I fiori hanno un loro linguaggio, è risaputo, che varia secondo i luoghi e la cultura; il crisantemo in Italia rimanda alle ricorrenze dei defunti, in Giappone è usato in ogni circostanza lieta; la rosa rossa vuol dire passione, la mimosa ricorda le donne e l’8 marzo. Ma ci sono fiori che dovrebbero mettere tutti/e d’accordo: i fiori stilizzati che accompagnano 3.126 parole da salvare sulla nuova edizione 2020 del vocabolario Zingarelli edito da Zanichelli.
Proprio come le specie vegetali e animali, anche le parole hanno una loro nascita, una loro storia, una durata, ma anche il rischio di estinguersi, se non si usano spesso e in modo consapevole. Da persona toscana, faccio subito un esempio concreto: l’aggettivo dimostrativo codesto per noi, qui, è ancora abituale. La maestra ci insegnava che: questo è vicino a chi parla, quello è lontano, codesto è vicino a chi ascolta. Il tutto ha una sua perfetta logica e utilità. Eppure, fuori dalla Toscana ti guardano stupiti, come se citassi un verso della Divina commedia o un termine davvero desueto (ella, giammai, conciossiacosaché). Ci sono poi quelle parole che credi vernacolari e non lo sono: molto efficace è il verbo incignare, che vuol dire indossare per la prima volta un abito oppure iniziare un salume o una forma di formaggio. Altre parole, invece, danno l’idea di essere letterarie, mentre sono vive e in uso, come lungimirante; anche questo aggettivo mi piace perché rende bene l’idea di ciò che dovremmo essere tutti/e noi, in ogni circostanza.
Non parliamo poi di forestierismi e neologismi (ricorderete la storia di petaloso, dalla vita brevissima); d’altra parte le lingue sono come organismi in continua evoluzione, che si trasformano secondo le nuove esigenze culturali e sociali, secondo la scienza e la tecnologia, secondo le scoperte e i mutamenti. Ne abbiamo parlato tante volte a proposito della lingua di genere; non si diceva prefetta perché nessuna donna aveva questa mansione, come ingegnera, avvocata, carabiniera o ministra. Nel momento in cui nasce una professione o si avverte un bisogno, la lingua – con la sua flessibilità (e quella italiana lo è molto più di altre) – crea parole o le adatta nel genere (m/f).
Ma le parole che rischiano di scomparire? La bella idea della casa editrice Zanichelli è stata quella di andare in giro per le piazze d’Italia, con appositi stand chiamati “#areaZ”, per sollecitare l’interesse e la curiosità di chi passa e si sofferma a riflettere; basta un clic per “adottare” una parola particolarmente cara, ma si possono usare anche tradizionali cartoline. Il tour è iniziato in settembre da Milano e raggiungerà Torino, Bologna, Firenze, Bari, Palermo; intanto un noto marchio di abbigliamento giovanile ha fatto propria questa pacifica battaglia e ha creato la sua recente collezione di moda basandosi su cinque aggettivi: impavido, impetuoso, illogico, vivido, radioso, che rispondono ai propri principi creativi e alle caratteristiche della propria clientela.
E voi cosa volete salvare? Alchimia, soqquadro, marachella, laconico, esimio, nababbo, giocondo, quatto (avete presente un gatto quando si vuole avvicinare ad un uccellino? Si muove quatto quatto…. Come potremmo farne a meno?). Avete ampia scelta fra altri 3.000 e più vocaboli: nomi, verbi, aggettivi.
Il grande linguista Tullio de Mauro, con una specifica ricerca, aveva verificato che gli/le studenti italiani/e dal 1976 al 1996 avevano perso mille parole; il loro dizionario da circa 1600 vocaboli, si era ridotto a 600. Eppure sappiamo bene che le parole non sono solo elementi della lingua, ma significano cultura, prestigio sociale, potere, persino ricchezza materiale: Dario Fo scrisse un testo teatrale dal titolo significativo: L’operaio conosce 300 parole, il padrone 1000, per questo è lui il padrone (1969). Per ogni parola che muore, siamo dunque un po’ più poveri/e, come quando un bel fiore scompare o una specie animale si estingue.
Articolo di Laura Candiani
Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume e Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.