Un nome senza volto, a dispetto della rete: Gertrude Barrows Bennett, nata il 18 settembre 1883 a Minneapolis (Minnesota), non è la donna sorridente, con indosso un improbabile abito di trine e velluti, che appare in alcune pagine digitandone il nome su un motore di ricerca (questa è semplicemente un’altra Gertrude Bennett). Della scrittrice antesignana della fantascienza femminista, straordinaria per almeno un romanzo, The heads of Cerberus, non rimane neppure una fotografia.
L’identità di Gertrude, celata dallo pseudonimo maschile di Francis Stevens, è svelata non senza difficoltà e incertezze; la sua produzione (sei romanzi e sette racconti) concentrata nell’arco di alcuni pochi anni, dal 1917 al 1920 (con l’eccezione del primo e dell’ultimo racconto, pubblicati rispettivamente nel 1904 e nel 1923); la sua scomparsa — nel senso letterale del termine — nel 1939 e la sua morte costituiscono un mistero non risolto: soltanto all’inizio degli anni Duemila lo studioso di letteratura fantastica R. Alain Everts ne trova i certificati di nascita e di morte, quest’ultima avvenuta il 2 febbraio 1948 a San Francisco (California). Alla tenacia di Everts si deve anche la scoperta di documenti che attestano l’attività lavorativa della scrittrice.

