Didattica a distanza. Tra luci e ombre

La didattica è quella branca della pedagogia che analizza tutte le dinamiche riguardanti l’insegnamento. Da quando la scuola è nata, dal precettore privato alla scuola di tutti e di tutte, la didattica ha sempre previsto la presenza (nello stesso luogo) di insegnante e studente/essa, a prescindere dalle diverse forme di lezioni possibili che nel tempo hanno cambiato la loro strutturazione. Dal 9 marzo, giorno di entrata in vigore del decreto che ha deliberato la chiusura delle scuole e delle università, l’istruzione è stata messa alla prova. Da un giorno all’altro i/le docenti sono stati/e privati/e dell’elemento necessario per l’apprendimento: alunni e alunne. La scuola, tuttavia, non si deve fermare: sia per fornire un supporto morale a studenti e studentesse in un momento difficile, sia per continuare a garantire a tutti/e il diritto all’istruzione. È nata così la “Didattica a distanza” di massa.

Ma cosa si intende per didattica a distanza?

L’utilizzo di piattaforme in cui è possibile condividere videolezioni registrate, esercizi, appunti preparati dai docenti e dalle docenti; l’utilizzo di applicazioni che permettano un contatto diretto con studenti e studentesse e lo svolgimento di lezioni in streaming; l’uso del registro online come strumento di condivisione per alunni/e e di tracciabilità per le famiglie. La didattica a distanza quindi comprende tutte quelle modalità attraverso cui gli/le insegnanti riescono a stabilire un contatto telematico con gli studenti. Questa è una tematica molto ampia e complessa perché non si può pensare di traslitterare tutto ciò che si fa in classe, utilizzando semplicemente un altro strumento. Il nostro modo di insegnare va ripensato, quindi è necessario riflettere su diverse questioni prima di cominciare a sovraccaricare le classi di spiegazioni e compiti.

I/le docenti sono obbligati/e a fare didattica a distanza?

La scuola non rischia di essere onnipresente, visto che i device si possono utilizzare in qualsiasi momento della giornata? I/le docenti non sono obbligati/e, da un punto di vista normativo, a fare didattica a distanza né tanto meno a privilegiare le modalità sincrone (lezioni in streaming) rispetto alle asincrone (caricare del materiale in piattaforma)[1]. Questo non implica che non la debbano fare. È giusto farla per senso di comunità e di responsabilità nei confronti dei loro studenti e studentesse. I/le docenti sono educatori/trici, e una figura di questo tipo non può scomparire proprio nel momento del bisogno. Entrando nel merito, quindi nella scelta tra modalità sincrona e asincrona, il discorso è più complesso. I nostri alunni/e hanno bisogno di vedere la propria classe insegnante e di ricreare un contatto con essa, tuttavia devono anche essere lasciati/e liberi/e di riflettere su questa condizione, di imparare a gestire il proprio tempo e prendersene la responsabilità. Hanno diritto, nell’attuale condizione, di ascoltare una videolezione alle 21.00 e riflettere sul motivo per cui la scuola inizi alle 8 del mattino, sebbene la sveglia sia per loro molto noiosa. Ci dovrebbe essere quindi un giusto mezzo tra collegamenti in diretta e in differita. Non bisognerebbe commettere l’errore di continuare a scandire il tempo al posto loro, dovremmo assecondare le loro libertà e vedere a cosa portano, guardandoli da lontano e intervenendo in caso di bisogno. È giusto che ci siano contatti con il corpo docente, e che loro abbiano del materiale di studio, ma non si può pensare di spiegare e dare compiti come se stessimo in un’aula. Le piattaforme si possono usare in qualunque momento della giornata, anche in orario non scolastico, e se da un lato questo rende immediata la didattica a distanza e cerca di ovviare al problema della mancanza della presenza, dall’altro priva alunni e alunne della loro autonomia. Quando si va a scuola, il pomeriggio è il momento in cui i nostri alunni/e si mettono alla prova per avere una dimensione di ciò che è chiaro e ciò che non lo è. I/le docenti dovrebbero provare a rispettare questo tempo anche in questo periodo. A tal fine sono utili alcune semplici regole: evitare di contattare le classi con strumenti personali (Whatsapp, Facebook, Instagram), utilizzare sempre le piattaforme ufficiali, fissare un orario limite in cui ci si può relazionare con le classi, non fornire la soluzione ai loro quesiti senza farsi spiegare dove sia il problema. È chiaro che questo tipo di didattica rende molto complessa la realizzazione di un apprendimento induttivo e di una didattica che non sia frontale. Bisogna pensare a nuovi modi per coinvolgere tutti/e: organizzare presentazioni dei loro lavori o affidargli la correzione degli esercizi. Lo scopo di queste azioni non è la valutazione ma far percepire agli alunni/e che alla scuola sta davvero a cuore il gruppo classe.

La didattica a distanza inasprisce le diseguaglianze sociali?

