L’Italia oscura: il ritrovamento dell’elenco degli iscritti alla Loggia P2

Il popolo italiano ha la memoria corta. Un buon modo per allenarla sarebbe, a scuola, raccontare, magari quando si spiega l’articolo 18 della Costituzione italiana, un’incredibile vicenda avvenuta il 17 marzo del 1981: il ritrovamento dei nomi degli iscritti (tutti maschi) alla Loggia Massonica P2, che di lì a poco, il 4 luglio dello stesso anno, sarebbe stato accompagnato dalla scoperta del Piano di rinascita nazionale o democratica, un vero e proprio Manuale di istruzioni per un golpe non tradizionale. Forse gli e le studenti potrebbero parlarne in famiglia e con amici e amiche, suscitando un po’ di curiosità retrospettiva sulla storia contemporanea d’Italia, questa sconosciuta, di cui spesso i e le docenti non si sentono di discutere, liquidandola molto superficialmente come cronaca e temendo di contaminarsi con la “politica”, parola che, dai tempi di Mussolini, “è una cosa sporca” e non deve riguardare la scuola. Cronaca senz’altro non è e non è chi non veda quanto sia scandaloso che ancora oggi in alcune scuole i programmi svolti di storia si fermino al 1945, un po’ come ai tempi in cui frequentava il liceo chi scrive e che però ormai vanta più di quarant’anni di differenza con gli alunni e le alunne che si diplomeranno al prossimo Esame di Stato. Quanto al termine “politica” il suo significato, per chi esercita una professione intellettuale, è “ciò che interessa la polis, cioè la comunità”.  Molti nella scuola confondono il termine “politica” con la propaganda politica, da evitare accuratamente nelle aule. A mio modesto parere si “fa” più propaganda politica evitando di affrontare certi temi, che approfondendoli con documentazioni e accesso agli atti, che, come in questo caso, si trovano sui siti istituzionali dei nostri organi costituzionali e costituiscono le fonti di ciò che si legge sui Manuali.
Chiunque volesse divertirsi a navigare nel sito del Parlamento italiano scoprirebbe che sulla Loggia P2 fu creata una Commissione Parlamentare di inchiesta, presieduta dall’onorevole Tina Anselmi e che la Loggia segreta Propaganda2 fu sciolta con la legge n. 17 del 1982, perché considerata “un’organizzazione criminale” ed eversiva. Il primo passo che individuò questa Loggia, su cui fino a quel momento si vociferava, ma che era sostanzialmente sconosciuta, fu proprio il ritrovamento degli elenchi degli iscritti e vale la pena raccontarlo. Ma prima di arrivarci occorre esercitare quel vizio della memoria di cui parla nell’omonimo libro Gherardo Colombo, uno dei due giudici istruttori cui si deve questa grande scoperta. 

FOTO

Nella prima metà degli anni Settanta Michele Sindona, il finanziere spregiudicato che un Presidente del Consiglio di allora, Giulio Andreotti, aveva definito “il salvatore della lira”, fondatore della Banca Privata Italiana e di una Banca negli Stati Uniti, aveva iniziato il suo declino. Si sapeva che questo finanziere d’avventura era circondato da gruppi di potere, vicini alla corrente andreottiana della Democrazia Cristiana, che erano stati aiutati e beneficiati dalle risorse notevoli, ancorché criminali, dalla Banca privata. Sindona viveva negli Usa ed era stato incriminato sia in Italia che in America per bancarotta fraudolenta. In Italia si era cominciato a percepire che questo bancarottiere fosse qualcosa di più di un avventuriero e che i suoi affari fossero molto torbidi. Dopo il dissesto della sua Banca, era stato nominato dalla Banca d’Italia come Commissario liquidatore l’avvocato Giorgio Ambrosoli. La nomina di un uomo solo, quando per il lavoro estremamente pesante che gli era stato attribuito sarebbero state necessarie più persone, rappresentava già un’anomalia. Corrado Stajano in un suo bellissimo libro lo avrebbe definito un Eroe borghese, un uomo estremamente integro, corretto e fedele ai principi della legalità repubblicana, deciso ad andare fino in fondo nell’ispezione degli affari criminosi della Banca di Sindona. Giorgio Ambrosoli, più volte minacciato e intimidito da uomini dal forte accento siciliano, sarebbe stato ucciso davanti a casa sua nel luglio del 1979 da William Arico, killer professionista, arrivato dagli Usa, al soldo di Sindona. Accanto all’inchiesta sulla Banca Privata Italiana la Magistratura milanese iniziò allora, oltre a quella per bancarotta fraudolenta, un’altra inchiesta penale, sull’omicidio Ambrosoli, inchiesta che avrebbe messo a fuoco altri comportamenti criminosi, che erano un po’ i reati satellite dell’efferato omicidio Ambrosoli, come tentate estorsioni e favoreggiamenti, e che mise a fuoco l’esistenza di un ambiente molto ampio e “in ombra” del sistema di protezione di Sindona, fatto di persone che si erano sporcate le mani e che avevano tutto l’interesse a proteggere il banchiere di Patti, cercando di nascondere le sue operazioni poco chiare e salvandolo. La Magistratura milanese, nelle persone dei consiglieri istruttori Gherardo Colombo e Giuliano Turone, aprì un fascicolo su certi affidavit, dichiarazioni giurate sulla affidabilità di Sindona, rese da personaggi di rilievo che dichiaravano alle autorità americane che Sindona era un perseguitato politico in Italia e lo dipingevano come un combattente anticomunista, che, se fosse tornato nella penisola, avrebbe rischiato anche la vita. Tra questi affidavit c’era anche quello di Licio Gelli, su cui da tempo correvano voci circa una misteriosa Loggia Massonica segreta e di cui i due giudici milanesi conoscevano le forti protezioni in ambienti dello Stato.

