Carissime lettrici e carissimi lettori,
c’è una data importante tra l’uscita di questo numero della nostra rivista e il prossimo sabato: la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne che si celebra in tutto il mondo, mercoledì prossimo, 25 novembre. Una data importante, istituita dalle Nazioni Unite il 17 dicembre del 1999 per stimolare tutti gli Stati e le Ong a trattare questo tema. Come per l’8 marzo, anche la scelta del 25 novembre è stata stabilita in precedenza, in quanto legata a un atto di violenza: il brutale triplice assassinio, nella Repubblica Dominicana, delle tre sorelle Mirabal,(Patria Mercedes, Argentina Minerva e Maria Teresa) che in quel giorno del 1960, in pieno regime del dittatore Rafael Leònidas Trujillo, che sottomise questo popolo per trenta anni, lasciandolo nella povertà assoluta, vennero bloccate da alcuni agenti del Servizio di informazione militare mentre stavano andando a far visita ai loro mariti in carcere. Le tre sorelle furono rapite, portate in un posto nascosto e qui stuprate, malmenate e quindi strangolate. Il loro corpo fu gettato poi in un fosso, vicino alla loro auto, così da simulare un incidente stradale.
Una brutta storia che richiama alla mente delitti politici contro altre donne coraggiose, ma anche tanti delitti fin troppo privati che oggi dobbiamo, per un dovere di sorellanza e di umanità giusta, chiamare con il termine femminicidio, scartato come parola non corretta dal vocabolario interno del mio computer, che la sottolinea in rosso nel testo che sto scrivendo come si fa con i lemmi digitati male o non esistenti. Eppure esistono. Sono troppe le donne nel mondo che vengono uccise o che subiscono violenze non solo fisiche (ma anche verbali e soprattutto psicologiche, non meno violente e brutali) per mano amica, per usare un termine che si adopera per chi muore in guerra sotto i colpi di un’arma della propria parte. Ma nessuno dovrebbe, nei titoli, negli articoli stessi, nei discorsi di ciascuno di noi (vorrei sperare che non sia assolutamente generato dalle donne) parlare di amore seppure tossico. L’amore non può per principio avere mai a che fare con la violenza, quindi chi lo usa (pensiamo anche agli estremisti religiosi) non può che possedere un oggetto, non amare un soggetto che come tale vive di vita propria e indipendente. Quest’anno non ci saranno grandi manifestazioni, ma, come ormai a ogni ricorrenza, molto sarà svolto online, il che, se da una parte penalizza il lato umano e di contatto, allarga invece le singole esperienze a un pubblico più vasto. Se poi leghiamo il tema di questa ricorrenza alla situazione attuale, con rammarico dobbiamo constatare che, in tempi d lockdown, si sono moltiplicate le chiamate di aiuto da parte delle donne al telefono anti-violenza. Praticamente c’è stato un balzo enorme, un aumento del 73 per cento in un lasso di tempo brevissimo: dal 1 marzo al 16 aprile di questo 2020. Questo solo per fare un esempio, molto triste.
Ma ci piace ricordare anche altro. In questi giorni tanti nomi femminili sono stati ricordati e sono apparsi con determinazione nelle cronache. Ruoli di prestigio avuti e ora conquistati, come tre incarichi importanti dell’Unione europea, la vicepresidenza degli Usa, potenza mondiale, la guida, ancora non paritaria numericamente, ma sempre più presente, di guida di Paesi nel mondo (in Europa sono sette gli Stati retti da donne), la reggenza di una delle università più grandi quale è La Sapienza di Roma, luoghi dove fino a ora hanno regnato indiscussi i maschi. Una donna della letteratura, Anna Karenina, il cui autore proprio oggi vogliamo celebrare per i centodieci anni dalla sua morte (il 20 novembre del 1910), prendiamo a simbolo di tante donne, meno immaginarie di lei, ma vittime di un mondo contro il quale devono confrontare il loro amore, i loro sentimenti, anche quelli di madre punita con l’allontanamento dal figlio/a, metafora di tante altre atrocità a cui la cronaca ci ha esposte tutte e tutti, perché penso e spero che anche tanti maschi sentano l’ingiustizia subita e ormai completamente svelata. «Tutte le famiglie felici sono felici allo stesso modo, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo». Il famosissimo incipit del romanzo risuona nella mente di ciascuna e ciascuno di noi e ritorna come un proverbio ogni qualvolta si presenti, nel privato o nella vita dei cosiddetti/e “vip”, star di spettacoli o arti, un dissidio familiare. Libro particolare questo, che universalmente si dice sia sfuggito dalle mani dell’autore, religiosissimo e castigatore rispetto alla condotta femminile (seppure in effetti Lev Nikolaevič Tolstoj lo rinnegò, in un secondo momento), rimane simbolo comunque, nonostante il destino amaro di Anna, un romanzo con protagonista una donna capace di scegliere e di pagare per questo, sopraffatta dall’indifferenza di un mondo tutto al maschile allora, come in buona parte lo è ancora adesso. Anna Karenina venne pubblicato sul Russkij vestnik (Il Messaggero russo) a puntate e si concluse nel 1877 quando la rivista rifiutò l’ottava e ultima parte dell’opera (che venne pubblicata a parte a spese dell’autore) perché Tolstoj si era schierato con decisione contro la Turchia nella guerra serbo-turca del 1877, proprio quella a cui farà partecipare il principe Aleksej K. Vronskij dopo la morte di Anna. Giudicato da molti contemporanei “frivolo”, fu elogiato da un altro grande russo, Fëdor M. Dostoevskij, che dirà: «Anna Karenina in quanto opera d’arte è la perfezione… e niente della letteratura europea della nostra epoca può esserle paragonato.» Poco meno di un secolo dopo anche Vladimir V. Nabokov doppierà il giudizio di Dostoevskij, definendo Anna Karenina «il capolavoro assoluto della letteratura del XIX secolo». Nabokov fa di più con il romanzo di Tolstoj. Riporta l’incipit famoso, capovolgendolo, come inizio stesso del suo Ada o ardore (1969): «Tutte le famiglie felici sono più o meno diverse tra loro; le famiglie infelici sono tutte più o meno uguali». Il cinema, il teatro e la televisione hanno creato svariate versioni da quest’opera di Tolstoj. Memorabile l’interpretazione di Greta Garbo (nel 1935) o il film balletto con la grande danzatrice russa Maja Pliseckaja o la serie televisiva in Italia che ha visto protagonista la brava Lea Massari, diretta da Sandro Bolchi nel 1974. Poi innumerevoli le traduzioni, i saggi (ho nel cuore e nella libreria di casa quello di A. M. Ripellino).
