Conoscere la LIS

La sordità è «la riduzione o mancanza della capacità mono o bilaterale di percepire i suoni. I deficit uditivi (ipoacusie) possono essere distinti, a seconda della loro origine, in tre forme principali: di trasmissione (o di conduzione), neurosensoriali e misti». Parliamo di sordità e di sordi, sebbene spesso questi termini – considerati troppo crudi – siano oggetto di correzioni, si preferisce parlare quindi di minorazione uditiva, audiolesione, anacusia, otologopatia e il sordo diventa un minorato dell’udito, non udente, anacusico, portatore di deficit uditivo. I sordi sono invece orgogliosi di questa denominazione. Al contrario, è scorretto nonché fonte di equivoci il termine ‘sordomuti’: ciò che non si ode non può essere riprodotto sia per la mancanza di modelli sia per l’impossibilità di controllare la precisione nell’esecuzione, ma i sordi non sono muti, al contrario attraverso un percorso logopedico possono imparare a parlare correttamente. «Non il linguaggio parlato è naturale per l’uomo, ma la facoltà di costruire una lingua» scriveva Ferdinand De Saussure nel 1968, sottolineando così che, in una prospettiva socioculturale, a prescindere dal linguaggio adottato, ogni persona comunica quando veicola un messaggio. La cultura sorda tuttavia è stata ghettizzata fin dai secoli scorsi, quando si vietava loro alcuni diritti civili fondamentali come fare testamento, stipulare contratti, rendere testimonianza e, ancora, quando l’istruzione obbligatoria imponeva loro di frequentare istituti speciali e di essere educati con il solo metodo orale. «Il gesto uccide la parola. Viva la parola, viva la parola pura» è infatti la frase che chiude il Congresso di Milano del 1880, in cui si sottolineava la netta superiorità della parola articolata sui gesti: l’unico modo per istruire i sordi diventa quello orale, con il divieto di segnare e, tra le altre cose, di votare. Nei dormitori, nei cortili, nei convitti degli Istituti però, la lingua naturale dei sordi continua a circolare, anche se ufficialmente questa era scomparsa dalle classi, lingue diverse perché non articolatorio-acustiche, ma lingue dei segni. Le lingue dei segni sono visivo-gestuali, che sfruttano il canale integro della vista che percepisce i gesti, o meglio, i segni. Non esiste una lingua dei segni universale, esistono invece lingue diverse da paese a paese: ASL (American Sign Language), LSF (Langue des Signes Francaise), la BSL (British Sign Language), la LIS (Lingua dei Segni Italiana); possono inoltre coesistere dialetti all’interno dello stesso paese. Purtroppo non è ancora stata riconosciuta come lingua in Italia, ma è espressione di una comunità, quella dei sordi italiani, e quindi una vera lingua dal punto di vista sociologico. Nel 1960 il primo ad avviare gli studi sulle lingue dei segni, e in particolare sulla ASL, fu il linguista William Stokoe, che iniziò a descriverle da un punto di vista linguistico e antropologico. Stokoe riconobbe la natura linguistica dell’alfabeto dei segni, quella che ha preso poi il nome di dattilologia e che si utilizza per specificare il nome di un posto o di una persona o per esprimere parole che ancora non hanno un segno. Il linguista scompose la lingua in unità minime fondamentali, anche nelle lingue vocali; secondo la sua analisi linguistica, un segno si può scomporre in riferimento a tre parametri: la posizione delle mani nello spazio (luogo), la configurazione assunta dalla mano, il movimento per eseguire il segno, cui venne poi aggiunto l’orientamento del palmo. 