FOTO 1

Sulla Loggia P2 e sui suoi legami con Ordine nuovo aveva indagato nel 1976 il giudice Occorsio, assassinato nel luglio di quello stesso anno dal neofascista Pierluigi Concutelli. Dopo l’omicidio Ambrosoli, Sindona, incriminato in America, obbligato a non muoversi, con l’aiuto dell’entourage mafioso che lo circondava, mise in atto un suo finto sequestro di persona, attribuito a un sedicente quanto improbabile gruppo estremista di sinistra, tale Comitato di eversione comunista per una giustizia migliore. Già nella scelta delle parole per definire questo gruppo si tradiva l’improvvisazione, laddove forse accanto alla parola giustizia un gruppo dedito alla lotta armata come le Brigate Rosse o Prima Linea avrebbe scelto l’aggettivo “proletaria”. Nel frattempo era iniziata la procedura di estradizione dall’America in Italia di Sindona, a causa della quale si spiegano i tanti affidavit di allora, per evitarne la consegna alla Magistratura italiana, anche da parte di persone insospettabili come il Procuratore generale Spagnuolo, uno dei più alti magistrati di allora. La procura distrettuale di Brooklyn aiutò gli inquirenti italiani e scoprì che per circa un mese e mezzo, durante il periodo del sequestro inventato, Sindona si era trasferito a Palermo, dove era vissuto clandestinamente, con la complicità dei suoi amici mafiosi e massonici italiani e statunitensi. Uno di questi accoliti, un certo Joseph Miceli Crimi, teneva il collegamento tra Palermo e Arezzo con frequenti viaggi di andata e ritorno, che avevano come destinatario il boss della Loggia Massonica P2 Licio Gelli. In quel periodo le Autorità americane avevano procurato agli Inquirenti milanesi un’agendina sequestrata a Sindona in cui c’erano tutti i recapiti di Licio Gelli. Si sapeva che il Venerabile aveva una villa ad Arezzo, Villa Wanda, che frequentava l’Hotel Excelsior di Roma, ma quello che ancora non era noto era un indirizzo particolarissimo, presso una ditta tessile, la Giole, la linea di abbigliamento giovane del gruppo Lebole, che aveva sede in un paesino della provincia di Arezzo, Castiglion Fibocchi. Quell’indirizzo aveva tutta l’aria di essere un ufficio occulto, non ufficiale e i Magistrati percepirono che la perquisizione di quel luogo avrebbe dovuto essere estremamente delicata. Gelli aveva rapporti con ambienti importanti e aveva sicuramente delle protezioni nelle istituzioni della Repubblica. In quel momento il consigliere istruttore Turone, che lo racconta nel suo libro Italia occulta, si serviva di una polizia giudiziaria particolarmente affidabile, composta da quegli stessi ufficiali della Guardia di Finanza di Milano con cui il magistrato nel 1974 era riuscito ad individuare un altro personaggio molto protetto da ambienti importanti, Luciano Liggio, che si nascondeva a Milano e allora era il Capo di Cosa Nostra siciliana. Più tardi si sarebbe scoperto che era stato protetto perché coinvolto nel golpismo dei primi anni Settanta, il cosiddetto golpismo tradizionale, che aveva visto almeno due tentativi fallire, il golpe Sogno e il golpe Borghese, in cui il boss di Cosa Nostra aveva svolto un ruolo di primo piano. Allora Turone aveva percepito che c’era qualcuno nell’Arma dei Carabinieri che stava facendo un gioco dubbio e proprio per quello preferì affidarsi per la perquisizione agli uomini della Guardia di Finanza. Lo stesso fece insieme a Colombo con la perquisizione a Castiglion Fibocchi. Nel 1981 i due gudici prepararono delle perquisizioni particolarmente riservate, senza preavvisare i Comandi locali com’era prassi allora. La perquisizione riuscì e i Magistrati sequestrarono tutti gli elenchi degli affiliati e una documentazione preziosa riguardante le tangenti dei petroli, lo scandalo del Banco Ambrosiano, i legami tra la proprietà del “Corriere della sera” e la Loggia P2, confermando che la stessa fosse quel centro di potere occulto che la Commissione parlamentare avrebbe poi messo in luce.  