Come in uno specchio. Una docente e un’ex allieva a confronto

È difficile valutare che cosa sia rimasto dell’insegnamento di una/un docente nelle persone che l’hanno incontrata/o. Per questo la valutazione della nostra professione è un tema spinoso su cui si scontrano visioni contrapposte e spesso inconciliabili. C’è chi costruisce moduli alla fine dell’anno scolastico in cui in forma anonima chiede ai suoi e alle sue studenti/esse di esprimersi sul suo operato, chi sostiene che i soldi  meglio spesi dallo Stato sarebbero quelli destinati alla costruzione di una task force formata e in grado di valutare l’operato dei docenti attraverso un affiancamento durante le lezioni, chi, facendo i conti coi vincoli di bilancio, come nel bonus della legge 107, chiede una serie di informazioni ai docenti, che si autovalutano in base non solo al rapporto con le classi, ma anche ai progetti realizzati, ai premi vinti nei concorsi, alla collaborazione nell’organizzazione della scuola e a molto altro. Capita spesso a noi docenti di imbatterci in riconoscimenti che arrivano in modo disinteressato e volontario da alcune/i ex studenti, anche molti anni dopo averli lasciati. Penso che proprio questi, siano i più idonei a farci riflettere sul nostro operato e su quanto siamo riuscite/i a suscitare in loro. Ho trovato su Messenger uno di questi riconoscimenti inaspettati da parte di Francesca, una ex studentessa impegnata e diligente con cui avevo organizzato, anche dopo averla lasciata a conclusione del biennio, attività di sensibilizzazione a scuola sui temi dell’antimafia, della Costituzione e dei diritti delle donne. Ad accompagnare le sue parole, c’è il primo articolo scritto da lei per l’associazione “Mondo internazionale” per la quale scrive di diritti umani e parità di genere.  Ecco allora nascere l’idea di una riflessione a quattro mani su quello che rimane e che provoca nelle e nei nostri allievi la nostra opera di docenti, ma anche su quello che il rapporto con loro genera in noi, come in uno specchio. Qualcuno in questi giorni – sui media generalisti e sui social degli haters e dei leoni da tastiera – si è divertito a parlare di noi come di sfaccendati con quattro mesi di vacanza in più, mentre esaltava lo smart working per tutte le altre categorie lavorative, tranne la nostra, contribuendo a demolire l’immagine dei/delle docenti. Queste persone non hanno compreso quanto danno può fare questo atteggiamento alla società. In ogni categoria, infatti, ci sono persone più o meno valide e la nostra non fa eccezione, certamente. Tuttavia la nostra professione è diversa da tutte le altre e questo dialogo proverà a dimostrarlo. Proprio per questo resto scettica su una valutazione “a caldo” da parte degli studenti. È sulla lunga distanza che gli effetti del nostro insegnamento, i semi, come li indica qualcuno, gli anticorpi, come li definisco io, si manifestano e non c’è indice economicistico che li possa misurare.

Sara: Spesso mi invii messaggi e considerazioni in cui sottolinei il ruolo che hanno avuto per te il mio insegnamento e le materie economico-giuridiche. Non sei la sola che lo ha fatto in questi anni, ma sicuramente sei stata una delle più assidue. Da dove deriva questa tua necessità?

Francesca: Le materie di questo tipo mi permettono di provare a capire il mondo dal punto di vista che più di tutti mi interessa: quello dei diritti, che, sommato all’aspetto economico, mi dà gli strumenti per interpretare i meccanismi che si celano dietro alle, purtroppo ancora oggi, più disparate disuguaglianze. Mi piacerebbe sapere, mia cara Prof, per quale motivo lei ha scelto di insegnare proprio queste materie.

Sara: Mi è sempre piaciuta l’idea di insegnare. Terminato il Liceo, i consigli dei docenti erano per Lingue o Lettere Moderne. A me piaceva Filosofia, ma tutti me la sconsigliavano. Chi mi stava vicino mi immaginava come una brillante avvocata, per la mia capacità di persuasione. Cercai di combattere fino all’ultimo per la scelta di filosofia. Alla fine scelsi giurisprudenza, tradendo una mia cara amica a cui avevo promesso di iscrivermi con lei. Nonostante il superamento di un esame difficile e selettivo per esercitare la professione forense, a Milano, capii che quella non era la mia strada e vincere il concorso per diventare docente fu una vera liberazione. Mi appassionai allo studio della Costituzione, questo bellissimo progetto di società nuova così poco conosciuto nelle scuole, e all’economia politica, che vissi sempre come una scienza umana, vicina alle persone, con grandi implicazioni morali, non riducibile a formule e grafici. Sarebbe bello per me capire, Francesca, che cosa ti ha colpito di più del mio insegnamento.