mamma

Il segno ‘mamma’ ad esempio, si esegue con la mano posta vicino la guancia in configurazione ‘A’, orientata verso il volto e con un movimento diretto verso la guancia stessa, ripetuto due volte. Ai parametri si aggiungono componenti non manuali quali la postura delle spalle, le componenti orali e l’espressione del volto, fondamentale quest’ultima per esprimere l’intonazione e distinguere quindi tra un’affermazione, una domanda e un ordine. In Italia, a Roma, i primi studi nascono tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta intorno all’Istituto di Psicologia del CNR – oggi Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione – con nomi quali Volterra, Caselli, Santarelli, Corazza, Franchi, Radutzky, che danno inizio agli studi su quella che poi ha preso il nome di Lingua dei Segni Italiana. La LIS ha struttura, grammatica, lessico propri, i verbi non si coniugano in base al tempo e la concordanza non si basa sul genere, ma sulla posizione nello spazio in cui i segni sono realizzati; il plurale si realizza in modo diverso a seconda dei segni. Queste sono solo alcune delle caratteristiche della LIS, ma è chiaro che questa non è una traduzione dell’italiano in gesti, ma una lingua a tutti gli effetti, ‘italiana’ perché propria della penisola italiana: da qui la decisione di porre il termine ‘italiana’ dopo lingua dei segni. La LIS non è la lingua esclusivamente dei sordi, ci sono sordi segnanti e sordi non segnanti, la utilizzano gli udenti figli di sordi, conosciuti come CODA (Children of Deaf Adults), e coloro che hanno imparato la lingua dei segni per motivi personali o di lavoro, come assistenti alla comunicazione e interpreti. La LIS, prima utilizzata in ambiti ristretti, è oggi studiata da tanti udenti e sul territorio diversi Enti tengono corsi di formazione, ricordiamo l’ENS (Ente Nazionale Sordi), l’AES (Accademia Europea Sordi), il Gruppo SILIS (Gruppo per lo Studio e l’Informazione sulla Lingua dei Segni Italiana). Come già Stokoe aveva intuito negli anni Sessanta, le lingue dei segni permettono di comunicare qualsiasi messaggio e oggi possiamo assistere a musical, poesie, canzoni in LIS fatte da sordi o da interpreti performers. In Italia siamo ancora lontani dall’approvazione del riconoscimento della lingua dei segni, il DDL numero 332 sull’inclusione delle persone sorde era stato approvato dal Senato il 3 ottobre 2017. Il provvedimento, che avrebbe garantito anche l’utilizzo della lingua dei segni nei rapporti con le pubbliche amministrazioni, con gli enti locali, nei procedimenti giudiziari e l’insegnamento nelle scuole è stato approvato solo dal Senato e non dalla Camera. Successive proposte di legge non hanno ancora portato a provvedimenti concreti. 

Bibliografia

  • Ardito B., Giochi di segni e parole, FrancoAngeli, Milano, 2013 
  • Bosa R., Maragna S., Tomassini R., L’assistente alla comunicazione per l’alunno sordo, FrancoAngeli, Milano, 2007
  • Camaioni L., Di Blasio P., Psicologia dello sviluppo, il Mulino, Bologna, 2007
  • Cardona T., Volterra V., Le lingue dei segni, Carocci Editore, Roma, 2007 
  • Favia M.L., Una scuola oltre le parole. Comunicare senza barriere: famiglia e istituzioni di fronte alla sordità, FrancoAngeli, Milano, 2012
  • Franchi E., Musola D., Percorsi di logogenia/1, Cafoscarina, Venezia, 2012
  • Maragna S., La sordità, Hoelpi Editore, Milano, 2004
  • Massoni P., Maragna S., Manuale di logopedia per bambini sordi, FrancoAngeli, Milano, 2001
  • Rossi D., Il mondo delle cose senza nome, Bompiani, Milano, 2010
  • Yule G., Introduzione alla linguistica, il Mulino, Bologna, 2008
  • Sacks O., Vedere voci, Adelphi, Milano, 1990
  • Saussure F., Corso di linguistica generale, Laterza, Bari,1976
  • Sordità, Treccani, http://www.treccani.it/enciclopedia/sordita/

 

Articolo di Alessia Bulla

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Laureata magistrale in Letteratura italiana, Filologia moderna e Linguistica, ha una seconda laurea in Logopedia. È particolarmente interessata allo studio sincronico e diacronico della lingua italiana, alla pragmatica cognitiva e alla linguistica, che insegna in aerea sanitaria presso l’Università di Roma Tor Vergata.

 

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