È venuta a mancare il 4 gennaio a Roma Lorenza Mazzetti (nata il 26 luglio 1927), una artista dai tanti interessi e dalle tante vite che mi piace ricordare per il suo gioiello più brillante: Il cielo cade, un romanzo pubblicato dopo molti rifiuti da Garzanti, poi vincitore del premio Viareggio Opera prima (1962). Nel 1993 fu ripubblicato da Sellerio ed emerse chiaramente nella dedica finale il suo carattere autobiografico, inizialmente non conosciuto visto che i personaggi hanno nomi di fantasia.
Nella sua lunga esistenza, piena di incontri e di cambiamenti, Mazzetti, dopo il liceo, visse una fase di formazione a Londra dove fondò il Free Cinema Movement con giovani registi poi divenuti famosi: Tony Richardson, Lindsay Anderson, Karel Reisz. In modo avventuroso riesce a realizzare il primo film, K, tratto dalla Metamorfosi di Kafka; con il successivo (Together) si aggiudica il premio come film di ricerca a Cannes (1956).
Rientrata in Italia per vivere con la sorella gemella Paola, inizia a scrivere per raccontare la vicenda drammatica che le vide protagoniste da bambine. Nel 2000 Antonio e Andrea Frazzi hanno tratto dal romanzo un film che vinse il premio Giffoni e il Globo d’oro (opera prima). Abbandonato il cinema, Mazzetti rimane nel mondo della scrittura con un secondo romanzo: Con rabbia (1963) e vive una nuova esistenza, frequentando il mondo intellettuale che gravita intorno alla sua casa romana. Si dedica al giornalismo, alla psicanalisi e alla pittura. Fonda il Puppet Theatre, un teatro di burattini aperto a bambine e bambini. Intanto comincia a visitare le scuole per raccontare la sua esperienza e la storia della sua famiglia, accompagnando spesso la visione del film dei Frazzi. Nel tempo ha pubblicato altri libri relativi ai nuovi interessi e su di lei è stato realizzato un documentario.
Avuta notizia della sua morte, il sindaco di Rignano sull’Arno ha voluto ricordare Lorenza Mazzetti che, con la sorella Paola, aveva avuto la cittadinanza onoraria della cittadina toscana nel 2015. Proprio là infatti avvenne la strage di cui furono vittime la zia e le cugine delle due bambine, rimaste orfane e ospitate nella bella accogliente villa di campagna nei pressi di Firenze. Il cielo cade, che ho appena riletto e mi ha suscitato profonde emozioni, è la vicenda romanzata di questa permanenza davvero felice, in un luogo magico dove le due protagoniste, Penny e Baby, vanno a scuola e frequentano i bambini e le bambine del paese vicino. Nel romanzo la storia è narrata dal punto di vista della maggiore, Penny, simpatica e affettuosa ma ribelle, costretta spesso a scrivere lunghe pagine di frasi per mostrare il suo pentimento, ma ogni volta inventa qualcosa per giocare e divertirsi, senza sensi di colpa. Si sente in colpa invece per i begli abiti, perché profuma di pulito, ha il grembiulino in ordine e viene portata a scuola dallo “chauffeur” con una macchina elegante; e poi per il suo nome così esotico, mentre gli amichetti si chiamano Zeffirino e Pierino e le bambine Lea e Pasquetta, puzzano di letame e di formaggio, si lavano ogni tanto, ma soprattutto vanno in chiesa. Loro no: la zia e le cugine Marie e Annie sono protestanti, lo zio è ebreo. Ma Penny e Baby, che amano profondamente Mussolini e vogliono portare gli zii sulla buona strada, pregano e fanno dei piccoli sacrifici sperando di arrivare alla loro conversione. Intanto gli adulti giocano a cricket o a scacchi, vanno a cavallo, suonano il piano e il violino, leggono, ricevono, conversano in inglese e tedesco. Nel libro è riuscitissimo proprio il modo di