Gertrude Myrtle Barrows nasce nel 1883, anche se molte fonti, sulla base di quanto scrive l’editore di fantascienza Lloyd Arthur Eshbach, suo primo biografo, la dicono nata l’anno successivo; è terzogenita di Charles e di Caroline ‘Carrie’ Hatch; suoi fratelli maggiori sono Clark e Reginald. L’infanzia di Gertrude è segnata dal lutto e dal dolore: suo padre muore nel 1892, Reginald — suicida — nel 1896, Clark nel 1899. Gertrude aveva appreso dai genitori l’amore per la lettura e la scrittura (come lei stessa afferma nel 1920 sulla rivista pulp “Argosy”, che pubblica suoi romanzi e racconti) e coltivava l’aspirazione di diventare illustratrice, ma la necessità di mantenere sé stessa la forza a cercare un impiego: lavora infatti come stenografa tra il 1901 e il 1904, negli uffici dei grandi magazzini Powers Mercantile Company e della Bank of Minnesota; nel 1903 scrive il suo primo racconto di fantascienza, The Curious Experience of Thomas Dunbar, che “Argosy” dà alle stampe nel marzo 1904, appena un mese dopo il compimento dei ventuno anni, la maggiore età, da parte di Gertrude. L’autore indicato in epigrafe al testo narrativo è G.M. Barrows: è evidente che l’utilizzo delle sole iniziali consente di celarne il genere (come è avvenuto in tempi più recenti per J.K. Rowling).
Il matrimonio con Charles Stuart Bennett, scrittore ed esploratore inglese, avviene intorno al 1909; la coppia si trasferisce a Philadelphia e qui, il 12 maggio 1910, nasce una bimba, Josephine. Il 25 dicembre dello stesso anno Charles muore nel naufragio della propria imbarcazione, la Lebra. «Otto mesi dopo la nascita della figlia Josephine — scrive Eshbach — nel 1910, il marito annegò durante una tempesta tropicale mentre partecipava a una spedizione per il recupero di un tesoro sommerso». La narrazione della tragedia è coerente con il profilo di Bennett, uomo amante del rischio: è riportata nell’introduzione alla ristampa di The heads of Cerberus del 1952 e probabilmente è stata riferita all’editore dalla figlia della coppia, che rappresenta la fonte principale di Eshbach stesso. In realtà le cose vanno diversamente: la puntuale ricerca di fonti documentali compiuta da Taylor (che si definisce «a writer who will always jump at the chance to blur genres», un’autrice sempre attenta alla possibilità di contaminare i generi) accerta la data esatta del naufragio, ridimensiona la portata avventurosa della scomparsa di Bennett (l’affondamento della Lebra fu dovuto a collisione con le barriere frangiflutti poste a protezione dell’isola di Key West, a sud-ovest della penisola della Florida) e apre a un nuovo mistero, pure irrisolto. Sia “The Pensacola Journal” (quotidiano diffuso in Florida) sia il “New York Daily Tribune” di mercoledì 28 dicembre 1910 riportano la notizia della tragedia, avvenuta la domenica precedente, che ha causato l’annegamento di cinque dei sei occupanti l’imbarcazione. L’unico sopravvissuto, Herman Parker, testimonia di aver visto morire «Captain Stuart Bennett, of New York, magazine writer and owner of the boat, and his wife». Non solo: afferma anche che la signora Bennett rimase aggrappata allo scafo dell’imbarcazione distrutta per sei ore prima che il mare in burrasca la portasse via, sommergendola (i documenti digitalizzati sono consultabili nel saggio di Taylor Navigation in the weird mind of Gertrude Barrows Bennett – The mother of dark phantasy [Pt.1], pubblicato in rete il 19 marzo 2020, in https://thefandomentals.com/gertrude-barrows-Bennettt-1/). E non è tutto: mentre il corpo di Charles è recuperato il 28 dicembre da alcuni pescatori, a quattro miglia dal luogo del naufragio, «no trace was found of Bennett’s wife», che finisce in fondo al mare con il mistero della propria identità (la notizia in “Lebanon Courier and Semi-Weekly Report from Lebanon, Pennsylvania” di venerdì 30 dicembre 1910).
Chi è la «Mrs. Bennett» morta per acqua insieme con il (presunto) marito? Non è Gertrude. Forse abbandonata (già nell’aprile 1910, perché il censimento effettuato a Philadelphia rivela che Charles non conviveva con Gertrude, al contrario della madre di lei), certamente tradita, la giovane donna (ventisette anni) è nuovamente posta nella condizione di dover mantenere sé stessa, la figlioletta, la madre ormai anziana. Riprende il lavoro di segretaria, ma il peggioramento delle condizioni di salute e la sopraggiunta invalidità di Caroline ‘Carrie’ Hatch la costringono a una costante assistenza domestica, probabilmente a partire dal 1917. E così, inizia nuovamente a scrivere.
«Per scrivere — annota Eshbach — in genere si chiudeva in una stanza del suo appartamento, e in quelle circostanze Annie Orloff, la sua padrona di casa, si prendeva maternamente cura di Josephine, o “Connie”, come la madre preferiva chiamarla. Non appena terminava una storia, Gertrude la leggeva subito alla figlia, da cui aveva le primissime reazioni: se a Connie non piacevano alcune parti, provvedeva regolarmente a riscriverle prima di spedire il manoscritto alle varie riviste». L’informazione è comprovata dal censimento del 1920, cui fa riferimento la writer Taylor: Gertrude e Constance Bennett (alias ‘Connie’, alias Josephine) vivono come pensionanti nella casa di Albert Orloff, un immigrato russo, e della moglie di lui, Annie. Non è menzionata la madre Caroline, forse morta in quello stesso anno.
Certo è che il 14 aprile 1917 su “All-Story Weekly” esce The Nightmare, il primo racconto di Gertrude con lo pseudonimo di Francis Stevens, che si ascrive a pieno titolo alla corrente dark-fantasy, capace di attraversare i generi, per esempio horror e science fiction, e di attrarre nella propria «notte buia e tempestosa», tra gli altri, autori e autrici quali Jacob e Wilhelm Grimm, Emily Brönte, Howard P. Lovecraft, John Ronald R. Tolkien, Philip K. Dick e il grande maestro della cinematografia Hayao Miyazaki…
«Questa è la prima opera di un nuovo autore molto promettente», scrive l’editore (al quale si deve la scelta dello pseudonimo maschile) nel presentare il racconto, di cui qualche anno più tardi Gertrude ricorderà il solo merito di «a rather grotesque originality», una certa grottesca originalità, che peraltro è la cifra caratteristica della sua scrittura.
Seguono nel 1918 i racconti Friend Island e Behind the courtain e i romanzi Citadel of fear e The Labirinth; nel 1919 i racconti Unseen-unfeared e The Elf-Trap e i romanzi The heads of Cerberus e Avalon; nel 1920 i romanzi Claimed e Serapion; pubblicato nel 1923 ma forse scritto in precedenza il racconto Sunfire. I pulp magazine che accolgono le opere di Francis Stevens sono principalmente “All-Story Weekly” e “Argosy”, che nel 1920, in seguito a fusione, danno vita a “Argosy Weekly”: sul «nuovo autore» si apre un dibattito appassionato tra lettori e cultori del genere pulp, che porta inizialmente a identificarlo con Abraham Merritt, riconosciuto maestro dark fantasy. Il mistero sarà definitivamente svelato soltanto nel 1952, grazie alla ristampa di The heads of Cerberus.

