Racconti. La verità vuole essere trovata

Il racconto di Morena Garro, La verità vuole essere trovata, ha ottenuto il “Primo premio per le classi terze” tra i racconti giunti dal Centro-Sud nell’ambito della sezione Narrazioni del “Concorso nazionale Sulle vie della parità”. Partendo dall’incipit n.3 sviluppa una storia complessa dove una storia di violenza di genere si intreccia con un rapporto intenso tra fratello e sorella ma anche con la confusione dell’adolescenza, che rende difficile riconoscere ed esprimere emozioni e sentimenti. Morena ha frequentato la terza A del liceo classico Matteo Raeli di Noto e il suo lavoro è stato seguito dalle insegnanti Venera Parisi e Concettina Raudino.

La verità vuole essere trovata

Incipit n. 3

Alla fine mi è toccato guardarmi allo specchio. E giuro che non lo volevo fare. Avrei preferito girare un po’ su Instagram, vedere che c’è di nuovo, o al limite scendere da casa e fare una corsa al parco. Sudare mi ha sempre fatto bene, fin da bambino. Però lo specchio mi dice che se riuscissi a raccontare tutto, fino in fondo, sarei per una volta dalle parti della verità.

In realtà, lo specchio mi dice innumerevoli cose. Sono io che decido di non ascoltarlo, perché ho paura di quello che posso scoprire se solo smetto di lasciare che le parole mi scivolino addosso, senza dar loro il giusto peso. In fondo, le parole dello specchio sono le mie: quelle che non escono quasi mai, che rimangono dentro. E a un certo punto non c’è nessun giro su Instagram e nessuna corsa che mi permetta di ignorarle. Continueranno a riecheggiare nella mia testa e a tormentarmi finché non deciderò di spezzare il ritmo frenetico della mia vita per guardarmi dentro. Raramente trovo il tempo per farlo e, in tutta onestà, quando ce l’ho cerco di impegnarlo in altro. Forse è per questo che continuo a riconoscere sempre meno l’immagine che vedo riflessa. Ho paura anche che arrivi un giorno in cui sarò nuovamente costretto ad affrontare lo specchio, ma quello che vedrò sarà una persona diversa. E a quel punto sarà troppo tardi per recuperare me stesso. Ma cos’è questa verità che voglio cercare? È veramente davanti a me, che aspetta solo di essere compresa, come mi dicono tutti, o si sta nascondendo? Sono cresciuto sentendo dire che la verità fa male. Forse questa agognata verità non è altro che un’ovvietà che tutti conosciamo, ma non vogliamo ammettere? Seguendo questa logica, mi merito la mia sofferenza. Perché? Forse perché, a mia volta, ho fatto soffrire una persona a me cara. Per puro egoismo non sono andato a fondo per difendermi da una verità che sapevo mi avrebbe fatto male. Per questo adesso mi sento in colpa? Perché ho lasciato che la mia mente ignorasse le velate richieste di aiuto? Troppe domande, ma le risposte non sono dentro me. Sono nel mio riflesso. Impresse nel mio sguardo, nel mio sorriso poco autentico. E quindi eccomi qui, davanti allo specchio, non scapperò questa volta.  Chissà perché inizio a perdermi nei ricordi e ripenso a quando, nella nostra vecchia casa, me ne stavo rannicchiato sotto le coperte perché mi sentivo triste. In quei momenti l’unica persona che riusciva a farmi dimenticare la ragione del mio stato d’animo era mia sorella Irene, che sapeva sempre come catturare la mia attenzione. Avevamo un “posto segreto”, dove avevamo raccolto gli oggetti a cui eravamo legati e ci sentivamo protetti dal mondo. Il nostro legame era così forte che avevamo deciso di scambiarci una promessa: se ci fossimo trovati in difficoltà per qualsiasi motivo, ci saremmo aiutati a vicenda affrontando ogni problema insieme. All’improvviso provo un senso di amarezza perché mi rendo conto di aver infranto quella promessa. Così torno bruscamente alla realtà da cui ero riuscito ad evadere per qualche istante. Lentamente, alzo lo sguardo e lo fisso sui miei stanchi e spenti occhi riflessi. Li sento pesanti, come se volessero rifiutarsi di vedere il mondo che mi circonda. Ma so bene che scappare dalla sofferenza non è mai una valida soluzione, non devo respingere i miei sentimenti o tutti gli sforzi che sto facendo per migliorare saranno inutili, sempre che io sia sulla strada giusta. Non escludo la possibilità che io mi stia lentamente distruggendo credendo di fare la cosa giusta. Non c’è un modo per sapere cosa è giusto o sbagliato: devo sentirlo dentro me, ed è difficile, soprattutto quando non sento niente in me che non sia l’impressione di essermi totalmente perso. In questo momento vorrei solo riuscire a vedere i miei occhi brillare e socchiuderli solamente quando sorriderò in modo sincero. Voglio solo tornare a vedere ciò che mi circonda per com’è anziché per come appare alla mia vista, filtrata dai miei sentimenti che non vogliono venire in