Troviamo tante donne anche in questo numero di vitaminevaganti.com. C’è, prima fra tutte, regina della letteratura, Maria Bellonci (nella serie delle Interviste impossibili), la grande madre del premio più ambito dagli scrittori e dalle scrittrici italiane, lo Strega. C’è Marguerite Porete la religiosa scrittrice, filosofa e teologa autrice dello Specchio delle anime semplici, per questo vittima delle ottuse e cattive vedute dell’Inquisizione. Leggiamo dei romanzi di fantascienza di Charlotte Perkins o delle pittrici di rose i cui quadri sembrano offrirci l’aroma intenso del fiore. Dopo la storia di Serafina Quattrocchi, prima sindaca di Mazzarino, entriamo, a San Paolo del Brasile, nel mondo del Dominatrix dove ci immergiamo, tra frustate e sensuali massaggi ai piedi, nel culto del sesso, ma soprattutto del rispetto del consenso perché, come dice l’autrice «sottovalutare il consenso è uno dei problemi di questa società patriarcale» e ne sottolinea la differenza.
La Tesi nel cassetto di questo mese ci porta a giocare, a divertici seriamente, come seria è sempre l’allegria del gioco, riuscendo a conoscere e sottolineando le differenze di genere per capirne le disparità. Il nome del gioco da tavolo in cui si riassumono i temi della Tesi, discussa nel 2011, ma ancora viva e valida nell’oggi, in design della Comunicazione, è allegro e conduce al tema fondante: Rigenerati! ed è bello che dove si sceglie di far cadere l’accento, la parola porta un diverso carico significativo e ben direzionato.
Si ritorna all’arte con la stupenda figura di Pinin Brambilla Barcilon, la tenace restauratrice del Cenacolo di Leonardo da Vinci, per poi tuffarsi senza remore nella lettura di libri scritti da donne, con protagoniste donne e dalle copertine che fanno sognare. Se poi lasciamo la lettura e passiamo in cucina abbiamo una ricetta facile e svelta oltre che buona, per preparare una torta di mele a base di biscotti da innaffiare con un bel bicchiere di vino dal Friuli che fa finalmente riprendere la bella serie sui vini, vitigni e donne del vino.
Davvero dulcis in fundo (mi permetto di preferire il latino allo strausato inglese in tutte le salse) la lettura del numero nove di Limes (non per niente anche qui il termine è latino). L’autrice anche questa volta ci fa viaggiare e ci rende assolutamente non ostico un argomento che scoraggerebbe chiunque: «La geopolitica come analisi dei conflitti di potere, militari, politici, culturali, economici deve essere studiata a scuola perché è in grado di offrire ai nostri e alle nostre giovani strumenti indispensabili per la comprensione di una realtà sempre più complessa. Durante l’incontro con le e gli studenti è stato dato in anteprima l’annuncio di una Scuola “Non accademia” di geopolitica e di governo, destinata soprattutto a universitari, ma anche a quadri aziendali e rappresentanti delle istituzioni, a cui ci si potrà iscrivere e che sarà operativa dal prossimo anno». E vi sembra cosa da poco? Un bellissimo azzardo educativo.
In questi giorni mi è capitato di riascoltare una poesia stupenda, di una poeta che amo, che ho cominciato ad amare per caso e non sono più riuscita ad abbandonare, come accade per quei grandi amori improvvisi che rapiscono in un turbine di incoscienza. Di lei ho scelto questi versi per un ulteriore omaggio a tutte noi e a tutti, perché nessuna passi più per la strada della violenza: «Sorelle, a voi non dispiace/ ch’io segua anche stasera/ la vostra via?/ Così dolce è passare/ senza parole/ per le buie strade del mondo — per le bianche strade dei vostri pensieri —/ così dolce è sentirsi/ una piccola ombra/ in riva alla luce —/ così dolce serrarsi/ contro il cuore il silenzio/ come la vita più fonda/ solo ascoltando le vostre anime andare —/ solo rubando/ con gli occhi fissi/ l’anima delle cose — Sorelle, se a voi non dispiace —/ io seguirò ogni sera/ la vostra via/ pensando a un cielo notturno/ per cui due bianche stelle conducano/ una stellina cieca/ verso il grembo del mare». (Antonia Pozzi, dicembre 1930).
Buona lettura a tutte e a tutti.
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Editoriale di Giusi Sammartino
Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpreti; Siamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.
Grazie Giusi, sei meravigliosa sempre.
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io non posso che ringraziarti Giulia. e’ la più grande ricompensa al lavoro
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