Nel film di animazione L’era glaciale 4 – Continenti alla deriva responsabile di tutto è Scrat, scoiattolo preistorico con i denti a sciabola, che – alle prese con la sua ghianda – innesca la separazione tra i continenti nel tentativo di nasconderla sottoterra.
Questo diverte molto gli/le studenti ma non li meraviglia quanto lo scoprire a occhio nudo osservando il planisfero che, per esempio, i confini orientali dell’America del sud si incastrano a mo’ di puzzle con quelli dell’Africa occidentale. A notare la curiosa coincidenza come forma di divertimento del Dio creatore è l’inglese Francesco Bacone già nel 1620, seguito dal francese Francois Placet nel 1668, ma che i continenti si siano allontanati l’uno dall’altro rimane allo stato di intuizione fino ai primi del 1800 quando l’esploratore tedesco Alexander von Humboldt nota anche una forte somiglianza fra i rispettivi strati geologici e ipotizza che l’Atlantico non sia altro che un’immensa valle scavata dal mare. Notevole anche l’ipotesi dell’abate italo-americano Antonio Snider-Pellegrini per il quale anticamente il nostro pianeta era allo stato fuso e con il raffreddamento i continenti si erano addensati tutti da una parte: il Diluvio Universale smembrò questo unico blocco di terra determinando lo spostamento successivo dei suoi frammenti. Ma le scienze ora hanno già preso un’altra strada, quella evoluzionistica, e non accettano più i catastrofismi biblici.
Osservazione, viaggi, ipotesi, teorie si susseguono frenetiche e portano all’affermazione dell’australiano Georges Lyell, avvocato appassionato di geologia che studia da vicino anche l’Etna, che «i fenomeni del passato si possono spiegare osservando quelli del presente». Il merito di formulare una teoria dettagliata sarà, però, del meteorologo tedesco, quinto e ultimo figlio del pastore protestante Richard Wegener e di Anna Schwarz, affascinato da luoghi freddi, come la Groenlandia, e da geologia e geofisica.
Alfred Lothar Wegener, infatti, laureato in astronomia e meteorologia con una tesi sulle Tavole Alfonsine, conseguita con la lode nel 1904 a ventiquattro anni, sviluppa la teoria della “deriva dei continenti” per la quale in un passato remotissimo le terre emerse erano unite in quella che chiama Pangea circondata dal grande oceano, chiamato Panthalassa: la enuncia il 6 gennaio del 1912 durante un incontro della Società Geologica al museo Senckenberg di Francoforte sul Meno.
La teoria viene rifiutata, derisa e definita da alcuni una “fiaba” ma negli anni Sessanta, però, Morgan, Mc Kenzie e Parker elaboreranno la teoria della tettonica a placche (o zolle), che riprende anche un’ipotesi formulata due anni prima da Tuzo Wilson, secondo la quale la litosfera, divisa in placche, “galleggia” e si muove sulla parte del mantello semifusa. Sempre nuove strumentazioni e prove, dunque, riporteranno in auge le ipotesi di Wegener, così come gli studi di tipo paleontologico che egli stesso aveva presentato a dimostrazione che la distribuzione geografica di molti fossili di animali e piante interessava terre oggi separate da ampi oceani; in particolare, Wegener si era soffermato su un piccolo rettile vissuto a fine Paleozoico, il Meososauro, e su una pianta, la Glossopteris, che si trova negli strati sedimentari sia del Brasile sia del Sud Africa, e poi anche sui tipi di rocce e sui ripiegamenti geomorfologici combacianti, ma pure sulla presenza di giacimenti di carbone e di altri minerali sia in Europa sia nell’America settentrionale che fa pensare a un’antica unione delle terre emerse.
Tra chi ha sostenuto Wegener c’è stato il suocero, direttore del dipartimento di ricerche meteorologiche dell’osservatorio marino di Amburgo, ma molti gli si sono sempre opposti deridendolo e morirà prima di vedere la sua teoria accolta, grazie pure all’impiego del sonar durante esplorazioni dei fondali oceanici iniziate dopo la Seconda guerra mondiale. Muore nel 1930 probabilmente per un arresto cardiaco nel corso della terza sfortunata spedizione in Groenlandia durante la quale la temperatura aveva raggiunto i 60 gradi sottozero: il suo corpo congelato fu trovato sei mesi dopo, seppellito dal compagno di viaggio Ramsus, di cui non si sono trovate più tracce forse perché caduto poi in un crepaccio, e lì dove riposa tuttora è stata posta una croce di ferro alta cinque metri.
Se i fenomeni del passato si possono spiegare osservando quelli del presente, il tutto ci porta a prevedere un futuro nel quale i movimenti delle zolle continueranno ed esseri umani più evoluti di noi (se non ci saremo autoestinti!) vivranno in uno scenario completamente differente da quello attuale e molto simile a una nuova Pangea. A dire la verità, il pensiero mi raggela un po’ il sangue nelle vene!
Articolo di Virginia Mariani
Docente di Lettere, unisce all’interesse per la sperimentazione educativo-didattica l’impegno per i temi della pace, della giustizia e dell’ambiente, collaborando con l’associazionismo e le amministrazioni locali. Scrive sul settimanale “Riforma”; è autrice delle considerazioni a latere “Il nostro libero stato d’incoscienza” nel testo Fanino Fanini. Martire della Fede nell’Italia del Cinquecento di Emanuele Casalino.