Di brodi abbiamo parlato. Ma non di tutti. Alle volte ci si trova per le mani qualche pezzo di pescato che non è detto che debba per forza finire in zuppa, o arrosto oppure fritto. Fra questi ne esiste uno che era candidato a finire in pentola ed essere mangiato lesso e condito. Brutto come uno spavento a morte ma buono come un giorno di festa. Era il San Pietro o ascia d’argento, che nel brodo dava il meglio di sé (foto in alto).
In una pentola capace, metti il suo fondo d’olio con due spicchietti di aglio, saltati e buttati oppure spremuti, e mandi col fuoco allegro. Una volta finito con l’aglio, inserisci dentro una cipolla, un mazzo di prezzemolo, un gambo di sedano, un peperoncino e due bei pomodori San Marzano spaccati a metà. Quando il fumetto comincia a mollare gli odori butta dentro il San Pietro. Dopo di che metti acqua fino a coprire, porta a bollore e abbassa il fuoco. Che il pesce sia almeno un chilo, con o senza testa, e dopo una ventina di minuti e il San Pietro è cotto. Lascialo riposare un paio di ore coperto e anche il brodo è fatto.
Ma quando è cotto con cosa lo si condisce? Olio, sale e pepe nero macinato al momento è già una soluzione. Ma nella mia infanzia la storia era diversa.
La mia mamma prendeva un tazza di quelle da colazione, ci metteva un paio di tuorli e con un cucchiaino girava e girava mandando giù l’olio a filo fino a montare la maionese, quando era bella alta e lucida ci spremeva un limone sopra, dava un altro paio di giri, ed era pronta. E, finita la maionese, andava a controllare che il brodo non si asciugasse, assaggiava e raddrizzava di sale se serviva.
Usava l’olio d’oliva e veniva una maionese di un giallo intenso quanto il suo profumo, niente a che fare con quella dei barattoli da supermercato. E dopo aver coperto il pesce e, spesso, aver condito un’insalata russa d’accompagno, lasciava la tazza a me e mia sorella che, con pane e dita, pulivamo a dovere.
Il brodo non si butta. Mai. Lo puoi retringere e tirarci un risotto il giorno dopo, puoi metterci degli spaghetti spezzati e usarlo come primo piatto e puoi buttarci dentro dei ravioli con il ripieno di mare. Tanto per tirarsela da cuochi sopraffini.
Il San Pietro è il top, ma il brodo viene anche con altro pesce. Cernia, gallinelle e cocci, scorfano (levate la cresta – foto al centro), coda di rospo (senza testa – foto in basso), tracina e, per gli stomaci forti, carpa e tinca che però danno un brodo dal tipico sapore del pesce di fiume, da bastonare con un po’ di odori in più. Timo soprattutto ma anche menta di campo evitando il mentastro che è velenoso, ma puzza, quindi si riconosce. Ma il metodo spiegato non va bene se usi pesce piccolo o di paranza, devi usarne un altro e ricordarti di non usare pesce azzurro se non apprezzi il tono deciso del suo sapore.
Una volta fatto e mangiato, non lo scordi più. È come se il sapore e l’odore ti rimanessero impressi in un angolo della memoria che si trova nel naso.
E appena tenterai di cucinare una zuppa, un sugo di mare, un risotto, quel brodo diverrà irrinunciabile.
Un’alzata di ingegno per le vigilie di festa è usare San Pietro e coda di rospo insieme e, a fine cottura, mettere nella minestra la coda tagliata a dadini.
Ricordatevi che il brodo, essendo di pesce, va salato piano piano da metà cottura in poi e dopo aver assaggiato.
Articolo di Fabrizio Samorè
Sposato, quattro figli che vanno, che tornano, che si perdono ormai nel mondo. Camperista ogni volta che si può. Una famiglia di cucinieri a vario livello e in vari luoghi del mondo, una passione per la buona tavola che non ha mai voluto trasformare in “mestiere”. Dirigente sindacale, mescolato con le battaglie sui diritti delle donne fin dalla pubertà.