Mary Edmonia Lewis è stata la prima donna di origini afro-americane e native americane a ottenere fama e riconoscimento a livello internazionale come scultrice. Al patrimonio nativo unì il neoclassicismo europeo e l’iconografia cattolica romana in una combinazione davvero unica e originale.
Vogliamo ricordarla non solo perché in questi giorni ricorre il suo anniversario di nascita, ma anche perché ha vissuto e lavorato per gran parte della sua vita a Roma e, non ultimo, perché la sua opera, ispirata dalle vite degli abolizionisti e degli eroi della guerra civile, per i quali ha realizzato busti e ritratti, risulta in questi giorni tristemente attuale. Arrivano dagli States notizie di violenze e di proteste antirazziste, di statue simbolo del potere schiavista abbattute, di storici, generali, sindaci responsabili di violenze sulle minoranze che perdono il loro trono nelle piazze americane, e l’opera di questa donna, vittima anche lei di discriminazioni razziali, ci è sembrata ancora più meritoria.
In tutti gli Stati Uniti ci sarebbero 1.503 simboli degli Stati schiavisti nei luoghi pubblici. Dal 2015, dicono le stime riportate dal “New York Times”, almeno 138 sono stati rimossi, conservati o spostati altrove. Ora il movimento di protesta, nato dopo l’omicidio di George Floyd, chiede di riscrivere tutta l’iconografia di piazze, giardini e strade.
Edmonia Lewis (New York, 4 luglio 1844 – Londra, 17 settembre 1907), figlia di padre haitiano e di madre appartenente a una delle più grosse popolazioni native del Nord America (ora Canada), rimasta orfana a nove anni, fu allevata dalle zie materne che vendevano prodotti artigianali a turisti/e in visita alle cascate del Niagara. Fino all’età di dodici anni ha fatto una vita libera, pescava, nuotava e lavorava cestini e mocassini. Poi fu mandata a scuola, dove venne dichiarata selvaggia. Fu il fratellastro, nato da un primo matrimonio del padre, minatore d’oro in California e poi barbiere, a pagarle gli studi all’Oberlin College. Questo era il primo college integrato in America, che ammetteva donne e persone di etnie diverse, qui cominciò a studiare arte, ma, nonostante l’apertura e il carattere progressista del college, fu soggetta a episodi frequenti di razzismo. Accusata di aver avvelenato due compagne, fu assolta, ma subì una violenta aggressione da parte di sconosciuti. Circa un anno dopo il processo per avvelenamento, fu accusata di aver rubato del materiale al college. Ancora una volta assolta, le fu però proibito di iscriversi per il suo ultimo anno, non riuscì quindi a laurearsi e fu costretta a lasciare la scuola. A Boston iniziò la sua carriera di scultrice. Trovare un insegnante, tuttavia, non fu facile. Tre scultori si rifiutarono di istruirla prima che venisse presentata a Edward Augustus Brackett, uno scultore che aveva tra i clienti alcuni dei più famosi abolizionisti dell’epoca. Lewis, sostenuta dal movimento e dalla stampa abolizionista, lavorò con Brackett fino al 1864, specializzandosi in busti per ritratti.

I primi lavori, che ebbero molto successo, erano ritratti a medaglione degli abolizionisti John Brown e William Lloyd Garrison. Il busto che realizzò per il colonnello Robert Gould Shaw, comandante di un reggimento nella guerra civile afroamericana del Massachusetts, con la scritta Martyr for Freedom sulla base, per la sua somiglianza piacque talmente tanto che ne dovette fare cento riproduzioni in gesso.

Il successo e la popolarità di queste opere le permisero di sostenere, nel 1866, il costo di un viaggio a Roma, dove, essendo il razzismo meno pronunciato, poté godere di una maggiore libertà sociale, spirituale e artistica e continuare serenamente la sua formazione. Ispirata dalle rovine del mondo antico, adottò lo stile neoclassico. A Roma si convertì anche al cattolicesimo e, avendo simpatia per tutte le donne che nella loro vita avevano sofferto, ebbe molto cara la figura della Vergine Maria. Entrò in una cerchia di artisti espatriati e stabilì il proprio spazio all’interno dell’ex studio di Antonio Canova. Iniziò a scolpire il marmo, lavorando in modo neoclassico, anche su temi e immagini relative al popolo indiano nero e americano, che rappresentava in abiti drappeggiati, piuttosto che contemporanei.

