Artusi, la Marietta e la cucina “bricconcella”

Il gastronomo, scrittore, critico letterario Pellegrino Artusi viene ricordato a duecento anni dalla nascita, avvenuta il 4 agosto 1820, ma una serie di eventi (rigorosamente on-line) si susseguono già dalla scorsa primavera. In particolare si segnalano la bella iniziativa della Biblioteca San Giorgio di Pistoia che lo celebra con una mostra virtuale fra i propri preziosi volumi dedicati al cibo e alla gastronomia (http://www.sangiorgio.comune. pistoia.it/la-cucina-e-una-bricconcella/) e il progetto “Artusi ad alta voce”, organizzato dalla Biblioteca comunale di Forlimpopoli, la cittadina in cui nacque. È da tempo uscita una nuova edizione del suo classico La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene (Sarnus, 2010), mentre due suoi bisnipoti, Luciano e Ricciardo, studiosi di storia e cultura toscana, hanno dato alle stampe il volume A tavola con gli Artusi. 120 anni dopo (Sarnus, 2011), che fa riferimento all’anno della prima uscita del libro del celebre antenato, ovvero il 1891.

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Allora fu pubblicato a spese dell’autore, perché rifiutato dalle case editrici, ma poi si rivelò un successo straordinario. Chiunque lo abbia almeno sfogliato, sa che le ricette sono scritte in un bell’italiano semplice e chiaro, capisce subito che sono state sperimentate (e su questo ritorneremo) e che sono state raccolte con passione e scrupolo durante soggiorni, viaggi, incontri un po’ ovunque in Italia. Anche questo è un pregio e un valore aggiunto: lettori e lettrici italiane miglioravano la loro conoscenza della lingua unitaria, come era accaduto cinquant’anni prima con I promessi sposi (1840) e poi con Pinocchio (1881), per citare due esempi estremamente significativi. Si avvicinavano, guidati dalla buona cucina, a realtà sconosciute dal punto di vista gastronomico: imparavano nuovi piatti, ma soprattutto entravano in ambienti regionali mai visitati, considerandoli in un’ottica inedita, anche se la maggior parte delle ricette proviene dalla tradizione dell’Emilia-Romagna e, in misura minore, della Toscana. Personalmente mi sono divertita a rileggerne varie pagine, visto che possiedo da molto tempo un’edizione particolarmente curata ed elegante, arricchita da fotografie e preceduta da una dotta introduzione di Massimo Alberini. Ne ho sperimentato parecchie volte una torta che viene buonissima: la celebre “mantovana”, croccante e gustosa. Ma vorrei subito passare alle prime righe scritte dall’autore: «La cucina è una bricconcella; spesso e volentieri fa disperare, ma dà anche piacere, perché quelle volte che riuscite o che avete superata una difficoltà, provate compiacimento e cantate vittoria. Diffidate dei libri che trattano quest’arte: sono la maggior parte fallaci o incomprensibili» (p. 31, ed. La Vela, 1980). E ancora, rivolgendosi proprio a chi legge: «Due sono le funzioni principali della vita: la nutrizione e la propagazione della specie (…)», si augura dunque benevolenza e riporta- condividendole- le parole di una lettera arrivata dall’amico poeta Lorenzo Stecchetti: «Non si vive di solo pane, è vero; ci vuole anche il companatico; e l’arte di renderlo più economico, più sapido, più sano, lo dico e lo sostengo, è vera arte. Riabilitiamo il senso del gusto e non vergogniamoci di sodisfarlo [così nel testo] onestamente, ma il meglio che si può, come ella ce ne dà i precetti.» (p. 34)

foto 2.Frontespizio
Il frontespizio del libro nell’edizione del 1910

Le parole chiave sono dunque: economico, sapido, sano: certamente oggi, più che mai, le possiamo condividere; il buon cibo deve costare il giusto, senza tanti ingredienti esotici, rari o astrusi; deve essere gustoso, saporito, gradevole; deve farci bene, senza troppi arricchimenti, unti, grassi. Prima delle ricette vere e proprie, nell’ampio volume troviamo divagazioni divertenti e norme di igiene, detti popolari e proverbi, lettere di ammiratori e conoscenti. Poi si inizia finalmente con gli antipasti, seguono le salse, le minestre e le paste asciutte, troviamo quindi i “tramessi” (ovvero i piatti di mezzo, ormai non più in uso), si passa agli umidi, seguiti da arrosti, “rifreddi” (ovvero pasticci, vitello tonnato, ecc.) e fritti. Dopo il pesce, le uova, i legumi e le verdure, si arriva alla pasticceria, ben distinta dai dolci al cucchiaio e dalle torte. Si conclude con “siroppi”, conserve, liquori casalinghi e gelati. Un totale inizialmente di 475 ricette, divenute 790 nella tredicesima ristampa del 1909. Non manca proprio nulla, anzi ho trovato utili e -perché no- ancora attuali i suggerimenti per gli «stomachi delicati» e i menu completi per le varie solennità, suddivisi mese per mese: a gennaio si parlerà di tortellini, zampone, sedano in umido, aranci e frutta secca, ma ad agosto verranno consigliati “arigusta” (aragosta) con maionese e pesche ripiene, rispettando la stagionalità dei prodotti.
Un elemento fondamentale in queste ricette, ma in genere in cucina, è il lessico appropriato: ad esempio leggiamo “odore di noce moscata”, una cipolla “mezzana”, il battuto, i verbi frollare e steccare (la carne), intridere (il burro), spegnere (la farina), tirare (la sfoglia), mondare (la verdura), le varie parti degli animali da cucinare (girello, lombata, scannello, filetto, culaccio), con una spiccata prevalenza di termini toscani (cignale, cazzaruola, aggradire, diacciato, stiacciare, sa di lezzo, ponce).
Ma il bello è leggere le ricette come vere e proprie brevi storie, visto che sono precedute e seguite da commenti e via via spiegate: «Vogliono dire che la miglior morte dei piccioni sia in umido coi piselli.» E ancora: «Sentite che nome ampolloso per una briccica da nulla! Ma pure i Francesi si sono arrogati il diritto in questo e in altre cose di dettar legge» (a proposito della Salsa alla maître d’hôtel); «Leggevasi in un giornale italiano che l’arte del gelare appartiene eminentemente all’Italia, che l’origine dei gelati è antica e che i primi gelati a Parigi furono serviti a Caterina dei Medici nel 1533.»
Ma da cosa era nata in Pellegrino Artusi questa passione per la gastronomia?
Chi lo aiutò concretamente nello sperimentare ricetta per ricetta?
Pellegrino era il quinto figlio di benestanti bottegai, con una propria drogheria: Agostino il babbo, Teresa la mamma; fu mandato a studiare in seminario, come si usava allora, poi frequentò la facoltà di Lettere a Bologna.

