Narrazioni
I racconti della Sezione C – Narrazioni, del Concorso nazionale Sulle vie della parità
Premessa
Pubblichiamo altri due racconti, degli otto premiati tra tutti quelli giunti dalle scuole del Nord-Est che hanno risposto al bando del concorso Sulle vie della Parità. Sono arrivati entrambi dalla Lombardia, da Lodi e da Melegnano, un centro dell’hinterland milanese, e sono zone che per il dramma che ora vi si sta vivendo hanno un posto speciale, in questo momento, nel cuore di tutte e tutti noi. Il primo, intitolato L’ergastolo, è stato scritto da Karama Khalfi, allieva della V Z, corso serale dell’Istituto Agostino Bassi di Lodi, e presentato dalla prof.ssa Francesca Spagnoletta. La storia, di grande impatto, prende spunto dall’incipit di Loreta Minutilli, e ci parla di una fuga, anzi di un tentativo, fallito, di fuga da quell’“ergastolo” che è la condizione femminile nella cultura islamica. È un racconto di grande fascino, che punta sul fantastico e sulle impennate liriche di una prosa matura, dal piglio sicuro, ed è facile cogliere il peso che, sulla sua genesi, ha avuto l’esperienza diretta del mondo descritto. Molto diverso il secondo racconto, dal titolo austeniano, Odio e pregiudizi, opera collettiva di quattro studenti della IV L dell’Istituto Vincenzo Benini di Melegnano, che hanno lavorato sotto la guida della prof.ssa Valeria Pilone. Sono Astrid Cosenza, Enrico Micelli, Francesca Runfola, Giulia Tirinzi. Il gruppo è partito dall’incipit fantasy di Simona Baldelli, che crea uno scenario di guerra tra i generi ambientato in un mondo alieno e l’ha sviluppato rivelando doti di fantasia e freschezza, cui si unisce un filo di ironia.
L’ergastolo
Giulia aprì gli occhi prima che suonasse la sveglia. Aveva fatto sogni confusi sulla giornata che stava per cominciare, tutti finiti in catastrofe, e non aveva nessuna intenzione di rimettersi a dormire, ma non c’era ragione per cui fosse già in piedi. La sera prima aveva preparato accuratamente tutto quello che le sarebbe servito: lo zaino era già chiuso e dalla tasca davanti sbucava la busta della lettera, lilla e ben sigillata per evitare qualsiasi ripensamento. Prima che arrivasse il momento di uscire di casa, l’unica cosa che le restava da fare era impedirsi di cambiare idea. Mezz’ora dopo, fu dietro la porta della sua stanza pronta con lo zaino sulle spalle e la lettera chiusa in mano. Stette ferma qualche secondo, poi prese un respiro profondo e con una mano tremante aprì la porta, rapidamente la varcò e la chiuse dietro di sé. Il tragitto era lungo, chiuse gli occhi mentre camminava con passo insicuro e l’esitazione di un condannato a morte che avanza verso la forca. Il corridoio era oscuro, il sole non era ancora sorto. In inverno l’oscurità e la tristezza si spandono sull’esistenza, mentre l’universo abbraccia il sole e lo addormenta lasciando il cielo vomitare le lacrime delle vergini e i tuoni urlare i loro dolori. In quella oscurità, con quella paura e con gli occhi chiusi camminava in quel corridoio che sembrava infinito, e attorno a lei si levarono delle voci che le urlavano “Dove stai andando? Dove? Vigliacca… Traditrice… Maledetta… Non andrai da nessuna parte”. Erano voci confuse, pianti di neonata, urla di bambina e rabbia e maledizioni di ragazza. Ma lei non si fermò e continuò a camminare verso il portone senza aprire gli occhi e senza rispondere, sapeva che questo sarebbe successo, ma quella volta era determinata, non si fermò e non rinunciò. Improvvisamente, quelli voci diventarono corpi che si mossero attorno a lei e provarono a fermarla, afferrando i suoi vestiti. Cadde la lettera mentre cercava di proteggersi. Le mani erano troppe, provò a sbrigarsi a raggiungere il portone, ma una forza la prese dal suo velo e l’attrasse indietro. Quel velo diventò una corda che le avvolse il collo come un serpente, era troppo debole per controllare il proprio equilibrio, e cadde per terra. La fece cadere uno straccio che le avvolgeva la testa da quando aveva otto anni. In quel momento si rese conto che se avesse davvero voluto superare quel corridoio, avrebbe dovuto lasciare quel panno nero dietro la porta prima di scappare, ma era ormai troppo tardi. – Vuoi lasciarmi qui da sola? Quella voce le era familiare, proveniva da quella piccola macchia oscura che era in piedi davanti al suo corpo disteso. Non ebbe la forza sufficiente per alzarsi, ma riuscì a sollevare lo sguardo e vide quella bambina a piedi nudi, con un lungo vestito nero e un lungo velo nero che le copriva i capelli e la guardava con tristi occhi neri che nascondevano una rabbia devastante. – Quante volte ti ho detto che da qui non si scappa? – Sono… Sono… Sono stanca… Le parole uscirono a intermittenza: “Me ne devo andare… Non posso stare ancora … E…” – E io? Mi lasci prigioniera qui? – È il tuo destino. – No, questo è il tuo destino, hai provato tante volte e non sei riuscita. Sai