Editoriale. Ci vuole cautela!

Carissime lettrici e carissimi lettori,
anche questa volta ho rinunciato all’incipit inizialmente pensato per questo editoriale. Alle spinte ispirate di scrittura per obbedire ai ricordi di vecchie e utili lezioni di giornalismo. Questa volta, e ne siamo felici, il motivo non è la scomparsa di qualche artista, seppure ce ne sono state e dovremmo ricordarne almeno due: per il teatro, Antonio Tarantino, autore del premiato Stabat Mater (magistralmente recitato da Piera Degli Esposti) e per il cinema l’ancora giovane, 53 anni, Irrfan Khan, attore di Bollywood e di Hollywod, il poliziotto di The millionaire e il protagonista di Vita di Pi, la tenera storia di un bambino e una tigre che diventano amici dopo un naufragio. A questa scomparsa, mentre scrivo, si aggiunge tristemente quella di un altro attore indiano, Rishi Kapoor, figlio illustre del grande Raj.
Ho cambiato l’inizio di questo editoriale, che riguarda (lo leggerete sotto) la riapertura di dopodomani, esattamente tra 48 ore, dalla mezzanotte di questo 2 maggio. Vi confesso di aver avuto il famoso brivido nella schiena, perché non riesco a capire (voi lo avete capito?) che cosa si intenda.
Pensavo, e penso, che questo del 4 maggio fosse un ritorno al lavoro per l’importanza che ha nella nostra esistenza economica, psicologica e di sana stabilizzazione all’interno della nostra socialità. Che fosse, che sia inteso in tal senso: come un ritorno alla vita. E questo deve essere.
Non che non siano necessari, anche psicologicamente, i contatti sociali. Ma cosa vuol dire che dobbiamo imparare a convivere con il virus? Come e soprattutto con chi? Ci dicono che i contagi, i ricoveri in terapia intensiva, le morti per Covid-19 sono diminuite (seppure raramente sono arrivati a zero), ma si deve ancora stare molto attenti/e e non incrementare il ritorno dei contagi in numero elevato con gli incontri indiscriminati e forse anche disattenti. Una schiera di fidanzatine e fidanzatini (con il terrore di madri e di padri) non vedono l’ora di appropriarsi immediatamente di questa interpretazione e di questa inclusione nella categoria dei congiunti.
Invece è necessario ricominciare, ma si ricomincia dal lavoro. Dovrebbe essere questo ciò che inizieremo a fare dalla prossima settimana, come una vera e propria rinascita. Con tutta la cautela, con le infinite precauzioni necessarie, con ogni possibile attenzione e limitazione dovute, per non ricadere nel pericoloso vortice dei contagi, per non incrementare gli stessi nei luoghi dove si era riusciti ad arginarli.
Questo è avvenuto, la sorte l’ha voluto casuale e necessario, da calendario: appena successivo alla celebrazione del 25 aprile, data dalla quale è scaturita la nostra Costituzione, e appena dopo, con la ricorrenza di ieri, il Primo maggio, la Festa del Lavoro.
Ieri non l’abbiamo celebrata come ogni anno, al solito modo, in piazza, nelle piazze di tutti i luoghi d’Italia. Come ormai è successo per la Pasqua di tutte e tutti, per la festa della Liberazione. Anche in questo Primo maggio non c’è stata nessuna manifestazione, nessun Concertone di Roma (a piazza San Giovanni in Laterano), con i suoi cantanti e i suoi discorsi sul Lavoro. Neppure ci sono state le sue Messe (i cristiani celebrano San Giuseppe, il padre del Cristo, nella sua veste di lavoratore, di falegname). I cantanti li abbiamo ascoltati in televisione, la sera, e ci hanno ricordato tanti momenti passati insieme.
La festa di ieri, la Festa del Lavoro, alla fine di questa settimana ci traghetta, con un’attualità che definirei struggente, al nuovo passo. Da qui davvero dobbiamo ripartire. Perché il lavoro ci sia di viatico e di salvezza verso una civile resurrezione alla vita così tragicamente martoriata, anche nella morte, purtroppo.
Il Lavoro è l’incipit nel quale mette le radici la Costituzione italiana che inizia, tutte e tutti noi lo sappiamo: «L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro». Ecco perché viene in mente che questi primi passi di lunedì prossimo siano da paragonare a una rinascita. Come se si ripartisse da quel 25 aprile appena celebrato quest’anno in casa, semmai cantando dalle finestre e dai balconi, rispettando le regole.
«Il lavoro nobilita l’uomo», suonava un detto popolare. Il valore su cui si fonda la nostra Repubblica è sicuramente un atto fondamentale per la sopravvivenza umana e non solo in senso economico, ma anche psicologico, di relazione sociale.