Si sarebbero presto scoperte le sue infiltrazioni in tutti gli episodi di strategia della tensione degli anni Settanta, i depistaggi nella strage di Bologna e nel comitato di crisi nominato da Cossiga durante il sequestro di Aldo Moro, i cui componenti al novanta per cento erano membri iscritti nella lista scoperta a Castiglion Fibocchi.                                                                                  Nel luglio del 1981, nel doppiofondo della valigia della figlia di Gelli, fu ritrovato il Piano di rinascita democratica, un vero e proprio disegno eversivo che prevedeva la trasformazione dello Stato attraverso il posizionamento degli iscritti nei gangli vitali dell’apparato democratico. La Commissione parlamentare di inchiesta che fu istituita sulla P2, composta da soli uomini, fu presieduta da una donna della statura morale di Tina Anselmi. Di quella Commissione facevano parte, tra gli altri, anche Sergio Mattarella, Gino Giugni, Achille Occhetto e quel Roberto Ruffilli che sarebbe stato ucciso nel 1988 dalle Brigate Rosse. Tra i 963 nomi dell’elenco degli iscritti alla P2 c’erano 208 militari e appartenenti alle forze dell’ordine, 43 generali e l’intero vertice dei servizi segreti, il capo dei servizi di sicurezza militari e il capo dei servizi di sicurezza civili, il capo della struttura di coordinamento e controllo dei servizi militari e civili, 11 questori, 5 prefetti, 44 parlamentari, 2 ministri, quelli per il Commercio con l’estero e del Lavoro in carica, banchieri, tra cui Sindona e Roberto Calvi, imprenditori tra cui Silvio Berlusconi e l’editore Rizzoli, personaggi di spettacolo tra cui Maurizio Costanzo, professionisti, magistrati e giornalisti come Gustavo Selva, Roberto Gervaso e Mino Pecorelli, direttore di “O.P.”, sul cui omicidio, avvenuto due anni prima, per cui fu imputato e poi assolto anche Giulio Andreotti, non fu fatta mai piena luce. Tra le domande autografate di adesione alla Loggia c’era anche quella del Ministro della Giustizia in carica, Sarti. Non sarà male ricordare alcuni nomi, noti per gli scandali o le deviazioni istituzionali a cui erano legati: Raffaele Giudice e Donato Lo Prete, coinvolti nello scandalo delle imposte dei petroli, Gianadelio Maletti, Vito Miceli e Antonio Labruna, attivi nei servizi segreti deviati, dai tempi della strage di Piazza Fontana. I due giudici istruttori vennero a conoscenza di documentazioni compromettenti, in buste sigillate con intestazioni del tipo: “on. Martelli, contratto Eni- Petronim”, “accordo finanziamento Flaminio Piccoli- Rizzoli” o “Calvi – Copia comunicazioni Procura di Milano”. La notizia del ritrovamento degli iscritti non venne data subito, nonostante i giudici istruttori ne avessero riferito al Presidente del Consiglio Forlani. Gli inquirenti si accorsero che la documentazione trovata era quasi ancor più pericolosa dell’elenco, di cui peraltro fecero due serie di fotocopie, nascondendone una in un raccoglitore riguardante un procedimento di un collega in tema di terrorismo, mentre gli originali furono conservati nell’armadio blindato di Colombo e nella cassaforte di Turone. Già tutto questo fa capire in quali condizioni due magistrati che stavano solo svolgendo il loro dovere si trovassero a lavorare. Non passò molto tempo da quando gli elenchi furono pubblicati prima che si mettesse in moto quella che oggi si chiamerebbe ”la macchina del fango”, cioè un’opera di screditamento delle figure dei due giudici. Nonostante le energie profuse non si riuscì a trovare granché sul conto di questi due servitori dello Stato, se non che Turone “frequentava una donna sposata”, senza sapere che nel frattempo il magistrato aveva ottenuto il divorzio e quella donna era diventata sua