Per l’esposizione a Filadelfia del 1876, che celebrava i cento anni dalla nascita degli Stati Uniti, realizzò una Cleopatra morente, raffigurata in modo scarmigliato, inelegante, lontano dalla rappresentazione stereotipata. Non sorprende nemmeno che abbia eliminato le figure di fedeli schiavi, solitamente rappresentati mentre assistono la regina nel momento della morte. Fu la sua risposta alla cultura del Centenario, che celebrava i cento anni di costruzione degli Stati Uniti attorno ai principi di libertà e democrazia, nonostante secoli di schiavitù e la guerra civile. Dopo essere stata messa in deposito, la statua ha subìto varie traversie, ha segnato anche la tomba di un cavallo da corsa chiamato “Cleopatra”, ebbe poi ingenti danni per mano di ragazzi che la dipinsero e la danneggiarono. Dal 1994 è conservata allo Smithsonian American Art Museum, riportata al suo stato quasi originale dopo le ricostruzioni di naso, sandali, mani e mento.

In Old arrow maker, 1866, un padre nativo americano insegna a sua figlia come fare una freccia. Sono vestiti con abiti tradizionali e la figura maschile ha caratteristiche facciali riconoscibili dei nativi, mentre nella figura femminile sono state rimosse.

Forever Free, 1867, raffigura un uomo in piedi, che solleva il braccio sinistro in aria, sul cui polso è avvolta una catena; poggia la mano destra sulla spalla di una ragazza che inginocchiata giunge le mani per pregare. Vuole rappresentare l’emancipazione degli schiavi afroamericani dopo la guerra civile. Lewis rompe gli stereotipi ritraendo la donna completamente vestita mentre l’uomo è parzialmente vestito. Edmonia era consapevole che il suo pubblico in gran parte era bianco, per questo le sue figure femminili in genere possiedono caratteristiche europee.

Agar, personaggio della Genesi, è rappresentata con le mani giunte in preghiera e lo sguardo leggermente verso l’alto. Schiava della moglie di Abramo, Sarah, che, non potendo concepire un bambino, concesse Agar ad Abramo in modo che potesse avere un figlio da lei, diede alla luce il figlio primogenito di Abramo, Ismaele. Sarah, dopo aver dato anche lei alla luce suo figlio Isacco, fece gettare Agar nel deserto. Lewis, che ha sempre rappresentato donne storicamente forti, come Cleopatra, o donne normali in situazioni eccezionali, sottolineandone la forza, usa Agar per simboleggiare la madre africana, le donne africane abusate.
Verso la fine del 1880 il neoclassicismo declinò in popolarità.
Lewis non si sposò mai e non ebbe figli conosciuti. Ha continuato a scolpire nel marmo, creando opere per i committenti cattolici romani. Nel 1901 si trasferì a Londra, dove visse nella zona di Hammersmith fino alla morte. È sepolta nel cimitero cattolico di St. Mary, a Londra. Secondo alcune teorie sarebbe invece morta a Roma o in California.
Lewis fu certamente un’anomalia all’interno di una comunità borghese e aristocratica prevalentemente bianca, ma fu apprezzata perché sapeva plasmare la materia con grande maestria e infondere nelle sue opere profondità di significato, unendo alle tematiche razziali i richiami al mondo antico e all’arte neoclassica.
In copertina: Mary Edmonia Lewis
Articolo di Livia Capasso
Laureata in Lettere moderne a indirizzo storico-artistico, ha insegnato Storia dell’arte nei licei fino al pensionamento. Accostatasi a tematiche femministe, è tra le fondatrici dell’associazione Toponomastica femminile.
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