superficie. Vedere e raccontare. Ecco, un’altra cosa che mi ha detto lo specchio: devo raccontarmi tutto. Provo a cercare nella mia mente, continuando a fissare i miei occhi nello specchio, come se la risposta che cerco potesse comparire nel riflesso da un momento all’altro. Ma non c’è niente, o almeno ho creduto che fosse così fin quando non ho visto accanto a me l’immagine di mia sorella. Non ho visto Irene per molto tempo e le nostre chiamate erano brevi. È sempre stata al mio fianco, mi ha aiutato a superare ogni difficoltà, anche se era la prima ad averne. Quel giorno è rimasto impresso nella mia memoria, e anche se l’immagine di mia sorella mi fa venire una fitta al cuore, mi servirà a non ripetere lo stesso errore. Non dimenticherò mai il sorriso che aveva indossato per non farmi preoccupare: faceva fatica a mantenere quel sorriso che risultava sempre più innaturale e simile ad una smorfia di dolore. A tratti Irene abbassava lo sguardo, faceva un profondo respiro e lo alzava nuovamente con un rinnovato, finto sorriso. Non riuscivo a darmi una spiegazione e mi dicevo  che forse era stanca. Non volevo capire. Anche le sue parole sembravano vuote. Mi dava risposte semplici, brevi. Era quasi assente, il suo sguardo non incrociava il mio. Non si rendeva neanche conto che pronunciava le parole con così poco fiato che mi era difficile sentirle. Mi diede l’impressione che fosse molto più concentrata nel nascondere qualcosa che nel partecipare alla conversazione. Poi iniziò a guardare con insistenza l’orologio. Fu un altro mio errore, quello di non chiedere il motivo del suo controllo, a momenti ossessivo, del tempo che scorreva. Continuò così, non ricordo per quanto tempo, ma ad un certo punto scosse la testa, mi disse che doveva andare e mi diede un abbraccio veloce. Non ebbi nemmeno il tempo di ricambiare il saluto che stava già allontanandosi. Quello è stato l’errore più grave che ho commesso quel giorno. Non averla fermata, non averle parlato di più. Nei giorni seguenti divenne ancora più distante. Era letteralmente irraggiungibile. Allora decisi di farmi un po’ insistente. Rispose, ma la sua voce era molto instabile, tremava. Ma io – quanto ero stupido! – ero partito con dei propositi negativi. Le dissi e le chiesi molte cose, ma in un tono poco amichevole. E lei si limitò a scusarsi, senza nemmeno provare a cacciare fuori la meno credibile delle giustificazioni. Fino a quando sentii una strana telefonata, che lei interruppe bruscamente. A seguire ci furono giorni di assoluto silenzio. Un giorno però bussò alla porta di casa e ci trovammo davanti qualcosa che non avremmo mai voluto vedere: Irene aveva il volto ricoperto di lividi. Nessuno disse una parola, solo lacrime e abbracci. Quando si calmò, ci raccontò in che modo aveva trascorso la sua vita in quell’ultimo periodo. Aveva cercato di chiedere aiuto ma non ero riuscito a comprenderlo. Mia sorella stava subendo abusi dalla persona con cui aveva una relazione, e aveva avuto la forza di uscirne da sola, senza il sostegno della sua famiglia. E soprattutto aveva avuto il coraggio di denunciare. Per questo la ammiro profondamente. Io non sono come lei, e non devo farmene una colpa. Ho capito che non c’è niente di male a cercare aiuto, soprattutto per chi, come me, ha la fortuna di poterlo chiedere alla persona più forte che conosce. Ho sorriso allo specchio. Mi sono detto tutto, è questa la verità che dovevo trovare. Irene è sul divano, le sorrido, poi le faccio cenno e lei capisce subito le mie intenzioni. Era quello che ci piaceva fare insieme ogni volta che avevamo bisogno di sentire l’aria sul viso come se potesse cancellare tutti i nostri brutti pensieri. Alla fine mi sono ritrovato ad uscire di casa e fare una corsa, ma stavolta con una persona speciale al mio fianco. Respiriamo profondamente, senza dire nulla. A volte le parole non servono.

Racconto di Morena Garro, Classe III A, IIS Matteo Raeli, Noto

Questo il giudizio della giuria:

«Il discorso restituisce tutta la confusione e la difficoltà di riconoscersi nel caotico passaggio dell’adolescenza. Un po’ sullo sfondo il tema della violenza di genere; chiaro, invece il rapporto di complicità del protagonista con la sorella».

 

Racconto a cura di Loretta Junck

qvFhs-fCGià docente di lettere nei licei, fa parte del “Comitato dei lettori” del Premio letterario Italo Calvino ed è referente di Toponomastica femminile per il Piemonte. Nel 2014 ha organizzato il III Convegno di Toponomastica femminile. curandone gli atti. Ha collaborato alla stesura di Le Mille. I primati delle donne e scritto per diverse testate (L’Indice dei libri del mese, Noi Donne, Dol’s ecc.).

 

Un commento

Lascia un commento

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...