Ho tra le mani il testo di Le mille e una notte riproposto da Nadia Terranova, che si è occupata di rivisitarne le fiabe, e da Christopher Corr, che ne ha curato le illustrazioni: è un libro per l’infanzia, ma la storia ha colpito anche me, ora, adulta.
È uno scrigno di racconti: lo apri e all’interno ne trovi diversi, con trame, personaggi, luoghi, intrighi. E poi c’è la vera protagonista Shahrazad, quasi una Penelope che tesse ogni notte la sua tela per intrattenere il re ed evitare che la uccida prima del sorgere del nuovo giorno.
Il ruolo della fanciulla, come è noto, è quello di salvare, oltre che sé stessa, le future mogli, probabili vittime della furia omicida del re che, secondo il racconto, distrutto dal tradimento della sua prima moglie, dopo averla assassinata perché sorpresa con l’amante, decide di sposare ogni giorno una giovane diversa e ucciderla prima dell’alba.
Ma accade, a un certo punto, come in ogni fiaba che si rispetti, qualcosa di imprevisto: l’arrivo di Shahrazad, una donna che osa narrare, che sa descrivere mondi lontani, personaggi fantastici e costruire trame originali e soprattutto avvincenti, così da tenere il sovrano, auditore notturno dei racconti, lontano dalla furia omicida.
Ed ecco che Shahrazad, evitando di arrivare alla conclusione delle sue storie personifica l’imprevisto, ciò che il re non poteva prevedere. L’impensato irrompe nella storia personale del sovrano e ne arresta il corso; è il racconto che il re non si aspetta, che lo avvince al punto di sollecitarne sempre nuovi, pur di “ascoltare” ancora una volta, per mille e una notte, rapito dalla creatività della fanciulla. Il sovrano è l’icona del maschile sorpreso e attratto dall’”impensabile”, dalla genialità, dalla fantasia, dalla narrazione femminile, di cui. alla fine, non riesce a fare a meno.
In quell’intelletto, in quelle storie raccontate, non solo Shahrazad trova la sua salvezza, ma la trova anche il sovrano, riconciliato con il femminile e con sé stesso, al punto da spegnere la furia omicida.
La protagonista non è l’eroe maschio che in groppa al suo cavallo bianco combatte il drago e salva la principessa rinchiusa nella torre del castello, ma una giovane donna che con la forza del logos, con la narrazione e, quindi, con la strategia intelligente della perspicacia, vince e sconfigge il carnefice. Un ribaltamento di ruoli, dunque, non solo all’interno della storia, per cui il sovrano finisce per essere supplichevole con lei e ricevere, così, un altro racconto, ma un ribaltamento dell’immaginario collettivo che si insinua nella letteratura per l’infanzia minando prepotentemente i ruoli stereotipati.
Le mille e una notte vanno lette in una prospettiva d’insieme e colte nella loro fondamentale importanza per l’eredità culturale che possono tramandare attraverso un’interpretazione e una lettura “differente”. Esse tracciano un simbolico molto forte: la parola femminile, prima inattesa e inascoltata, diventa invece possibile e cercata, potente perché salvifica, fino a divenire necessità.
Si avverte la trasformazione, un climax ascendente, in un carico e in un crescendo di suspense per il racconto successivo, da una parte, e per l’aspettativa del lieto fine, dall’altra.
Shahrazad si assume il rischio e la responsabilità della sua parola. Il rischio che possa sortire l’effetto sperato di salvarle la vita, oppure no, e la responsabilità che possa interrompere quel ciclo femminicida e sottrarre alla violenza del sovrano le altre donne.
Un logos, quindi, in grado di produrre uno spostamento di senso, carico di autorità come, spesso accade per il pensiero femminile quando si fa parola. Potente al punto da sfidare e scalfire l’impreparata visione maschile fino a restituirle la sua precarietà e parzialità; forte fino a minare nel profondo le sue certezze e il suo pensarsi come unico “racconto” possibile sull’umano.
Shahrazad si serve del suo saper raccontare, del suo saper dire e impastare sapientemente trame e narrazioni, e nel farlo costruisce un’altra Storia: a un certo punto la sua parola ha sortito l’effetto, è arrivata al sovrano che ne ha colto l’indispensabilità e, alla fine, dopo tante notti, quando lei decide di concludere, è lui a chiederle «raccontami un’altra storia…».
Articolo di Gemma Pacella
Nata a Foggia e laureata in Giurisprudenza con una tesi dal titolo “Il linguaggio giuridico sessuato: per la decostruzione di un diritto sessista”. Attualmente svolgo un dottorato di ricerca in Management and Law. Studio il femminismo che nel tempo e nello spazio attraversa la nostra civiltà.