La falsità degli stereotipi

Qualche giorno fa al termine della presentazione del libro Che forza la danza!1 di cui sono coautrice, una bambina di 10 anni mi ha detto: “Mi è piaciuto che hai spiegato cos’è uno stereotipo perché mi ha fatto capire cosa sono gli stereotipi. Io penso che non esistono cose da femmine e cose da maschi”. È stata una bella soddisfazione.
Quando vado nelle scuole a incontrare le/i giovani per parlare di prevenzione della violenza e di contrasto agli stereotipi di genere una delle prime cose che tengo a dire è che le scelte di vita, gioco, studio, sport e l’attitudine alla violenza non sono geneticamente determinate ma sono il frutto dell’educazione e del contesto sociale e culturale in cui si viene cresciuti e cresciute, fornendo degli esempi che possano rendere chiaro quello che intendo dire; esempi indispensabili per spiegare come siano insulsi gli stereotipi. A loro volta poi queste “non scelte” hanno conseguenze importanti sulla vita futura.
Uno degli stereotipi che più incide sull’immaginario dei/delle più giovani è quello che viene molto spesso tramesso dai libri di scuola dove frequentemente vengono rappresentate scene di vita familiare in cui il papà o il nonno legge un giornale o un libro mentre la mamma fa i servizi di casa o la nonna sforna torte. Sembrerebbe dunque che gli uomini trascorrano molto più tempo a leggere eppure ci basta prendere una qualsiasi analisi di statistiche sulla lettura per leggere, ad esempio: “Il divario è netto e si conferma che oggi la lettura è donna: legge più di dieci libri in un anno il trentacinque per cento delle intervistate contro il diciannove per cento degli uomini ascoltati per l’indagine. Non è una novità ma una felice tradizione della modernità, cominciata fin dai primi passi tardo settecenteschi e ottocenteschi dell’emancipazione femminile.”2 (Da Il sole 24 Ore in commento ad un’indagine del 2017). E l’articolo continua così: “In passato la passione delle donne per i libri – romanzi soprattutto – era collegata, nella opinione pubblica misogina che sapeva trasformare ogni qualità femminile in vizio, alla loro inattività sociale. Ma per le cittadine multitasking di oggi il tempo è il bene più prezioso, eppure sono le indaffaratissime dei nostri giorni che sostengono il livello della lettura in Italia.
Facciamo un altro esempio: la guida. È uno stereotipo comunemente diffuso che le donne non guidino bene. Uno dei tanti proverbi misogini recita: Donne al volante pericolo costante, eppure leggiamo su Repubblica3 dell’8 marzo 2018 che “solo un quarto degli incidenti stradali è causato da donne, mentre i tre quarti sono causati da maschi. Per la precisione parliamo di quegli incidenti imputabili a colpe dei conducenti: il 26,6% è causato da donne, mentre il 73,4% da uomini.” (Indagine del Centro Studi Continental).
Ancora, le ragazze sarebbero meno brave nelle materie scientifiche. Decostruire questo stereotipo è ancora più semplice, basta informare che ragazze e ragazzi, in base ai risultati OCSE PISA, sono ugualmente bravi in lettere e in materie del gruppo STEM laddove il gender gap è uguale a zero o bassissimo. In Islanda, ad esempio, dove il gender gap è stato azzerato, non esistono differenze nelle competenze tra maschi e femmine correlate al maggior o minor successo in alcune materie. Se l’educazione non è stereotipata, se non agisce la “minaccia dello stereotipo”4, se fin dall’infanzia bambini e bambine sono abituate a coltivare ogni tipo di abilità giocando tutte e tutti negli stessi modi, sia in giochi e attività che coltivano abilità nell’esprimersi come mamma e figlia o la lettura che in giochi che coltivano abilità spaziali e logiche come il calcio o i puzzle o le costruzioni, le abilità che si acquisiscono dipenderanno non dal sesso di appartenenza ma semplicemente dalle attitudini, interessi, passioni individuali.
E la frase: “Sei un maschietto, i maschietti non piangono?” Beh, anche gli uomini hanno i dotti lacrimali o canali lacrimali che permettono lo scorrimento delle lacrime! Se gli uomini piangono meno non è perché non possono tecnicamente farlo ma perché fin da quando erano bambini sono stati allenati a manifestare le emozioni negative in modo diverso, soprattutto attraverso la rabbia (accettata nei maschietti ma non nelle femminucce). Non stupiamoci poi se quando una donna viene lasciata si sfoga con un pianto liberatorio mentre un uomo, quando viene lasciato, usa quella rabbia che ha sempre imparato ad utilizzare per elaborare dispiaceri, frustrazioni, dolori e che è ahimè sempre stata “accettata” più del pianto. Molto meglio saper piangere e coltivare la capacità di farlo, per loro stessi e per le donne con cui entreranno in relazione.

Articolo di Donatella Caione

donatella_fotoprofiloEditrice, ama dare visibilità alle bambine, educare alle emozioni e all’identità; far conoscere la storia delle donne del passato e/o di culture diverse; contrastare gli stereotipi di genere e abituare all’uso del linguaggio sessuato. Svolge laboratori di educazione alla lettura nelle scuole, librerie, biblioteche. Si occupa inoltre di tematiche legate alla salute delle donne e alla prevenzione della violenza di genere.

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