Statua a Pellegrino Artusi. Forlimpopoli
Statua in onore di Pellegrino Artusi, Forlimpopoli

Il 25 gennaio 1851 avvenne però un fatto che cambiò la vita di tutta Forlimpopoli: ci fu una vera e propria incursione della banda del brigante Stefano Pelloni, detto il Passatore, che portò scompiglio e terrore. La sorella di Pellegrino, Geltrude, forse subì violenza e impazzì, così la famiglia decise di trasferirsi a Firenze, per occuparsi di commercio di tessuti e bachi da seta; Pellegrino aprì in proprio un banco di sconto, assai redditizio, ma abbandonò l’attività intorno ai cinquanta anni, per vivere di rendita. Rimasto scapolo, aveva una bella casa, in piazza D’Azeglio, e poté assumere due personaggi chiave nella sua futura esperienza: Francesco Ruffilli e Maria Assunta Sabatini. Frequentava intellettuali di un certo rilievo e aveva ambizioni letterarie, tanto che pubblicò a proprie spese libri sui poeti Giuseppe Giusti e Ugo Foscolo. Si dedicò poi con grande impegno alla lenta costruzione del libro che gli avrebbe dato fama e ricchezza. Nel testamento lasciò molti beni alla parentela e al comune di nascita, che aveva il vincolo di fornire ogni anno la dote a dieci ragazze povere. Stabilì che il suo funerale fosse «puramente civile e senza neanche un fiore», e così fu quando morì alla bella età di quasi 91 anni, il 30 marzo 1911. Fu sepolto nel cimitero fiorentino di San Miniato al Monte, da cui si gode una vista spettacolare sulla città.

monumento funebre nel cimitero fiorentino
Monumento funebre nel cimitero fiorentino

Naturalmente nel testamento si era ricordato dei suoi fidati collaboratori, a cui lasciò denari e doni personali, ma soprattutto i diritti d’autore della Scienza in cucina, per loro e i loro eredi, un vero capitale per cinquanta anni, finchè l’opera non divenne di pubblico dominio. Ruffilli era un cuoco proveniente da Forlimpopoli, ma chi era “la Marietta”?
Maria Assunta Sabatini era nata a Massa Cozzile (oggi provincia di Pistoia) il 4 ottobre 1860 e probabilmente conobbe Artusi durante una delle sue frequenti e regolari permanenze ai Bagni di Montecatini, da lui stesso testimoniate nell’ autobiografia.
Rimasta presto orfana di padre, la ragazzina di paese, lasciando la propria casa ed un poco ambìto destino di “cucitrice”, andò a lavorare a Firenze presso la casa dell’Artusi, ormai quasi sessantenne, dal carattere burbero e assai diffidente nei confronti dei domestici, che, a detta sua, avevano sempre cercato di truffarlo e derubarlo…
Quella giovane donna dal fisico statuario e dal carattere energico sarebbe divenuta la sua capace e insostituibile cameriera tuttofare e, oltre ad occuparsi della sua abitazione, gli avrebbe fornito buoni consigli, sostegno e assistenza fino alla morte. Dal 1888 Maria Assunta, rimasta nubile e stabilmente residente a Firenze, accompagnava spesso il padrone, via via più anziano, nei suoi viaggi e nei soggiorni estivi, fra cui quelli molto graditi a Montecatini. In queste occasioni in cui tornava in Valdinievole amava fornire consulenza sui più vari temi legati alla cucina e alla gestione della casa, ma era anche abile nell’individuare cuochi e domestiche degne di fiducia, da consigliare alle famiglie più altolocate.
L’Artusi dimostrò di apprezzare appieno le qualità della “Marietta”, tanto che nel manuale le dedicò una ricetta, dichiarando di averla imparata proprio da lei: si tratta di una sorta di panettone alla toscana. «È un dolce che merita di essere raccomandato perché migliore assai del panettone di Milano che si trova in commercio, e richiede poco impazzamento.» (p. 452)
Alla morte del padrone, grazie anche alla generosa eredità, Maria Assunta Sabatini continuò a vivere a Firenze, dove morì a 80 anni di broncopolmonite, il 22 dicembre 1940, e venne sepolta nel cimitero di Trespiano.

 

 

Articolo di Laura Candiani

oON31UKhEx insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume Le Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra sulla Valdinievole

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