Dopo la morte della madre, Gertrude non è più costretta né al confino domestico né alla scrittura: secondo Eshbach, dopo aver ripreso l’attività di segretaria, per qualche tempo «continuò a vivere a Philadelphia e poi, quando la figlia si sposò, le loro strade si divisero ed ella si trasferì in California». Le due donne si scrivono regolarmente fino al 1° settembre 1939, quando Connie riceve una breve, enigmatica lettera da Gertrude (ancora una volta la fonte è Eshbach): «Vorrei scriverti subito, […] ma dovremo aspettare ancora un po’». Poi, il silenzio e il fallimento di ogni tentativo di ritrovare la madre da parte della figlia, fino alla scoperta relativamente recente del certificato di morte che ne localizza e ne data la scomparsa: San Francisco, 2 febbraio 1948. Otto anni e più di assenza e mistero irrisolti, degni di una signora del dark fantasy.

The heads of Cerberus (Le teste di Cerbero, titolo italiano Le teste del Cerbero), insieme con Citadel of fear (vicenda incentrata sulla riscoperta di una antica città atzeca e di un inquietante mondo perduto, altro rispetto a quello occidentale contemporaneo) e Claimed (che ispira i miti del grande antico Cthulhu di Lovecraft), rappresenta una delle opere meglio riuscite di Gertrude ed è anche l’unica pienamente ascrivibile al genere science fiction. Il romanzo è pubblicato con il consueto pen name di Francis Stevens dalla rivista pulp “The Thrill Book”, specializzata in «different stories». Ampie le concessioni al genere mainstream, a partire dai caratteri dei tre protagonisti: Robert ‘Bobby’ Drayton, giovane avvocato estromesso dall’ordine a causa di una accusa infamante e ingiusta, dotato di intelligenza e lealtà; Terence ‘Terry’ Trenmore, ricco collezionista di origine irlandese, dalla statura gigantesca e dal cuore generoso; Viola Trenmore, sorella diciassettenne di questo, bella e desiderabile ma anche coraggiosa e ribelle (va da sé che Robert se ne innamorerà e sarà ricambiato).
La narrazione prende le mosse dall’acquisto di un bizzarro oggetto di antiquariato da parte di Terry: una preziosa ampolla in cristallo di rocca, dal tappo in argento finemente cesellato attribuito a Benvenuto Cellini, che rappresenta le tre teste di Cerbero, il mostruoso cane mitologico posto a guardia degli Inferi. L’elemento più prezioso e misterioso dell’ampolla è però il contenuto: «Narra la leggenda […] che la polvere grigia al suo interno venne raccolta dal poeta Dante alle porte del Purgatorio»; elemento pericoloso, anche: «è incredibile quanti di essi [coloro che l’hanno posseduta] siano morti in tragiche circostanze o siano scomparsi dalla faccia della terra, lasciando dietro di sé nient’altro che uno sbuffo di fumo».

E in uno sbuffo di fumo i tre, per curiosità e per condivisione, se ne vanno da una tranquilla dimora signorile in Walnut Street a Philadelphia, ove si trovano in un giorno d’autunno del 1918, all’oscuro mondo di mezzo di Ulith, dal quale, dopo un tempo sospeso e indeterminato, fanno ritorno alla città d’origine (che significativamente è quella in cui Gertrude vive e scrive), con una differenza: l’anno che corre è il 2118. La città non pare molto cambiata, tanto che i protagonisti inizialmente non si rendono conto di aver compiuto un balzo in avanti di duecento anni: sull’altissima torre campanile della city hall svetta ancora la statua di William Penn, inglese di nascita, convertito alla religione dei quaccheri, fondatore della colonia della Pennsylvania e della stessa Philadelphia nel 1682; ma quando Bobby, Terry e Viola sono condotti in Municipio perché non portano «il bottone giallo di identificazione» si apre loro davanti «una scenografia da Mille e una notte».

La città è il luogo di una distopia oscurantista, ove governa un’aristocrazia corrotta e feroce, i cui componenti sono denominati Sua Supremità, Virtù, Misericordia, Bella, Forte, Furbo, Svelto (ricordo di Pon, Sin e Mor — ovvero Potestà, Sapienza e Amore — della Città del Sole di Tommaso Campanella?): questi opprimono un popolo rassegnato e senza nome, dopo averlo portato all’ignoranza chiudendo il perimetro urbano e impedendo alle persone di uscirne, vietando la lettura dei libri e la circolazione dei giornali. I reietti non hanno neppure un nome: questo è stato sostituito dal numero di identificazione impresso su un grande bottone giallo (inquietante premonizione) che essi sono condannati a portare. Al grado più basso della scala sociale le donne, valutate soltanto in ragione della loro bellezza, in una competizione crudele, o letteralmente ammazzate di fatica, come la Domestica Superlativa, «nominalmente Sovrintendente delle Donne di Pulizia e degli Spazzini della città»: ufficio che viene offerto a Viola, per quanto «l’ultima persona che l’ha occupato» sia morta per eccesso di lavoro.
Il romanzo, abilmente costruito, si snoda tra avventure rocambolesche e dialoghi ironici, fino allo scioglimento della vicenda grazie al ritorno nel proprio tempo dei tre protagonisti, che sono stati in visita in un universo parallelo nel quale, tra le infinite possibilità, la materia ha assunto forma imprevedibile; fino alla spiegazione, non magica ma (fanta)scientifica, del mistero della polvere del Purgatorio.

