«Un leone è più forte di un uomo, ma non è in grado di dominare la razza umana». (Sultana’s Dream, 1905)
Begum Rokeya Sakhawat Hossain, conosciuta come Begum Rokeya, è una scrittrice bengalese, femminista, attivista e avvocata per la difesa dei diritti delle donne. Nata a Rangpur, in Bangladesh, il 9 dicembre 1880, e deceduta 52 anni dopo a Kolkata, nel Bengala occidentale indiano – che in quegli anni era ancora parte di un unico territorio comprendente l’India e i futuri Bangladesh e Pakistan – lo stesso giorno della sua nascita. La sua figura e il suo attivismo sono ancora oggi di grande ispirazione per tutte quelle donne che in Bangladesh, ma anche all’estero (le probashi) sentono che ci sia ancora molto da fare per la tutela dei loro diritti.
Proprio in suo ricordo, il 9 dicembre, in Bangladesh, si commemora la morte di Begum Rokeya con la celebrazione del “Rokeya Day”, giorno in cui vengono fatti diversi festeggiamenti in tutto il Paese e il Governo bangladese conferisce un omaggio a tutte quelle donne che hanno dato un contributo nella lotta per la difesa e il riconoscimento dei diritti femminili, proprio come fece la famosa scrittrice. Un evento importante per le bangladesi che, celate da un’ombra patriarcale, ancora oggi hanno poca possibilità di espressione e libertà. Invece è necessario ricordare ogni giorno il loro importante contributo al fianco della Resistenza nella lotta per l’Indipendenza del Bangladesh, già dalla Partizione del Subcontinente Indiano del 1947 e poi dalla Guerra d’indipendenza del Bangladesh del 1971.
Begum Rokeya, nel 1916, fondò la prima scuola per ragazze in Kolkata e un’associazione di musulmane (Muslim Women’s Association) che potesse garantire a tutte le donne un’istruzione adeguata e anche un impiego congruo in base alle loro potenzialità e competenze. Nelle sue opere denunciava apertamente i privilegi di cui godevano gli uomini, manager e business man, a discapito delle donne ostacolate e discriminate da leggi ingiuste e maschiliste. È per questa ragione che incitava le giovani a studiare, perché solo l’istruzione avrebbe potuto dare loro maggiori opportunità di riscatto.
«Si definiscono musulmani e tuttavia vanno contro lo stesso principio base dell’islam che riconosce uguale diritto all’istruzione a tutti. Se gli uomini non vengono deviati una volta istruiti, perché le donne allora dovrebbero?».
È con queste parole che Begum Rokeya ribatté, nel corso della Women’s Education Conference nel Bengala del 1926, quando l’istruzione delle donne venne definita come deviante rispetto al rigore che avrebbe dovuto scandire la vita delle “brave donne di casa”.
Begum ha lottato fino alla fine per gli ideali in cui credeva fermamente, nonostante le difficoltà e i molteplici ostacoli che si ponevano al suo attivismo.
È considerata una delle prime scrittrici femministe, perché attraverso i suoi lavori denunciava le forme di ingiustizia, sensibilizzava le donne allo studio e a fare un passo in avanti rispetto alla propria condizione. Infatti, in quel periodo la società islamica non prevedeva che le donne studiassero, ma che rimanessero a casa per la cura domestica e dei fratelli/sorelle minori, studiando il minimo indispensabile in lingua urdu e araba per leggere i testi sacri.
La sua opera più importante è Sultana’s Dream, considerato una pietra miliare per la letteratura femminista. Il sogno di sultana è un romanzo utopico di una terra di donne, nella quale ormai gli uomini hanno perso la loro possibilità a causa della loro arroganza e incapacità. Un mondo al contrario che dona alle donne autorevolezza e possibilità di espressione e comando. Un’utopia che, sebbene esprima un desiderio, al contempo è un atto di grande denuncia sociale. Rokeya attacca fortemente, poi, il velo islamico, che considera indumento di oppressione e segregazione femminile, tematica ripresa anche in The secluded ones, identificando nel purdah (lett. cortina, tenda, quindi velo) l’esempio più chiaro di come l’uomo voglia recludere i diritti delle donne, causandone una loro morte identitaria.
«Sono costretta a dirti che non hai fatto la scelta giusta. Sono stata rinchiusa nell’oppressiva scatola di ferro del purdah per tutta la mia vita. Non sono stata in grado di “mischiarmi” per bene con le persone – infatti, ancora non so che cosa ci si aspetta da una presidentessa. Non so se qualcuno si aspetta che rida o pianga». (Women’s Education Conference)
La maggior parte delle sue opere letterarie sono state scritte nella lingua madre, il bengali, affinché potesse trasmettere al meglio il suo sentimento di denuncia ed arrivare direttamente nel cuore di tutte le donne bengalesi. Scelse, invece, di scrivere Sultana’s Dream in inglese, come se questa “terra di donne” si trovasse necessariamente al di fuori di quella cultura, come se fosse inevitabilmente in Occidente.
Dopo la sua morte, il Governo del Bangladesh ha istituito a Rangpur la prima università pubblica denominata in suo onore la Begum Rokeya University.
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Articolo di Katiuscia Carnà

Docente in Ricerca Educativa e Sociale, si occupa di educazione religiosa delle nuove generazioni di musulmani nella città di Roma. Laureata in Lingue e Civiltà Orientali, nel 2008 ha vinto una borsa di studio per la Jadavpur University in Kolkata (India). Ha conseguito Master Internazionali in “Sociologia, teoria, ricerca e metodologia”, e in “Religioni e mediazione culturale”. È co-autrice di Kotha. Donne bangladesi nella Roma che cambia e di Roma. Guida alla riscoperta del Sacro.