moglie. E di lì a poco, dopo la caduta del Governo e la nomina del primo Presidente del Consiglio laico della storia, Spadolini, l’indagine sarebbe stata tolta agli investigatori di Milano. Merita però ricordare quanto scrissero i saggi nominati dal Presidente del Consiglio Forlani, a conclusione del loro lavoro, sulla P2: «una formazione postasi fuori dell’ordinamento massonico…artificiosamente costituita e fatta funzionare da Gelli successivamente alla sospensione che colpì l’autentica Loggia P2 nel 1976…Il vertice della cosiddetta Loggia P2 Gelliana ha vissuto e si è proposto di operare in Italia come un luogo di influenza e di potere occulto insinuandosi nei gangli dei poteri pubblici e della società civile e di ordinare in un unico disegno bisogni, aspirazioni, ambizioni e interessi individuali, sì da convogliarli verso tutt’altri risultati che quelli della solidarietà umana intesa nel suo autentico significato….Un’associazione occulta può diventare uno Stato nello Stato…E questo non può essere consentito nell’ordine democratico….Né può essere taciuta la nefasta azione che i centri di influenza occulti potrebbero essere in grado di esercitare in tutta la società civile, condizionando le attività economiche, l’informazione, la vita dei partiti e dei sindacati…».
Il Piano di rinascita democratica merita da solo un approfondimento dedicato, come la figura ambigua di Licio Gelli, che seppe essere sia fascista durante la guerra di Spagna, che repubblichino e infine partigiano bianco, affiliato alla Massoneria dal 1963. Quello che qui importa sottolineare è la gravità di questa parte della storia italiana, in cui un gruppo di persone, la cui identità era segreta agli stessi iscritti, agiva come punto di contatto tra criminalità organizzata, bande neofasciste, servizi segreti e ambienti della finanza, condizionava le indagini della Magistratura, depistava le inchieste, aveva in mano di fatto un giornale generalista come il “Corriere della sera”, contribuiva a quella “strategia della tensione” che impediva di fare del sistema politico italiano una democrazia consolidata e perseguiva intenti di conservazione. La Commissione parlamentare di inchiesta sulla Loggia P2 fece un lavoro egregio, denotando coraggio e intransigenza, per cui Tina Anselmi fu anche però sbeffeggiata e accusata di inseguire fantasmi.  L’articolo che la pubblicazione Italiane edita nel 2003 dal Dipartimento delle Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio, a firma Pia Luisa Bianco, dedica alla figura esemplare della grande politica italiana non le rende l’onore che merita.  Stupisce la leggerezza con cui alcuni degli iscritti commentarono la loro inclusione negli elenchi di Castiglion Fibocchi, sostenendo di non sapere quasi nulla del progetto eversivo della Loggia P2. Ma ancor di più colpiscono la mancata indignazione e la smemoratezza dell’opinione pubblica italiana, certamente favorita dallo spezzettamento dei vari tronconi del processo che si protrasse per molti anni e fu sommersa dal gossip della politica politicante cui i nostri media da sempre dedicano molto più spazio di quanto si dovrebbe. Ecco perché è fondamentale fare memoria su queste parti della nostra storia, soprattutto a scuola.

 

 

 

Articolo di Sara Marsico

Sara Marsico.400x400.jpgAbilitata all’esercizio della professione forense dal 1990, è docente di discipline giuridiche ed economiche. Si è perfezionata per l’insegnamento delle relazioni e del diritto internazionale in modalità CLILÈ stata Presidente del Comitato Pertini per la difesa della Costituzione e dell’Osservatorio contro le mafie nel sud Milano. I suoi interessi sono la Costituzione, la storia delle mafie, il linguaggio sessuato, i diritti delle donneÈ appassionata di corsa e montagna. 

Lascia un commento

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...