Inclusione. Perché la legge (170/2010) non basta

Inclusione dal latino in-cludo cioè chiudere dentro fa pensare a un’operazione, mentale o fisica, in cui elementi eterogenei vengano uniti in un solo insieme. La condizione necessaria per una buona inclusione è l’integrazione, dal latino integer (intero), situazione in cui si aggiunge qualcosa ad un insieme in modo da renderlo intero. Nella scuola, l’inclusione è necessaria al fine di creare delle classi che, nella loro eterogeneità e diversità, riescano a diventare un unico gruppo compatto. All’interno di una classe gli elementi che differenziano alunni e alunne sono tanti, ma si possono raggruppare in due macrocategorie: emotività e modalità di apprendimento. Su queste due variabili si giocano tutte le dinamiche inter-relazionali della classe ed intra-relazionali con i/le docenti, nonché tutta la costruzione dell’equilibrio e dell’autostima dei nostri studenti e delle nostre studentesse. La legge 170/2010 tenta di rispondere all’esigenza di tutelare e integrare le diversità nella comunità scolastica, assicurando a tutti i ragazzi e le ragazze con Bisogni Educativi Speciali (certificati dagli enti preposti o riconosciuti dal consiglio di classe in accordo con la famiglia) la stesura di un Piano Didattico Personalizzato che, più che dispensarli da qualcosa, dovrebbe evidenziare e valorizzare i loro punti di forza cercando di compensarne le fragilità. Seppur questa legge rappresenti un buon punto di partenza, non riesce ad essere sufficiente per due ragioni: stendere un Pdp non è un’operazione asettica e standardizzata ma personalizzata e focalizzata sulla crescita umana e didattica dello studente o della studentessa; ci sono tantissimi alunni e alunne che, sebbene non tecnicamente coperti dalla legge 170/2010, costituiscono comunque un Bisogno Educativo Speciale. Queste due problematiche riguardano un aspetto tutt’altro che normativo perché hanno radici nell’intelligenza emotiva e nell’etica dell’insegnante, aspetto che non può essere controllato così facilmente e men che meno disciplinato da una legge. Se uno studente o una studentessa, per esempio, ha un problema, certificato o meno, nella gestione dell’ansia non è sufficiente che la legge consenta la programmazione delle interrogazioni, è necessario invece che i/le docenti siano empatici/che con lui/lei nel momento dell’interrogazione e che cerchino di metterlo/a a proprio agio e al momento necessario, siano in grado con dolcezza e fermezza di far capire l’eventuale errore. È come se la legge avesse indurito la nostra capacità di intuire situazioni problematiche, è come se ci deresponsabilizzasse di fronte al nostro dovere di stabilire una connessione emotiva con i nostri alunni e le nostre alunne: un Pdp non è una classificazione botanica fatta per evitare ricorsi, perché le persone non sono specie da etichettare. La legge è solo una condizione necessaria ma non sufficiente affinché il processo di inclusione e integrazione sia efficace. Sicuramente una parte dei nostri lettori e delle nostre lettrici obietteranno, sostenendo che il numero di certificazioni per ottenere un Pdp è in notevole aumento negli ultimi dieci anni. Basti pensare che gli studenti e le studentesse con Disturbo Specifico dell’Apprendimento sono passati dallo 0,7% del 2001 al 3,2% del 2017/2018. Questo dato non è affatto in contrasto con quanto detto. È vero che alcune certificazioni sembrano bloccare il percorso di crescita dell’alunno o dell’alunna ma, probabilmente, la scuola e la società tutta hanno il dovere di riflettere sul motivo per cui le famiglie preferiscono tutelare i propri figli e le proprie figlie con una legge invece di affidarli a qualcuno. Nella società contemporanea la fatica fa paura e la fragilità si sparge a macchia di leopardo, questo potrebbe portare i genitori a scegliere la via meno faticosa. Forse se noi docenti mostrassimo umana comprensione verso la diversità dei nostri alunni e delle nostre alunne i genitori e gli studenti/esse sentirebbero di avere una vera guida lungo la strada più faticosa.

 

 

 

Articolo di Sara Rutigliano

VA_rZQCELaureata in matematica, insegna matematica e fisica in un Liceo di Roma. Da sempre accompagna alla sua passione verso la matematica un grande interesse verso ciò che non è scientifico. Si occupa di didattica della matematica attraverso l’associazionismo e la collaborazione con Università ed enti di ricerca. È convinta che la matematica sia una disciplina accessibile a tutti/tutte.

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