Ho conosciuto Simona nella speciale situazione dell’esplosione dell’antiracket a Capo d’Orlando, nel 1992, quando eravamo la prima popolazione che si liberava, ribellandosi all’omertà dell’estorsione con l’Acio (Associazione commercianti e imprenditori orlandini).
Riflettevo su come la forma organizzata dell’antiracket contro la violenza estorsiva, potesse essere affiancata all’associazionismo femminile contro la violenza di genere, nella costituzione di parte civile, nella solidarietà e nel sostegno in rete.
In paese si era formato un gruppo di donne, per lo più insegnanti, che avevano colto il significato storico ed educativo della lotta contro l’omertà con il ricorso alla denuncia e si erano attivate per dare il proprio contributo civico originale, nel senso della specificità femminile nelle questioni di cultura sociale, familiare e scolastica.
Considerando che l’istituzione scolastica è il settore dove il lavoro di cura e il rapporto madri-figli viene riproposto e attinge alla norma sociale della trasmissione delle tradizioni, della cultura e dei modelli di comportamento, si pensava che spettasse specialmente alle donne attivare modalità e strumenti per opporsi al disagio: la criminalità organizzata finisce di fatto con l’uccidere i loro uomini, la loro prole, e anche loro stesse.
Invitammo quindi le Donne del Digiuno e l’Associazione Donne Siciliane contro la mafia che, a Palermo, pubblicavano la rivista “Mezzocielo”. Arrivarono in una decina a darci sostegno, conforto e manforte, fra loro Simona Mafai e Letizia Battaglia, Piera Fallucca e tante altre.
Per Simona fu come ritrovare aspetti del suo vissuto di antifascista. In quei nostri discorsi coglieva come nella marginalità femminile fosse identificata la marginalità degli individui che non si lasciano irreggimentare, estorcere, minacciare, che fondano la ribellione nella comunità dei simili. Proseguimmo in un costante rapporto di scambio e di visite con il capoluogo, con un programma d’intervento in paese e nelle scuole, anche dei paesi limitrofi. Furono stilati progetti di educazione alla legalità in varie materie scolastiche, organizzate conferenze sul ruolo della donna nella società, manifestazioni pubbliche “per non dimenticare”, rivolti inviti alle nuove sindache antimafia, in quegli anni numerose, incontri di approfondimento con specialiste e specialisti, come la magistrata Alessandra Camassa, Giuseppe Casarrubea, Renate Siebert, Dacia Maraini, ecc.
I nostri rapporti continuarono negli anni, radi sì, ma impostati al relazionarsi sincero, affettuoso, luminoso, tanto che mi propose un genere di confessione da pratica di autocoscienza poco consona alla sua personalità politica istituzionale: «Io sono un po’ troppo fedele e quindi, indirettamente, conservatrice poco mobile: lo ritengo più un difetto che un pregio. Comunque sono contenta di contribuire ancora un po’ a “Mezzocielo”. Non come prima, perché bisogna consentire al nuovo gruppo di esprimersi senza “il fiato sul collo”. Ma insomma ci sono sempre». Infatti, i suoi articoli di fondo costituivano l’analisi più azzeccata della situazione politica regionale e nazionale, in uno stile innegabilmente limpido, elegante, concretamente analitico. La sua generosità intellettuale camminava su storiche certezze interiori (aveva fatto la partigiana diciassettenne a Roma) e a lei per prima era stato affidato il compito di trascrivere le lettere dal carcere di Gramsci.
Ci rivedemmo nel 2004 a un convegno, in seguito al quale mi scrisse: «Abbiamo parlato di Gramsci e di Lo Sardo verso cui ho una reverenza indicibile (era di Naso, lo sai?). Ho scritto un ricordo di lui, pubblicato su 109 l’anno scorso e mi ha molto commosso. Mi pareva di cogliere negli occhi dei vecchi compagni quel flusso straordinario di speranze di futuro che ha riempito la loro e la mia vita, e insieme la desolazione e la tristezza per le delusioni subite, per le certezze che non possono esserci più».
Nel 2007 pubblicava il libro Riflessioni sulla storia della Sicilia dal dopoguerra ad oggi e invitava all’Istituto Gramsci di Palermo un gruppo di intellettuali a riflettere sugli accadimenti seguiti alla Liberazione, per individuare gli snodi che hanno condizionato la vita di tutte e tutti noi.
Quando mi fu richiesto di stilare una proposta di cittadinanza onoraria per lei, dovetti informarmi sul suo curriculum, così seppi del suo lavoro politico nell’immediato dopoguerra, nel settore tessile veneto di Valdagno, poi in Sicilia con le rivendicazioni delle gelsominaie del milazzese, e dei comunisti nei vari paesi dell’allora forte federazione del Pci dei Nebrodi e che era stata senatrice nel governo Prodi.
Nel 2011 avviò il lavoro di organizzazione di un Memoriale per la riemersione e il recupero della memoria storica dell’on. Francesco Lo Sardo, primo comunista siciliano eletto al Parlamento regio e lasciato morire nelle carceri fasciste a Turi, dove si trovava con Gramsci. Per l’inaugurazione donò al museo un prezioso documento, una fotografia del 1886.
Nella mia biografia su Teresa Fazio, moglie di Lo Sardo, ha poi scritto una bella presentazione.
Chiarisco l’idea che Simona aveva della storia delle donne, anche della sua stessa biografia, (Un incantesimo lungo una vita): per lei micro e macro storia si fondono e si intersecano con rimando continuo fra vita personale e storia sociale, riconciliando due classici filoni storici, quello della donna di partito e quello della femminista.
Simona si colloca nella tendenza creativa che definisce la scrittura femminile come «un senso di collettività specifica» e non individualistica biografia privata. Infatti, con la coautrice Giovanna Fiume si definirono scrivane per conto terzi, per le altre donne, nelle vicende, nelle vite, rifiutando di definirsi romanziere e scrittrici. Perciò come scrivane cercavano di riconoscere una forma di futuro nel loro racconto di vita, di trovare una continuità generazionale nella storia delle donne, di consegnare la memoria alle donne del futuro.
La sua intera storia di vita è ispirata a un intransigente principio di coerenza che corazza i sentimenti, controlla i desideri, ma diventa una specie di religione laica del fare per cambiare le cose, affermando principi di giustizia sociale e assumendosene la piena responsabilità.
Il suo esempio mi fa credere fermamente che la conoscenza dei fatti storici e del pensiero storico, che in passato si sono opposti ai progetti di dominio assoluto in politica, possano opporsi anche oggi e in futuro. E abbiamo il dovere di crederlo.
A Simona Mafai, (5 luglio 1928 – 16 giugno 1919), sentinella di democrazia, dedico una poesia tratta La giostra stravolta di Franca Bellucci, perché la riconosco fra
I rifondatori
[…]
Nella mente li vedo, con tremore confuso,
diverso uno ad uno
nella storia di vita
questi rifondatori del convivere
uomini e donne,
ma ugualmente vivi nello sguardo
perché orizzonti assaporano intensi
di una vita che è grande oltre la loro,
una via che ha senso
che prescinde da fine, contributo
aperto a contributi.
Al silenzio sono pronti.
[…]
Articolo di Franca Sinagra
Pubblicista (Odg-Sicilia) e scrittrice, vive da molti anni a Capo d’Orlando (Messina), dove si dedica ad attività culturali e al recupero storico del territorio. Formatasi a Trento e Padova con laurea in materie letterarie, ha insegnato nelle scuola statale.