Il problema dell’inasprimento delle ineguaglianze sociali sussiste se i mezzi per il diritto all’istruzione non sono un bene fornito dallo Stato, come i libri per le persone meno abbienti. Per poter seguire in modo efficace la didattica a distanza è necessario un device personale e una più che buona connessione internet. Non tutti/e hanno a disposizione questa strumentazione e, nel caso di una didattica sincrona, dovrebbero anche dichiararlo pubblicamente per evitare di essere segnalati per mancanza di partecipazione. Per non parlare delle famiglie con più di un/a figlio/a e in cui i genitori sono alle prese con lo smart working, rischiano di esserci situazioni complesse in cui se i figli o le figlie seguono le lezioni, i genitori non possono lavorare o viceversa perché non è presente un PC per ogni membro della famiglia. Probabilmente la modalità asincrona potrebbe semplificare, in queste circostanze, le cose. Questo dato è confermato dai monitoraggi sulla didattica a distanza, che seppur non sono uniformi, indicano che non è stata raggiunta una percentuale di studenti e studentesse che va dal 90% al 75%[2]. Certamente questo problema non ha come soluzione l’abolizione della Dad, ma ogni volta che si utilizza uno strumento bisogna essere consapevoli dei suoi limiti.

È davvero possibile una valutazione in queste condizioni?

Da un punto di vista squisitamente sommativo, nessun tipo di verifica, scritta o orale che sia, è davvero attendibile non essendo possibile un controllo tempestivo sull’autonomia dello studente o della studentessa. La riflessione è più ampia tuttavia, infatti è giusto attribuire un voto su unità didattiche che non abbiamo spiegato come avremmo voluto e soprattutto in un periodo emotivamente così provante?  Nessun docente interrogherebbe uno studente/essa in un periodo in cui tutta la sua vita viene stravolta per un evento traumatico (separazione di genitori, lutti improvvisi, cambi di casa) e perché pensiamo che questo periodo meriti meno rispetto?

Qual è il fine della didattica in generale, e come può essere rimodulato in questa a distanza? Qual è il ruolo della scuola in questi casi?

Una profonda riflessione va fatta sul ruolo della scuola, la nostra comunità educante, in un periodo così complesso. La stessa Ministra dell’Istruzione nella lettera alla comunità scolastica del 27 marzo afferma: “Non basta quindi dare compiti agli studenti usando il registro elettronico. La didattica a distanza non è disumanizzata, anzi: (…) la comunità educante si ritrova innanzitutto intorno alle emozioni, al confronto su ciò che stiamo vivendo, ai momenti di silenzio insieme alle lacrime e ai sorrisi. La scuola è presidio di Stato”. La scuola dovrebbe aiutare studenti e studentesse a riflettere sulla società, sul mondo e su loro stessi. Dovremmo pensare ad una didattica che riesca anche a distaccarsi dai canonici programmi, perché questo non è un periodo canonico. Potremmo aprire gli orizzonti di una scuola che, spesso purtroppo, i nostri alunni e le nostre alunne sentono lontana dalla vita reale. Sarebbe il periodo perfetto per ritornare ad essere curiosi/e come docenti e per far incuriosire i nostri alunni e le nostre alunne, per trattare argomenti che ci propongono e per cercare di rispondere alle domande esistenziali di questo periodo o suggerire loro le risposte di qualcuno più illuminato di noi. È importante che loro sentano che, sebbene fare lezione da casa possa sembrare più comodo, i nostri device sono solo strumenti per la didattica e che per parafrasare Gaber “La televisione (…) la si dovrebbe trattare in tutte le famiglie con lo stesso rispetto che è giusto avere per una lavastoviglie!”. Se non saremo attenti/e finiremo come nel finale del film “Her” in cui il protagonista si innamora del suo sistema operativo e alla fine rimane deluso quando si rende conto che questo non può assicurargli ciò che è imprescindibile per noi uomini e donne: l’unicità. Questo è importantissimo per una generazione di ragazzi e ragazze sempre più vittime della dipendenza tanto dalle tecnologie, tanto dalla ludopatia e purtroppo molto spesso dalla droga, e, un utilizzo consapevole, ponderato, mediato da insegnanti eticamente informati dei mezzi tecnologici usati in questo periodo speciale, sospeso e di attesa è fondamentale per invertire e deviare questa pericolosa tendenza.

[1] https://www.ilsole24ore.com/art/didattica-distanza-vademecum-docenti-e-studenti-ADJLhvG

[2] https://www.tuttoscuola.com/didattica-a-distanza-raggiunti-8-alunni-su-10-i-dati-del-monitoraggio-del-ministero/

https://www.ilsole24ore.com/art/lezioni-online-ci-prova-l-82percento-scuole-ADp10mE

https://www.tecnicadellascuola.it/didattica-a-distanza-non-arriva-a-tutti-1-studente-su-4-ha-problemi-di-rete-o-non-ha-il-computer

Articolo di Sara Rutigliano

VA_rZQCELaureata in matematica, insegna matematica e fisica in un Liceo di Roma. Da sempre accompagna alla sua passione verso la matematica un grande interesse verso ciò che non è scientifico. Si occupa di didattica della matematica attraverso l’associazionismo e la collaborazione con Università ed enti di ricerca. È convinta che la matematica sia una disciplina accessibile a tutti/tutte.

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