Nelle Chiese Cristiane Evangeliche Battiste la sua storia è stata così significativa da istituire in sua memoria una raccolta speciale di fondi durante il periodo natalizio chiamata “Offerta d’amore”.
Di ceto aristocratico, era un’insegnante in Georgia, ma a un certo punto della sua vita dà le dimissioni per diventare missionaria nelle zone più ‘calde’ della Cina. Lottie Moon nasce il 12 dicembre 1840 a Viewmont, nella Contea di Albemarle, quarta dei sette figli di Edward Harris Moon e Anna Maria Barclay che possiedono una grande piantagione con ben cinquantadue schiavi; da bambina, quindi, gode di tutti i vantaggi della nobiltà di campagna della Virginia dell’anteguerra e di tutori di francese, di letteratura inglese e di musica, vivendo con genitori molto religiosi che in qualche modo la obbligano a frequentare scuola domenicale e culti. Il padre, dopo una grave malattia, muore in un incidente sulla strada per New Orleans quando lei ha tredici anni; l’anno dopo inizia a studiare presso il collegio Female Seminary di Botetourt Springs.
Una notte l’abbaiare di un cane mentre cerca di dormire la costringe a riflettere sul cristianesimo e nel nuovo Istituto che frequenta, dopo il suo battesimo avvenuto il 22 dicembre del 1858, Lottie assume la leadership delle studenti cristiane.
Quattro anni dopo il suo ingresso ad Albemarle, Charlotte Diggs Moon, questo è il suo nome per esteso, è insignita del Master delle Arti: è la prima donna a conseguire questo titolo. Lottie è ormai un’eccellente linguista: oltre che in francese, latino, italiano e spagnolo ha raggiunto ottimi risultati in greco ed ebraico e diviene insegnante a Cartesville, in Georgia, ma dopo appena dieci anni sente la chiamata “forte come una campana”.
Lottie aveva proposto di andare in missione con sua sorella Edmonia all’inizio del 1870 poiché con lei facevano già da tempo numerose donazioni all’opera missionaria per la Cina e per l’Italia. Finalmente il sogno di diventare missionaria in Cina si avvera prima per sua sorella e poi l’anno successivo, il 1873, anche per lei: il 7 ottobre, dopo un viaggio sul mare in tempesta durante il quale persino il personale di bordo disperava per la propria vita, arriva finalmente a Shanghai, e tre settimane più tardi, dopo un altro viaggio in mare con un tifone, si sistema a Tengchow (ora Qingdao) che sarebbe stata la sua casa per i successivi trentanove anni. Il cristianesimo era riuscito a prendere piede nella città vecchia, particolarmente in mezzo ai poveri, ma dai più le missionarie venivano chiamate “demoni stranieri” o “donne diavolo” e, probabilmente per le difficoltà e per lo shock culturale, Edmonia ritorna in America accompagnata dalla sorella. Lottie, al ritorno, comincia a sviluppare una sua strategia missionaria e apre una scuola a Tengchow nella quale la Bibbia e il catechismo, che la sua amica missionaria Martha E. Crawford aveva sviluppato per la propria scuola, erano il cuore di tutto il programma: alcuni dei suoi studenti cominciano presto a citare a memoria l’intero Vangelo di Marco o di Matteo. Trova molte difficoltà nel convincere i genitori a non fasciare i piedi delle loro figlie, ma grazie alle sue insistenze col tempo riesce a riportare buoni risultati anche in questo. La carestia, comunque, che ricorre con una frequenza devastante, è una continua frustrazione per tutti i suoi sforzi.
Scrive della terribile piaga del popolo cinese affamato sia al Comitato delle Missioni sia al “Religious Herald”, pubblicato a Richmond. Molti soldi cominciano ad arrivare ma non sono mai abbastanza e dà cibo agli affamati che sostano alla sua porta spesso a proprie spese; per anni si prende cura in ogni senso di almeno quindici donne che ospita nella sua casa.
Nel mezzo della guerra tra Cina e Giappone del 1895, Lottie, insieme con un giovane missionario, fa alcune escursioni evangelizzatrici in centodiciotto villaggi, ma prima inizia la sua missione a P’ingtu (ora Pingdu) a circa 120 miglia da Tengchow e, nonostante le persecuzioni, la chiesa di P’ingtu diviene la più forte della Missione Battista della Cina del Nord.
La ribellione dei Boxer era stata parzialmente placata quando la più terribile carestia dell’ultimo periodo colpisce la provincia di Shantung. La fame devasta il paese e Lottie continua a sfamare migliaia di persone nella sua casa e quando sente dire che la carestia ha raggiunto P’ingtu rifiuta persino di cibare sé stessa. La situazione sembra senza speranza: la Missione si rende conto che le risorse fisiche e finanziarie di Lottie Moon sono ormai esaurite e i suoi amici e compagni missionari credono che la sua unica speranza sia quella di ritornare negli Stati Uniti. Lottie Moon comincia il suo lungo viaggio verso casa per poi morire la sera della vigilia di Natale, nel 1912, a bordo di una nave nella baia di Kobe nel Giappone. L’infermiera che si prende cura di lei la vede alzare il suo fragile corpo e muovere le mani in un cenno di saluto di stile cinese e poi abbassare il suo capo per l’ultima volta. «Se avessi avuto mille vite, le avrei date tutte per le donne in Cina» pare siano state le sue ultime parole.
Articolo di Virginia Mariani
Docente di Lettere, unisce all’interesse per la sperimentazione educativo-didattica l’impegno per i temi della pace, della giustizia e dell’ambiente, collaborando con l’associazionismo e le amministrazioni locali. Scrive sul settimanale “Riforma”; è autrice delle considerazioni a latere “Il nostro libero stato d’incoscienza” nel testo Fanino Fanini. Martire della Fede nell’Italia del Cinquecento di Emanuele Casalino.