Abbiamo imparato tante cose sul lavoro, sul suo bisogno di esserci, su come e dove svolgerlo e molto impareremo sulle modalità per arrivare nei luoghi dove andremo a lavorare e in che maniera (sicuramente difficile) adopereremo i mezzi pubblici. Abbiamo imparato meglio il significato “attivo” di parole come smart working, il lavoro da casa, per non contagiarsi e contagiare, il lavoro che è cambiato molto e ancora cambierà, noi speriamo in senso molto positivo, dopo questo passaggio del Coronavirus che ci ha costretti tutti e tutte a casa, ma che ci ha fatto riscoprire questi interni con tutti gli affetti dentro e nella dimensione di un nuovo luogo di lavoro a chilometri zero!
Il termine lavoro viene dal latino (labor) e intende la fatica. In molte lingue e tanti dialetti rimane segnato da questa accezione, diciamo, negativa, che appunto ne sottolinea il sacrificio di chi lo compie. Dal francese (travailler) allo spagnolo (trabajar) ai dialetti del nostro meridione dove l’espressione “andare a lavorare” si esprime come l’andare a faticare, a travagliare con diretta discendenza dalle lingue neolatine e accostato all’ancestrale prima fatica del mettere al mondo. In russo e nelle lingue slave lavorare si dice rabotat’ (
работать) sinonimo anche di funzionare e persino di essere schiavo, che ci riporta alla parte meccanica: è il verbo cèco roboti dal quale deriva la parola ròbot, (rigorosamente da pronunciare con l’accento sulla prima “o”) nata dal bellissimo testo teatrale R.U.R., acronimo per Rossumovi univerzàlnì roboti, (I robot universali di Rossum) scritto nel 1920. Ne celebriamo orgogliosamente qui l’anniversario, dal genio di Karel Čapek di cui quest’anno ricorre anche il centotrentesimo dalla nascita, avvenuta il 9 gennaio 1890 a Malé Svatoňovice, nella Repubblica ceca.
Ma il lavoro è anche benessere ed è questa l’accezione a cui dobbiamo far riferimento. Scriveva la psicoterapeuta Giuliana Proietti nel 2013 su Huffpost in un articolo che sembra scritto proprio per questa riapertura e per le esigenze e i bisogni che l’hanno creata: «Per ben 6 italiani su 10 la vera emergenza nazionale non sono le tasse, ma il lavoro. Il dato non stupisce, visto che il lavoro è alla base di una molteplicità di cose: consente la sussistenza primaria, permette decenti condizioni di vita, soddisfa il desiderio di acquistare beni voluttuari, o di concedersi piaceri vari e svaghi…Perché no, il denaro permette anche di pagare le tasse, per avere intorno a sé un sistema di protezione sociale che si interessa dei cittadini e che li soccorre nei momenti di difficoltà, migliorando la qualità della loro vita. L’apprezzamento sociale è infatti fondamentale, perché è in gran parte attraverso di esso che la persona costruisce la sua autostima (se non tenesse conto del giudizio degli altri, ma solo delle sue autovalutazioni, saremmo infatti di fronte ad una sorta di delirio). Cosa è, se non il lavoro, ciò che ci lega alla realtà, che ci dà il senso dell’identità personale (sono un insegnante, un fabbro, un medico, ecc.), che conferisce valore alle nostre capacità, alla nostra appartenenza sociale? È per questo che, in una parola, il lavoro dà la dignità». Fra un mese, quando ci sarà un ulteriore avanzamento di questa lenta apertura alla vita collettiva, quando riapriranno i ristoranti, i negozi di parrucchiere per la cura della persona, per gli incontri, si celebrerà anche la festa della Repubblica: 2 giugno 1946, settantasette anni fa, quando venne scritto che «la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». Che è poi la solenne affermazione che segue quella sulla centralità del lavoro nella creazione del nuovo Paese. Al tema del lavoro si congiungono tanti articoli che leggerete nel numero di oggi della nostra rivista. Abbiamo parlato di smart working con tutta la sua praticità e il suo benefico effetto di snellimento del lavoro e del traffico cittadino. Ma chi in ufficio è costretto ad andarci può trovare interessante leggere, in proposito, come vengono concepiti gli ambienti lavorativi nell’ufficio di oggi, come si trasformano nell’oggi gli ambienti in modo che la giornata di chi lavora si svolga in maniera più facile e, contemporaneamente, più efficiente. Un ricordo di chi per difendere il lavoro è morto è dovuto qui a Pio La Torre, sindacalista onesto e coerente, ucciso a Palermo dalla mafia, insieme a Rosario Di Salvo, suo autista, il 30 aprile del 1982. Inviso a Cosa nostra perché sempre dalla parte degli indifesi, dalla parte dei braccianti, come quelli uccisi il Primo maggio a Portella della Ginestra, una strage ricordata qui la settimana scorsa. E sulla mafia e su un mafioso negativamente noto troviamo qui un articolo. Purtroppo il dramma delle vittime (e non mancano le donne tra le cadute per mafia) chiama i nomi dei loro assassini. Qui si parla di Luciano Liggio, Leggio, in origine. Lucianeddu, spavaldo compare di criminali come Totò Riina, Bernardo Provenzano, Calogero Bagarella.