«Quali trame narreranno le marinaie quando saranno le donne a guidare le navi di linea? Ascolta il racconto della Vecchia Marinaia, profondo e sconosciuto quanto i mari inviolati!». È il lancio di Friend Island (L’isola amica, titolo italiano L’isola), che richiama esplicitamente The Rime of the ancient mariner di Samuel Taylor Coleridge (1798) e che presenta una società rovesciata rispetto a quella statunitense del 1918, nella quale le donne non hanno neppure il diritto di voto (lo otterranno nel 1920). Così l’io narrante — un uomo, coerentemente con il gioco di specchi predisposto con ironia dall’autrice — descrive la “Vecchia Marinaia”: «La prima volta la incontrai sul lungomare, in una di quelle piccole e misere caffetterie frequentate da marinaie povere […]. Il volto severo era abbronzato dal vento e dal sole, aveva un’età indefinibile. Mi ricordò una sopravvissuta dell’epoca delle turbine e dei motori a olio, una marinaia autentica, di quell’epoca antica in cui la superiorità della donna sull’uomo non era ancora riconosciuta. Il tempo in cui, per marcare il proprio potere, le donne di tutti i ceti sociali ostentavano maggior forza di quanto non facciano oggi».
Il gesto empio che porta a maledizione e punizione non è agito dalla Vecchia Marinaia, ma dall’uomo accolto sulla medesima Isola ove lei è approdata in seguito a naufragio: Isola amica, Isola viva, Isola con un cuore, che merita rispetto e gentilezza (femminili) e non tollera violenze e sgarberie (maschili). La consapevolezza ecologista ante litteram di Gertrude (che si trova poi quasi cinquant’anni più tardi in alcune delle Storie naturali di Primo Levi) è straordinaria: la concezione di un lembo di terra, o della Terra intera, come di un organismo vivente in delicato equilibrio che un secolo fa ascriveva il racconto alla science fiction è oggi un valore riconosciuto per la tutela del pianeta. Dopo aver ricordato «Ulisse, Gulliver, il barone di Munchausen», protagonisti dei «viaggi avventurosi dei vagabondi dei mari che raccontavano le loro storie prima che arrivasse il sesso forte e facesse scendere l’uomo dal suo piedistallo di eroe», l’io narrante conclude rassegnato che «ahimè, quelli erano soltanto uomini! In quale campo la donna non è superiore a noi?».

Non ha nulla a che fare con la science fiction, e soltanto in apparenza appartiene al genere dark fantasy, il racconto Behind the curtain (Dietro la tenda): ma dice molto, moltissimo di ossessione e controllo maschile, di aspirazione femminile alla libertà e all’autonomia, di crudeltà e femminicidio. Il finale è un magistrale colpo di scena di Gertrude, non poteva essere scritto che da una donna imprevedibile e ribelle, che vuole cambiare la società e la storia, e non lo rivelerò.

Dopo anni di oblio, Gertrude Barrows Bennett, alias Francis Stevens, incontra finalmente nuovo interesse anche in Italia: nel 2018 sono stampati da Urban Apnea Edizioni i tre racconti Unseen-unfeared, Behind the courtain e Friend Island (Il grande ignoto, Dietro la tenda e L’isola, leggibili in https://www.urbanapneaedizioni.it/prodotto/gertrude-barrows-Bennettt/); nel 2019 Black Dog ripropone il romanzo The heads of Cerberus, in nuova traduzione e con illustrazioni; per il 2021 Dagon Press ha in programma di pubblicare il romanzo Claimed, con il titolo Il re del mare.
L’opera di Gertrude rivede la luce: lei, nel mistero della sua scomparsa, sospesa nel tempo come una figura di donna dipinta da Edward Hopper, guarda da lontano.
In copertina. Edward Hopper, Cape Cod morning, 1950 (particolare).
***
Articolo di Laura Coci
Fino a metà della vita è stata filologa e studiosa del romanzo del Seicento veneziano. Negli anni della lunga guerra balcanica, ha promosso azioni di sostegno alla società civile e di accoglienza di rifugiati e minori. Dopo aver insegnato letteratura italiana e storia nei licei, è ora presidente dell’Istituto lodigiano per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea.