Con la riapertura di gallerie e musei, anche Palazzo Pitti si offre in tutto il suo splendore ai/lle residenti e a viaggiatori e viaggiatrici: con un unico biglietto è possibile accedere agli spazi espositivi, ad esclusione del Tesoro dei granduchi e al Museo delle porcellane. Ma quello che più ci interessa da vicino – vista anche la chiusura il 28 giugno – è la straordinaria opportunità di visitare la mostra dedicata all’artista seicentesca Giovanna Garzoni, dal titolo suggestivo La grandezza dell’universo. La mostra – curata da Sheila Barker e situata nell’Andito degli Angiolini – doveva essere inaugurata lo scorso 10 marzo come degna celebrazione della festa della donna, ma poi tutto si è bloccato. Perciò chi è di passaggio a Firenze in questo giugno è bene che ne approfitti perché si tratta di una vera rarità: è infatti la prima monografica della pittrice marchigiana. E un bel progetto dell’associazione Advancing Women Artists invita artisti/e di oggi a trarre ispirazione dalle sue opere.
Si possono ammirare circa cento lavori fra miniature su pergamena, dipinti, disegni e opere tessili di una creatrice fuori dagli schemi, interprete sensibile del suo tempo, poco nota al grande pubblico, ma originale e moderna.
Le vicende della sua vita la portarono a frequentare gli ambienti all’epoca più colti e moderni, ottenendo la stima di molte famiglie regnanti; fu a Londra alla corte di Carlo I e a Parigi, dove ritrasse il cardinale Richelieu, fu a Venezia, Napoli, Torino, Firenze, fu amica di Artemisia Gentileschi con cui collaborò e viaggiò; finché si fermò gli ultimi anni a Roma dove morì nel 1670. Ebbe l’onore unico per una donna artista di essere sepolta nella chiesa dell’Accademia di San Luca, il più esclusivo circolo di pittori, scultori, architetti della capitale. In questi soggiorni, passando fra salotti e corti, Giovanna ebbe modo di assorbire le esperienze in voga e soprattutto la recente passione per l’esotismo, frutto delle spedizioni di missionari, esploratori, viaggiatori, commercianti che riportavano dalle Americhe, dall’Oriente, dall’Africa manufatti, spezie, animali rari. Poté quindi conoscere personalmente meraviglie di raffinatezza e perfezione, come le porcellane cinesi, le conchiglie della California, i fiori messicani, i cagnolini più amati dalla nobiltà inglese. Tutto questo divenne spunto per le sue opere e nell’esposizione è stato creato un dialogo fra i sui lavori e le fonti dell’ispirazione; ecco quindi visibili a confronto nelle teche vasi, tazze, conchiglie, incisioni.
Insuperabile fu nelle raffigurazioni botaniche ispirate a quelle di Jacopo Ligozzi: davanti ai nostri occhi stupìti si susseguono fichi maturi, ciliegie, pomi, meloni aperti a mostrare la polpa succosa, accompagnati da minuscole mosche, cavallette, bruchi, lucertole, farfalle per lo più in cesti alla maniera delle tradizionali nature morte, ma con una accuratezza dei dettagli, dei colori, delle varie fasi della maturazione da risultare originali e bellissime.
Nella mostra fiorentina si può ammirare anche un eccezionale paliotto lungo circa quattro metri da lei realizzato in preziosa seta con applicazioni e dipinti che raffigura al centro il Dio creatore e tutto intorno le specie più varie di fiori: tulipani (allora di gran moda e preziosissimi), rose, narcisi, peonie, intrecciati con rami e foglie, da cui fanno capolino piccole fragole rosse.
Il suo celebre ritratto della cagnolina si potrebbe definire “parlante”: seduta su un elegante tappeto rosa, ci guarda un po’ perplessa con i suoi occhioni spalancati e un collare assai importante, decorato da campanelli, mentre ha di fronte una tazza in raffinata porcellana bianca e due biscotti golosi, su cui si poggiano due mosche, tanto vere da venir voglia di scacciarle.
Non mancano in mostra i vasi ricolmi di fiori, piante da erbari con le radici in vista, le raffigurazioni di umili ortaggi e verdure: carciofi, zucche, fagioli sgranati che prendono vita e sembrano pronti per arrivare nelle nostre cucine.
