Quest’anno le giornate Fai dedicate ai propri siti nelle località più panoramiche hanno riguardato sette regioni e nove beni, fra cui il castello e il parco di Masino, l’orto sul colle dell’Infinito, il bosco di san Francesco.
In Sardegna sono state aperte alle visite guidate dell’estremo sud le Saline Conti Vecchi, le più longeve dell’isola e ancora in attività, confinanti con l’oasi naturalistica che ospita spesso i fenicotteri, e all’estremo nord la Batteria Militare Talmone, presso punta Don Diego, nel comune di Palau (SS).
La Batteria prende il nome di Maurizio Talmone, un tenente di vascello torinese, nato nel 1868 e morto combattendo in Somalia nel 1893.
Queste caserme appartenenti alla Marina erano dedicate al ricordo di valorosi combattenti, per lo più morti durante le guerre coloniali. Il motto che ancora oggi si legge, dipinto sul muro, è “Pro Patria et pro Rege”, accompagnato dallo scudo crociato della famiglia Savoia, dall’aquila e dalla data 30 maggio, probabilmente quella dell’inizio dei lavori di edificazione.
La Batteria Militare faceva parte del sistema difensivo organizzato dal Regno d’Italia dopo il 1887 per proteggere la flotta situata al riparo delle isole del nord della Sardegna; erano circa quaranta siti armati antinave, sulla costa che va da Capo Testa a Baja Sardinia. Si trattava per l’epoca di strutture moderne, dette campo trincerato, a non più di tre km l’una dall’altra per attuare un controllo ravvicinato e perché eventualmente la distanza si potesse percorrere a piedi. Ognuna era dotata di cannoni e mitragliatrici, con le postazioni ancora ben visibili, a seconda del tipo di difesa a cui era destinata. A presidio delle navi, fra Caprera e La Maddalena, in mare si susseguivano file di mine, ma non risulta che siano mai state utilizzate.
Questa Batteria presa in carico dal Fai dal Demanio nel 2002, passata alla Regione due anni dopo, è l’unica restaurata e aperta al pubblico nel 2013; si tratta di un edificio non molto grande, costruito dal 1914 in poco più di un anno, dotato di torrette, canali, cisterne, reparto munizioni, alloggi per il comandante e per i marinai. Aveva però un’area di appartenenza assai ampia: 5 ettari e mezzo, che servivano anche per approvvigionarsi il cibo con la pesca, la caccia, qualche coltivazione, visto che i rifornimenti erano scarsi e poco continuativi. Nelle dodici stanze vi era spazio per la cambusa (cucina e ripostigli per le vettovaglie) e le latrine; all’esterno, sul retro, si nota il lavatoio, ancora da restaurare (e ciò crea un bel contrasto con quanto è stato fatto all’edificio). La camerata aveva dei ganci a cui appendere le amache, su due livelli; in tutto poteva ospitare 46 marinai, ma va considerato che facevano i turni di guardia, quindi potevano essere più numerosi, utilizzandole alternativamente. Si calcola che di solito fossero una settantina i giovani di leva (per 24 mesi in questo luogo meraviglioso e sperduto).
Che dire delle amache? Fra l’altro quella presente è originale: un dono della Marina militare. Non saranno il massimo della comodità, ma hanno vari pregi: si possono spostare facilmente, sono leggere, si possono arrotolare, si possono lavare. D’altra parte questa era una sorta di nave sulla terraferma destinata a marinai che non avrebbero mai navigato. L’acqua piovana (ricavata dai canalini del tetto a schiena d’asino) e l’acqua dolce di qualche ruscello venivano raccolte in due cisterne interrate, situate di fronte all’ingresso. L’alloggio del comandante aveva acqua corrente, una piccola cucina e due camere visto che era possibile portare con sé la famiglia. I primi anni per tutti non furono molto facili perché, anche se non ci furono reali pericoli né battaglie, la caserma andava completata e rifinita con l’ausilio della pietra e del granito, presente ovunque in grande abbondanza, da lavorare a forza di braccia e trasportare sul luogo. Tuttavia — specie fra le due guerre — la situazione fu tranquilla e i discendenti di quei militari raccontano che nella bella stagione (qui assai lunga) passavano piacevoli momenti sulle spiaggette sottostanti, con un panorama mozzafiato, fra scogli, cale, piscine naturali, rocce dalle forme bizzarre.
Il restauro, come sempre accade per i beni gestiti dal Fai, è stato minuzioso: delle fotografie mostrano la Batteria come era nel 2002, abbandonata all’incirca dal 1947, lasciata all’incuria, al vandalismo, alla violenza del maestrale e della salsedine: una serie di muri senza più porte né finestre, invase dalla sterpaglia e dalle macerie. Ora è tutto tornato come era: il pavimento in cemento è originale, come pure le poche aree piastrellate (le stanze del comandante); gli infissi sono dipinti di un bel verde e l’esterno è del tipico color rosso mattone, quello per intendersi degli edifici dismessi dell’Anas e dei beni del Demanio. Il colore brillante rende facilmente intercettabile l’edificio dall’alto, ma fra fine Ottocento e primi del Novecento, non si poneva il problema delle ricognizioni aeree, e questi avamposti erano occultati nella fitta macchia mediterranea e fra le rocce, quindi praticamente invisibili da terra e dal mare. Quando l’aviazione militare si diffuse, fu trovato uno stratagemma davvero originale: venne importata dal Sudafrica una pianta infestante, oggi diffusissima sulle coste sarde, il fico degli ottentotti (detto volgarmente orecchi d’asino), un rampicante strisciante che in primavera fa fiori meravigliosi color fucsia o giallo chiaro. Si lasciava che le piante coprissero per intero il tetto, così il mimetismo diventava totale.
Oggi è un luogo magico, di grande pace, da conquistare con un po’ di fatica, ma poi si viene ripagati/e, magari cogliendo l’opportunità di un bel bagno rinfrescante.
Una piccola annotazione personale: il percorso da Costa Serena in realtà non dura 45 minuti e non è “leggermente accidentato”. Ci vogliono scarpe da trekking, caviglie protette, berretto, borraccia e gambe buone perché si superano dislivelli, si sale su pietre e rocce, poi ci si cala, si percorrono tratti angusti, fra rami, radici e sterpaglie non agevoli da oltrepassare, se non si è abbastanza in forma. Comunque se mio marito ed io ce l’abbiamo fatta, c’è speranza per quasi tutti/e. Il timore era il ritorno… sotto il sole splendente del settembre sardo abbiamo utilizzato una via alternativa, lungo costa, assai più breve anche se non molto facile né segnalata.
Il Fai ha avuto ancora una volta il grande merito di individuare una struttura di valore storico unico, da salvare e restituire nella sua integrità. Le informazioni sugli orari, le visite guidate, l’itinerario si possono reperire sul sito, dove fra l’altro potrete ammirare foto suggestive e ascoltare dalla voce del vicepresidente Marco Magnifico ulteriori dettagli sull’edificio.
Articolo di Laura Candiani
Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume e Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.