nascita e rinascita a garantire la salvezza per il marito morto e per sette generazioni che la seguono. Poiché i suoi sostenitori hanno da sempre lodato il comportamento di queste donne rette di qualsiasi livello sociale, non lo si è mai ritenuto un suicidio, altrimenti sarebbe stato vietato o scoraggiato dalle scritture indù. E non c’è da stupirsi che, vivendo in una società e cultura in cui si presta così poca attenzione alle donne come individui, le stesse donne abbiano ritenuto che questo fosse l’unico modo di comportarsi per una buona moglie. L’alternativa, in ogni caso, non era attraente. Dopo la morte del marito la vedova hindi si aspettava di vivere una vita apparente, rinunciando a tutte le attività sociali: rasatura della testa, mangiare solo riso bollito e dormire su sottili stuoie grossolane. Per molte, la morte potrebbe essere stata preferibile: diseredate, sfrattate da casa, espropriate delle terre e dei beni, le vedove sono spesso accusate dalla famiglia acquisita e dalla comunità di essere responsabili della perdita e, ritenute portatrici di sfortuna, si ritrovano emarginate persino dalla famiglia di origine. A seguito dello sfratto, che costituisce una forma di negazione del diritto alla famiglia, perdono sovente anche la custodia della prole.

Il problema non è circoscritto all’India, ma in tutta l’Asia meridionale, nell’Africa subsahariana e nel Medio Oriente, anche se meno estrema, la vedovanza è considerata una maledizione!  

Le tradizionali pratiche di vedovanza in alcuni Paesi africani prevedono atroci riti di purificazione: le donne sono costrette a farsi radere la testa, a denudarsi, a ricevere secchiate d’acqua bollente e gelata, a subire ripetute violenze sessuali da parte di stregoni addetti al rito, a bere l’acqua utilizzata per lavare il cadavere del marito, contribuendo in questo modo alla diffusione di epidemie. A conclusione della pulizia, che intende liberare le vedova dallo spirito malvagio lasciatole dal marito, la donna passa in eredità a un fratello o a un parente del defunto.

Formalmente molti governi hanno vietato questi rituali, ma la consuetudine, foraggiata dall’ignoranza e dalla superstizione, continua a sopravvivere.

La pratica del matrimonio di bambine con uomini adulti e anziani sottopone le ragazze a un alto rischio di vedovanza e tale rischio, a sua volta, incoraggia ulteriormente le famiglie a investire sui figli maschi e a “liberarsi” delle bambine dandole prima possibile in spose.

Seppure in misura diversa e in forme molto differenti, la discriminazione è presente anche nei Paesi occidentali: pensioni delle donne inferiori fino al 40%, drastica contrazione del reddito familiare, perdita dell’assicurazione sanitaria legata al coniuge. Quest’ultimo fenomeno, molto diffuso negli Stati Uniti, determina per esempio l’assenza di cure mediche.

Si dice “Paese che vai, usanze che trovi” ma quando si tratta di donne si trova sempre il modo di sottoporle a violenze e discriminazioni.

Articolo di Virginia Mariani

RdlX96rmDocente di Lettere, unisce all’interesse per la sperimentazione educativo-didattica l’impegno per i temi della pace, della giustizia e dell’ambiente, collaborando con l’associazionismo e le amministrazioni locali. Scrive sul settimanale “Riforma”; è autrice delle considerazioni a latere “Il nostro libero stato d’incoscienza” nel testo Fanino Fanini. Martire della Fede nell’Italia del Cinquecento di Emanuele Casalino.

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