Dalla Grande Guerra l’Italia è uscita in ginocchio ma formalmente vincitrice. Come previsto dal Patto di Londra, il Trentino, il Friuli, la Venezia-Giulia e l’Istria sono diventate italiane, insieme al Sud Tirolo che non era previsto. Trento e Trieste sono abitate prevalentemente da persone di lingua e cultura italiana, il Sud Tirolo no. La città di Fiume è stata dichiarata zona internazionale, ma il movimento irredentista italiano, quello stesso che nel 1915 premeva per entrare in guerra contro l’Austria, rivendica anche la Dalmazia e Fiume. Inizia così a circolare il mito della «vittoria mutilata», ovvero la convinzione che l’Italia nei Trattati di Parigi abbia avuto meno di quanto le spettasse: in realtà si tratta di un falso ideologico, dal momento che Fiume non era mai stata promessa all’Italia. Nel 1919 un gruppo di nazionalisti irredentisti guidati da Gabriele D’Annunzio occupa la città di Fiume e l’intera Dalmazia. Con il trattato di Rapallo del 1920, Fiume è dichiarata Stato libero, ma Zara e alcune isole dalmate vengono assegnate all’Italia. Eppure, nonostante quanto ottenuto, la falsa voce di un tradimento internazionale ai danni dell’Italia rafforza il nazionalismo diffuso.

Carta di Laura Canali. Limes, 29.06.2018
Un altro grosso problema è dato dai reduci, ovvero i combattenti che tornano dal fronte fisicamente e psicologicamente distrutti. Durante il conflitto gli ex operai e contadini erano in trincea a morire di fame, di freddo, di malattie e di colpi di armi. I posti di lavoro sono stati occupati da donne, anziani e giovanissimi. Quando gli uomini – quelli sopravvissuti – rientrano dal fronte, trovano che i loro impieghi precedenti sono occupati, e del resto le donne, una volta entrate nel mondo del lavoro, non hanno intenzione di rinchiudersi in casa e vogliono conservare lo spazio sociale che ormai spetta loro.
I danni della guerra e le risorse consumate non permettono aiuti statali. Anche questo contribuisce al senso di tradimento di chi ha combattuto e ora si vede negare il riconoscimento del proprio impegno.
Delusione e nazionalismo costituiscono il contesto sociale in cui si sviluppano la cultura e la propaganda fascista.
In copertina: Stabilimento militare di Villa Contri, Bologna. L’uscita del personale femminile dal lavoro. Fotografia, 1915-1918. Museo Civico del Risorgimento di Bologna
Articolo di Andrea Zennaro
Andrea Zennaro, laureato in Filosofia politica e appassionato di Storia, è attualmente fotografo e artista di strada. Scrive per passione e pubblica con frequenza su testate giornalistiche online legate al mondo femminista e anticapitalista.
L’analisi del terreno di cultura del fascismo è fondamentale, per capire il momento storico che stiamo attraversando. Oggi non usciamo da una guerra, ma scontiamo le conseguenze di una gravissima crisi economica, la peggiore dalla fine del secondo conflitto mondiale. E anche oggi rabbia e delusione sono sentimenti diffusi in vasti strati di popolazione. Negli anni ’20 del ‘900 questi sentimenti fecero sentire nel giusto le persone che sostennero e appoggiarono il fascismo nascente. Oggi, dopo un secolo, sembra che la storia si ripeta, in altre forme.
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