Straordinario per la ricchezza di dettagli della modesta realtà quotidiana il ritratto detto del Vecchio di Artimino in cui un anziano contadino della campagna toscana tiene in braccio due galline, ha vicino il cane, la cesta con le uova, la fiasca del vino, il prosciutto iniziato, il salame, una forma di pecorino e i prodotti del suo orto, fra cui l’uva e i cardi.
Ma vediamo di conoscere meglio questa artista che ci desta così tanta meraviglia. Era nata nel 1600 ad Ascoli Piceno da genitori di origine veneziana; la madre proveniva da una famiglia di orafi e uno zio era pittore, è quindi molto probabile che Giovanna abbia fin da piccolissima vissuto in un ambiente vivace culturalmente e indirizzato verso le arti. Nel 1622 sposò un miniaturista, Tiberio Tinelli, ma le nozze furono annullate dopo due anni; sembra che Giovanna si fosse votata alla castità perché una triste profezia le avrebbe preannunciato la morte di parto. Un’altra versione dice invece che Tinelli era accusato di praticare la magia e il padre della giovane temeva per la sua incolumità, quindi operò per far annullare il matrimonio. Sappiamo che prese lezioni di calligrafia dal maestro Giacomo Rogni e cominciò presto a viaggiare, spesso insieme al fratello Mattio. Dopo Venezia, trascorse un anno a Napoli, dove ebbe la protezione del vicerè spagnolo, duca di Alcalà, poi passò da Roma, quindi fu chiamata a Torino dove eseguì il ritratto di Cristina di Francia e altri ai membri della casata Savoia alla maniera fiamminga; ebbe l’onore di essere nominata Miniatrice di Madama reale. Viaggiò all’estero, cosa non comune per l’epoca e per le donne, riuscendo ad essere indipendente e apprezzata, senza avere vicino mecenati né uomini influenti; quindi per dieci anni fece sosta a Firenze (1642-51). Qui la famiglia Medici le fece realizzare vari ritratti e trionfi di frutta e fiori; ma destarono stupore soprattutto le sue miniature di dipinti celebri che le conquistarono grandi favori. Si sa che le venne addirittura concesso di portare a casa La Madonna della seggiola di Raffaello perché potesse lavorare con tutta la concentrazione e il tempo necessario. Nel 1651 si trasferì a Roma dove ben presto fu ammessa alla prestigiosa Accademia di San Luca a cui alla morte lasciò tutti i suoi beni e un album di miniature. Un medaglione di Giuseppe Ghezzi decora il suo monumento funebre nella chiesa dei Santi Luca e Martina. Negli ultimi anni di vita fu ritratta da Carlo Maratta, importante pittore e restauratore, ed è questa l’immagine che ne resta: una signora anziana, molto distinta, austera ma appena sorridente, con un abito sobrio e un panno nero a coprirle la testa.
L’opera- presente a Firenze – è di solito esposta nella pinacoteca della città natale dove una via la ricorda (rua Giovanna Garzoni, in foto); due strade le sono dedicate anche a Roma e a Napoli.
Può essere interessante, prima di concludere, ricordare che all’epoca altre artiste europee fecero un percorso simile a quello di Giovanna intrecciando arte e natura, botanica e scienza: la francese Louise Moillon (1615-75), l’olandese Clara Peeters che amava dipingere pesci in maniera assolutamente veritiera, con le squame lucide come specchi, la naturalista tedesca Maria Sibylla Merian che preferiva ritrarre insetti, falene, farfalle; sempre nei Paesi Bassi, nel cosiddetto “secolo d’oro”, tre importanti pittrici specializzate in nature morte furono: Rachel Ruysch (madre di dieci figli, attiva fino a oltre gli ottanta anni), Judith Leyster (abile anche come ritrattista), Maria von Oosteriwyck che raffigurava fiori per lo più in chiaro-scuro e volle dedicare la vita completamente all’arte, rifiutando il matrimonio e impartendo lezioni di pittura alla servitù. Donne accomunate dalla passione per l’arte, ma anche moderne e indipendenti, votate al loro lavoro e consapevoli delle proprie capacità.
Articolo di Laura Candiani
Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume e Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.