vedere le cose, ingenuo e innocente; l’abilità della scrittrice adulta di rivedersi bambina, facile agli innamoramenti per persone e cose, con la mentalità di allora, con la fiducia nel futuro, con l’amore sconfinato per lo zio un po’ burbero, con la capacità di accogliere le novità con gioia, come l’occupazione della villa da parte del comando tedesco. Sono bellissime le pagine in cui vengono descritti i giochi infantili utilizzando i tempi verbali tipici nel continuo passaggio dal presente al passato remoto all’imperfetto, come pure l’uso del toscano parlato: «Io vo a casa se no il mi babbo mi dà le botte. Si sentiva infatti il babbo di Zeffirino gridare: Zeffirinoooo! Se tu ‘un vieni subito subito, e t’accomodo io t’accomodo! Cialtrone!». Ma la vita spensierata di copre di ombre, lo zio diviene pensoso e malinconico, le famiglie amiche si allontanano, alcune si trasferiscono all’estero, persino il prete viene a dirgli di partire perché i tempi non sono sicuri per gli ebrei. Un giorno terribile lo zio si è allontanato con un uomo di nome Giuseppe, che non è il santo (come ama credere Penny) ma un partigiano, mentre arrivano degli altri tedeschi, ben diversi dai precedenti, educati e rispettosi, persino amichevoli. Questi non parlano: urlano; devastano la villa, rompono uno a uno i bicchieri e le belle stoviglie, corrono con i pattini a rotelle, distruggono i giocattoli, prendono a calci il cane. «Avevano un cappello fregiato e parevano tutti ufficiali. Hauch Hauchauchauch! dissero due soldati sollevandoci di peso. Haurauhaauhauh! disse un altro soldato acchiappando Baby. Un colpo secco e il piano fu schiantato. Loro due no, non sono ebree. Si sentì un colpo di mitra e un urlo, poi un altro colpo di mitra e un altro urlo ed un altro colpo ancora». Questa è la strage nazista in cui morirono nella realtà Cesarina (Nina) Mazzetti Einstein e le figlie Annamaria (Cicci) e Luce Einstein. Lo zio Robert, cugino di Albert Einstein, arrivato poco dopo con i partigiani, mentre infuriava l’incendio della villa, voleva morire anche lui. Invece si suicidò un anno dopo. Nel romanzo i morti – tutti e quattro, perché l’intento suicida si compie – vengono portati al cimitero, per bare si utilizzano avanzi dei mobili e delle porte; mentre i contadini ignoranti non vorrebbero un ebreo, per di più suicida, nel loro campo santo, il prete si dimostra umano e generoso: «Andrà all’inferno lo zio? L’inferno, non esiste che per i cattivi». Piano piano tutta la piccola comunità lo segue commossa, con le due bambine nuovamente sole al mondo. Sulla loro tomba, spiega la scrittrice, nel cimitero della Badiuzza c’è scritto: «trucidate dai tedeschi il 3 agosto 1944», una delle tante stragi lungo la Linea Gotica che vide purtroppo tragedie di ben altre dimensioni, da Sant’Anna di Stazzema a Marzabotto al Padule di Fucecchio.
Il romanzo tuttavia si conclude con una nota che rasserena: Penny e Baby piangono davanti alla tomba dei cari parenti, ed ecco una strana apparizione: c’è Don Chisciotte, alto, magro, con la lancia in mano, il volto coperto di lentiggini e un cappello piatto di latta. «Aveva dei rami in testa. Si chinò su Baby con un rumore di ferraglia e sembrò spezzarsi in due». Parla inglese e offre delle caramelle; se ne va salutando: Bye, bye. «Baby si mise a correre giù per il sentiero cadendo e rialzandosi». E si rialzarono anche le due gemelle, Lorenza e Paola, affrontando la loro nuova vita.
Articolo di Laura Candiani
Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume e Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.