Francesca: I suoi insegnamenti non sono mai stati ridotti alla fretta di dover terminare il programma scolastico, unita all’indottrinamento di definizioni che ci saremmo tutti/e quanti/e dimenticati/e appena consegnato il foglio della verifica, ma si sono basati sullo studio della materia per averne un ritorno che fosse reale e per incentivare la riflessione nelle teste dei giovani adulti che si è trovata davanti, considerandoci come soggetti pensanti e valorizzando le idee di ognuno/a di noi. Grazie alla sua capacità di stimolare il ragionamento nei ragazzi e nelle ragazze, ho avuto la possibilità di sviluppare un pensiero critico e libero nei confronti del mondo che piano piano stavo iniziando a scoprire. Ho capito, grazie al suo modo di trasmettere le informazioni durante le lezioni, che la mia vita non poteva ridursi a curare l’erba del mio piccolo giardino, ma che avrei dovuto per lo meno credere nella possibilità di poter annusare il profumo dei fiori nell’immenso campo dell’esistenza umana.

Sara: Quali delle tematiche affrontate ti hanno colpita di più? E perché?

Francesca: sono stata profondamente colpita dallo studio del fenomeno mafioso e di quanto sia dannoso per intere generazioni. Ricordo con immenso affetto l’impegno e la dedizione con la quale si è adoperata, insieme al Suo amico e collega, nonché mio Professore del triennio Giorgio Bertazzini, per organizzare all’interno dell’edificio scolastico un evento all’insegna della legalità, quella che è stata chiamata la “Legalfesta” e che ho avuto l’onore di presentare. In questa occasione si è deciso di omaggiare i presenti con la partecipazione di svariate Associazioni che lottano da anni per sradicare il male mafioso dalla società, mostrandoci come sia possibile vivere in una comunità libera e come questo terribile cancro possa smettere di far ammalare il pensiero delle persone, grazie ad una cura a cui tutti abbiamo la fortuna di poter accedere nel nostro Paese: la scuola. Qual è il ricordo che più le è rimasto impresso delle tante iniziative che ha messo in pratica sul tema durante gli anni? Perché pensa che sia così importante discutere di mafia nelle classi?

Sara: Di attività ne abbiamo fatte veramente tante: i Viaggi della legalità a Palermo con Addiopizzo, uno spettacolo realizzato da docenti e studenti, il 23 maggio 2012, per ricordare la strage di Capaci, il racconto del viaggio a Palermo ai bambini e alle bambine della primaria, le giornate della memoria e dell’impegno, le installazioni ai cancelli della scuola per sensibilizzare la popolazione melegnanese. Credo che la storia della mafia sia una parte fondamentale della nostra storia e che, come sostiene da tempo il prof. Nando dalla Chiesa, debba essere insegnata in ogni scuola. Purtroppo questo richiede una formazione specifica e continua, che oggi in pochi possediamo. Ma veniamo ad altro, che mi interessa particolarmente. C’è una delle mie lezioni che ti ricordi in particolare?

Francesca: É indelebile in me il ricordo di una lezione in cui ci spiegò, parlandoci del dovere inderogabile di solidarietà politica economica e sociale dell’articolo 2 della Costituzione italiana, quanto fosse importante tramutare la frase “non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te” in versione positiva, diventando quindi “fa agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te”, per sottolineare come in una società la differenza la fa chi si mette in gioco per gli altri e con gli altri, si impegna e si sente responsabile.

Sara: A volte mi hai visto prendere delle posizioni intransigenti sul rispetto delle regole. Che effetto ha avuto su di te?

Francesca: Spesso quando si è adolescenti ci si sente ingabbiati in una vita che sta cambiando e per la quale ci vuole tempo, sia per adattarsi che per imparare a gestirla; per questo motivo, a volte, si percepiscono le regole come costrizioni rispetto alla propria libertà di scelta. Vederla prendere delle decisioni sul rispetto delle regole, spiegandoci il motivo per il quale era importante rispettarle, mi ha fatto capire quanto queste siano in realtà fondamentali per non ledere le libertà altrui e per far sì che nessuno si arroghi il diritto di poter mancare di rispetto nei confronti di qualcun altro, magari più debole in quel momento. Come è stato, da parte sua, dover gestire questo dialogo con noi studenti?

Sara: Credo che il dialogo con le e gli studenti sia la parte più stimolante del mio lavoro. Misurarsi con le vostre menti è una sfida quotidiana, che mi riporta spesso a come ero io da adolescente. Torno a casa piena di stimoli e mi interrogo su come ho risposto a certe provocazioni, come a volte non mi è riuscito di toccare il tasto giusto con ognuna/o di voi, come posso rispiegare un tema, presentandolo in modo più accattivante, quali strumenti posso usare per appassionarvi, con una canzone, una poesia, un brano, un aforisma, uno spezzone di un film o un intero film, accompagnato da domande guida a cui rispondere anche con l’uso del Manuale, da utilizzare come sussidiario. Tutto quello che mi capita di leggere o vedere, penso a come utilizzarlo per farvi riflettere e pensare. Ho letto l’articolo che hai scritto e mi hai spedito in visione per un parere sulla tematica degli stereotipi di genere e sono stata contenta di questa condivisione. Che cosa rappresenta per te il mio giudizio su quanto scrivi? E la tematica che hai affrontato?