perché? Perché ci sono io. Qui sono nata io e qui morirai tu. – Lasciami andare, ti prego, non è colpa mia, sono loro, loro i colpevoli. Lasciami andare. – Sì che è colpa tua. Guarda! Alza lo sguardo e guarda cosa hai fatto! La bambina sollevò il lungo vestito nero fino a quando apparvero le sue esili gambe: i segni delle frustate sulla sua pelle morbida avevano lasciato linee insanguinate; continuò a sollevare la veste fino ai suoi genitali cuciti, martoriati, suture e sangue rappreso le coprivano la zona, una visione terribile. – Guarda! Guarda cosa hanno fatto mentre tu piangevi. Sei colpevole come loro! – Non è colpa mia, hanno detto che volevano preservare il tuo onore, non potevo fare niente, non è colpa mia, credimi. Le sue lacrime iniziarono a scendere mentre cercava di difendersi. – È inutile che piangi, non provo nulla per te, ho passato gli anni disperandomi, mi hanno picchiata, mi hanno insultata, hanno portato via la mia innocenza e hanno violentato la mia infanzia, e tu? Tu che facevi? – Non potevo fare niente, ero troppo debole. – E io? – Si alzò un’altra voce familiare e Giulia, ancora a terra, sollevò lo sguardo e vide una bella ragazza con un lungo vestito nero e un lungo velo nero che le copriva i capelli, e la guardava con tristi occhi neri dallo sguardo aspro che esprimeva tanta rabbia. – Vuoi lasciarmi qui e scappare? Vigliacca! – No, non sono vigliacca, non potevo fare niente, era il tuo destino, è il destino. – Il destino, ahahah! La scusa degli sconfitti, gli hai permesso di provare su di me ogni tipo di tortura, ho passato le notti legata senza bere e senza mangiare, mi hanno impedito di continuare gli studi, mi hanno obbligata a stare in casa e a servirli come una schiava, e adesso vieni a dirmi che è il mio destino? – Eri una ragazza ribelle, li hai sfidati, hanno voluto proteggerti dal tuo demone interiore e preservare il tuo onore. Sai bene che l’amore è una trappola di Satana, l’amore è vietato, li hai provocati e ti sei innamorata, non potevo fare niente, non era colpa mia. – E adesso cosa è cambiato? Da dove ti viene il coraggio per scappare? – Perché sono stanca. Io sono stanca. – Sei una codarda, non andrai da nessuna parte, perché lo sai benissimo che sei colpevole come loro, la maledizione ti seguirà ovunque. Quelle parole furono frecce che penetrarono nel suo cuore. La realtà è grottesca e crudele, a volte non possiamo affrontarla. Giulia iniziò a sussurrare con una voce debole: “Basta, stai zitta” – Giustifichi i loro crimini, colpevole! – Zitta! Basta! Non sono colpevole. – Vigliacca, codarda, sconfitta. Sei colpevole! – Basta! Non sono colpevole. – La sua voce iniziò ad alzarsi ma le sue parole furono soffocate dalle lacrime: “È il destino. Questo è il destino di tutte le donne. La nostra colpa è nascere femmine. Non è colpa mia, non è colpa mia…” All’improvviso si aprì una porta, Giulia sentì dei passi procedere verso di lei e si accese la luce. Si avvicinò un uomo che ruggì con voce spaventosa: – Sei ancora tu? Maledetto il giorno in cui sei venuta in questa vita, sono stufo, sei una troia come tua madre e vuoi macchiare il mio onore e scappare come lei. Ti odio, figlia di una puttana, sei… Non sentì quello che stava dicendo, perché vi era abituata e sapeva a memoria ogni parola, ma era impegnata a cercare quelle due figure che erano sparite improvvisamente. Con un po’ di fatica si alzò, mentre quell’uomo raccolse la lettera che era per terra e l’aprì. Giulia ebbe paura, perché aveva scritto in quella lettera tutto quello che pensava di lui, aveva detto quanto lo odiava e quanto desiderava vederlo morto, che non lo voleva come padre e che sua madre aveva fatto bene a scappare. Era così spaventata, mentre lui estraeva il foglio dalla busta e l’apriva: “Vuota, ancora una lettera vuota. Sono stufo della tua pazzia, un giorno ti ammazzerò. Sparisci!” Prese il suo lungo velo nero e corse verso la sua stanza con i piedi nudi, inciampando nel lungo vestito nero, con mano tremante aprì la porta, rapidamente la varcò e la chiuse dietro di sé, stette ferma qualche secondo poi prese un respiro profondo, chiuse i suoi tristi occhi neri pieni di rabbia e con una voce sottilissima disse: “Domani scriverò una lettera e scapperò”. – Te lo abbiamo detto che da qui non si scappa, siamo il tuo destino. Ahahah! Aprì gli occhi spaventata, erano lì, la stavano aspettando nello specchio.
Racconto di Khalfi Karama, 5^Z, “A. Bassi”, Lodi Incipit n.4, Autrice: Loreta Minutilli
A cura di Loretta Junck
Già docente di lettere nei licei, fa parte del “Comitato dei lettori” del Premio letterario Italo Calvino ed è referente di Toponomastica femminile per il Piemonte. Nel 2014 ha organizzato il III Convegno di Toponomastica femminile. curandone gli atti. Ha collaborato alla stesura di Le Mille. I primati delle donne e scritto per diverse testate (L’Indice dei libri del mese, Noi Donne, Dol’s ecc.).