Ma l’amore per il lavoro, la valorizzazione della nobiltà insita in esso quando è praticato con onestà, riluce dal racconto della splendida vita che, confesso e me ne dispiaccio, ho conosciuto proprio leggendo l’articolo a lui dedicato. Amedeo Peter Giannini è figlio di due poverissimi e giovani migranti italiani negli States, divenuto troppo presto orfano di padre, nonostante le difficoltà affrontate durante la sua brillantissima vita, iniziata nella miseria, coltivando un fazzoletto di terra, senza mai trascurare gli studi e proseguita nel successo delle sue banche, delle sue imprese cinematografiche. Mentre leggevo, la mente o il subconscio, mi ricordavano Frank Capra, un altro figlio di migranti italiani. Ho pensato a quanto ho cominciato ad amarlo, dopo un tentennamento, grazie alle insistenze di un carissimo amico che ora non è più di questa terra. Ho pensato alle scene di La vita è meravigliosa e la mente è andata ai personaggi di Capra e ho trovato una somiglianza notevole con Amedeo Peter Giannini. Andando avanti nella lettura ho scoperto che il banchiere dei poveri, l’uomo che aveva il coraggio di fare prestiti ai meno abbienti, che non lucrava su di loro, ma che seppe aprire filiali in tutta l’America, esigendo la creazione di una apposita legge, finanziò l’umanissimo cinema di Capra del quale ormai era diventato indissolubile amico, perché tutti e due ebbero il merito di «fare dell’altruismo una professione» e furono l’uno il “cineasta degli umili” e l’altro il “banchiere di tutti”. Parlando di cinema ricordiamo (con un articolo) Ermanno Olmi, l’autore dell’indimenticabile L’Albero degli zoccoli. Ma non possiamo tralasciare un altro ricordo, quello di Alfred Hitchcock, un inglese morto a Los Angeles il 29 aprile del 1980. Parlare di questo grande maestro è difficile, perché si è scritto e detto praticamente tutto e la sua silhouette con il ventre gonfio ci è nota come qualcosa di familiare, la stessa familiarità che sentiamo avere con i suoi attori/personaggi, con la grandiosità delle sue figure femminili. Donne anticonformiste, a volte insicure, donne che sanno sfidare la società, figure di madri aggressive e autoritarie e altre passive, donne di una bellezza perfetta, personaggi portati sullo schermo da attrici del calibro di Ingrid Bergman, Margaret Lockwood, Lisa Freemont, la futura principessa di monaco Grace Kelly, Kim Novak, Eve Kendall, la nostra Alida Valli e la misteriosa Marlene Dietrich di Paura in palcoscenico.
Siamo, noi di Vitaminevaganti.com, una rivista paritaria. In nome di questo principio vorremmo chiedere una cortesia e un chiarimento alla Rai. La straordinaria iniziativa de
lascuolanonsiferma che va in onda il primo pomeriggio su rai3 ed è presentata da Edoardo Camurri, è intitolata solo ai MaestriMaestri e Maestre non sarebbe stato ugualmente bello e avrebbe fatto giustizia alle tante Maestre di grande valore intellettivo che sono intervenute e interverranno nel programma? Ha fatto giustizia Gad Lerner che mercoledì sera ha dedicato l’intera puntata dell’altrettanto bellissimo programma (La scelta. I partigiani raccontano), nonostante il maschile nel titolo, alle donne partigiane. C’erano Gianna Radiconcini, 93 anni, e Marcella Ferrari, Teresa Vergalli che combatté tra le colline di Reggio Emilia, appena sedicenne, Ida Valbinesi (95 anni) di Forlì, organizzatrice allora dei Gdd, i Gruppi di difesa della donna e infine la pacifista Lidia Menapace, che non ha mai usato le armi, ma portava, da staffetta, l’esplosivo per far saltare ponti e strade di accesso ai tedeschi.
Con tutte queste donne, insieme alle altre ricordate in questo numero di Vitaminevaganti.com, ci avviamo verso questa rinascita prossima. Alle donne come Maria Montessori, a tutte le artiste dell’arte astratta (nata proprio dal pennello femminile della svedese Alma Af Klint) alle suffragette della Parade del 6 maggio 1912, a Elizabeth Bishop, degli Incontri impossibili, alla Napoli, amata, con il suo Vesuvio,  della coraggiosissima amica Rosanna Oliva De Conciliis, a quelle donne e ragazze che insieme ai loro compagni si cimenteranno ai fornelli in questo lockdown che continua ancora, per provare la ricetta di oggi (risotto alle erbe).
A loro dedichiamo questo Primo maggio appena trascorso. A tutte e a tutti una buona rinascita al lavoro e alla vita che ne dipende, e chiaramente
una buona lettura ancora a tutte e tutti.

 

 

Editoriale di Giusi Sammartino

aFQ14hduLaureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpreti; Siamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.

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