Francesca: Ho iniziato ad interessarmi al tema della parità di genere durante le sue lezioni. Penso che non saremo mai donne e uomini veramente liberi finché resteremo ancorati agli stereotipi di una società dallo stampo patriarcale. Ho avuto la possibilità di rendere reali i miei pensieri scrivendoli ed esprimendo così la mia preoccupazione circa i ruoli che ognuno di noi si sente, troppo spesso, obbligato a ricoprire. Il suo giudizio è per me fondamentale, non tanto per il fatto che condivida o meno il mio pensiero, ma perché sono sicura che anche qualora così non fosse avrei modo di discuterne e di essere ascoltata, traendone sempre e comunque un insegnamento. Che cosa ha pensato quando ha letto il mio articolo?

Sara: Ho pensato: «Che bella sorpresa!» Non ricordavo di avere particolarmente approfondito questa tematica nella vostra classe, ma forse ormai è qualcosa che comunico in ogni occasione possibile, uno sguardo sul mondo che tiene conto del femminile e del maschile. Ma dimmi, Francesca, che tipo di insegnante sono stata per te?

Francesca: Lei è stata ed è, per me come per molti altri, un vero e proprio punto di riferimento nel quale trovare dialogo e comprensione. Proprio per questo, molte volte, mi sono chiesta quale potesse essere un suo consiglio durante la fase di decisione del mio futuro e, anche grazie a quanto mi ha insegnato, ho potuto compiere le mie scelte verso alcune direzioni piuttosto che verso altre. Quale tipo di feedback riceve dai suoi alunni per riuscire ad essere questo tipo di insegnante?

Sara: Solitamente dalle e dagli allievi sono vista alternativamente come “consigliera” o “mediatrice” e sempre come persona con cui confrontarsi su scelte da prendere o su avvenimenti interni alla classe; oppure come consulente legale su questioni capitate in famiglia, piccole grane. Per qualcuno, però, il mio stile è troppo diretto e non tutti apprezzano la mia schiettezza. Per fortuna sono stati pochi, negli anni, i casi di questo genere. Quello che mi è riuscito meglio in tutti questi anni di insegnamento è stato “vedere” i talenti delle mie e dei miei alunni/e. Spesso, quando parlano o agiscono in classe, riesco ad immaginarmeli in altri contesti e vedo certe qualità, che mi piace condividere sia con loro che con la classe, discutendone. A te, che cosa è rimasto delle mie lezioni?

Francesca: Grazie al suo esempio e all’averla sempre considerata come Maestra, ho potuto iniziare a credere in tanti principi per i quali voglio lottare ogni giorno finché avrò voce e respiro per poterlo fare: credo in una società equa; credo che un giorno il mio stipendio varrà tanto quanto quello di un uomo; credo di potermi vestire come voglio senza dovermi sentire in colpa; credo di poter raggiungere i massimi livelli di carriera senza dover ringraziare nessuno se non me stessa; credo che ognuno debba poter amare chi vuole senza che qualcun altro gli conferisca il permesso di poterlo fare; credo che il colore della pelle sia la sfumatura più importante e meravigliosa che il mondo potesse regalarci; credo nella legge fondamentale del nostro bellissimo Paese: la Costituzione. Quando hai la fortuna di incontrare una persona come la mia docente di diritto non hai solo accesso all’incomparabile ricchezza data dall’apprendimento che potrai trarne dalla sua immensa cultura, ma avrai anche il privilegio di poter vivere con il sottofondo di una bellissima musica che suona le note della libertà e che ti accompagnerà in tutte le grandi scelte della vita. E lei Prof., che cosa pensa di avere lasciato del suo essere ai suoi e alle sue studenti/esse?

Sara: Non so se sono riuscita a comunicare quello che ho scritto in apertura di questo articolo a quattro mani. Gli anticorpi che abbiamo insinuato nelle e nei nostri studenti producono frutti inaspettati. Credo che per poter fare l’insegnante ci debbano piacere le persone. Ognuno di noi lascia agli altri e alle altre qualcosa di sé, come scrive Primo Levi nella sua poesia Agli amici, ogni incontro è occasione di scambio, come diceva Smith nella sua Teoria dei sentimenti morali. Tu, ad esempio, mi hai sempre comunicato entusiasmo, serietà, voglia di mettersi alla prova, volontà di approfondimento e di impegno per la comunità scolastica. Tra le tante persone che incontriamo, qualcuna ci sceglie più delle altre. Le ragioni di queste scelte sono misteriose, non sempre comprensibili appieno. È questo l’aspetto più intrigante delle relazioni umane, soprattutto di quelle tra docente e discenti. Grazie, Francesca, per il bel dono che ci siamo fatte.

Articolo di Sara Marsico

Sara Marsico.400x400.jpg

Abilitata all’esercizio della professione forense dal 1990, è docente di discipline giuridiche ed economiche. Si è perfezionata per l’insegnamento delle relazioni e del diritto internazionale in modalità CLIL. È stata Presidente del Comitato Pertini per la difesa della Costituzione e dell’Osservatorio contro le mafie nel sud Milano. I suoi interessi sono la Costituzione , la storia delle mafie, il linguaggio sessuato, i diritti delle donne. È appassionata di corsa e montagna. 

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