Chiunque sfogli un Atlante noterà che la nostra Penisola è perfettamente incastonata nelle onde, come afferma il bellissimo titolo dell’ultimo numero della rivista Limes, L’Italia è il mare, uscito in contemporanea con Le giornate del mare. L’originale convegno avrebbe dovuto tenersi in presenza a Trieste (chi leggerà la rivista capirà il perché della scelta di questa città) ma, in tempi di pandemia, si è tenuto a Roma, con importanti ospiti italiani e stranieri, collegati da remoto. Non si può fare a meno di notare che il parterre di ospiti e moderatori del festival del mare era composto esclusivamente da uomini.
Curiosa e con un effetto straniante in questo consesso tutto al maschile la voce femminile che traduceva gli interventi degli esperti di strategia navale, tra cui tra gli altri il teorico della Patria Blu turca. Dietro il titolo affascinante e significativo della rivista si celano articoli che si occupano delle potenze marittime nel mondo e che affrontano una serie di conflitti di potere in materia militare, economica, commerciale. La forza della rivista di Caracciolo sta in questo: nel metterci di fronte alla realtà geopolitica del mondo. Non nego che per una donna occuparsi di questioni di strategia marittima e militare sia difficile. Da un lato la curiosità di conoscere e capire un mondo da sempre pensato al maschile è tanta, dall’altro altrettanto forte è la sensazione di estraneità di fronte a un mondo costruito su logiche di potere e di supremazia in cui l’esercizio preferito consiste nel mostrare i muscoli per affermare la propria forza o difendere la propria posizione strategica.

Secondo Lucio Caracciolo, nel suo editoriale «Non moriremo guardiani di spiaggia», ragioni storiche, strategiche e demografiche ci hanno sempre fatto dare priorità alla Terraferma, guardando alle Alpi e alla Mitteleuropa. Abbiamo dimenticato il mare e la sua importanza geostrategica e geopolitica per l’Italia, che non ha mai ragionato da Paese marittimo, pur essendo affacciata sul mare. Interessante la scelta della rivista ricordata dal suo direttore di dare un nuovo nome al Mediterraneo e di chiamarlo Medio Oceano, per il suo essere tramite tra il mondo dell’Indo-Pacifico, quello in cui si svolge la competizione centrale tra Stati Uniti e Cina ma anche quello da cui passano i principali traffici mercantili tra Mondo Asiatico e Europa, e l’Atlantico.
L’Italia dipende dal mare per il 90% delle merci che vi transitano.
Essendo quasi completamente priva di materie prime, di queste merci ha bisogno, per trasformarle e farle circolare. Non dimentichiamo che, come ci ricorda Luca Sisto nel suo articolo Senza una regia unica per l’economia del mare, l’Italia affonda, nella nostra Penisola la blue economy ha prodotto negli ultimi anni circa 130 miliardi di euro senza avere attivato il suo potenziale inespresso. Via mare transitano il 57% delle nostre importazioni e il 44% delle esportazioni. Ma qui emergono le prime criticità, che riguardano il sistema portuale e le strutture, prive di una cabina di regia centrale. Come ha ricordato il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, disperdere l’immenso “patrimonio liquido”, come lui stesso lo ha definito, potrebbe rappresentare l’ennesimo torto di cui dovremo rispondere alle generazioni future.
Dall’intervista con l’ammiraglio Cavo Dragone si evince che la nostra Marina potrebbe a breve essere impiegata nel Mar Cinese Meridionale, dal momento che Washington sta effettuando una vera e propria “chiamata alle armi” ai suoi alleati e alla nostra flotta. In quello che Caracciolo definisce il Mediterraneo asiatico, la Cina sta estendendo il suo controllo. Questo comportamento indispettisce sia i Paesi vicini che gli Usa, che chiamano a raccolta l’Australia, l’India e il Giappone, alleati indopacifici. La nostra Marina oggi è impegnata nel cosiddetto Mediterraneo allargato in azioni antipirateria, nel Golfo di Guinea, nel Mar Rosso e nell’Oceano Indiano e in Libia, dove peraltro si sono già posizionate altre potenze: la Russia in Cirenaica e la Turchia in Tripolitania. Il Mediterraneo allargato, come emerge dalle bellissime cartine di Laura Canali, è sempre più dilatato con confini estesi e labili. La crisi libica ha attirato Francia e Turchia e, indipendentemente da ciò che affermano le Convenzioni Onu, ogni Paese fa valere una sua Zona Economica Esclusiva i cui confini si allargano a dismisura, fino a 200 miglia marine. Ma il Mare, secondo Caracciolo, è un territorio, non solo una distesa d’acqua. E una Marina efficiente potrebbe invece far rispettare le nostre coste.

Leggendo questo numero della rivista di Geopolitica apprendiamo che la nostra Marina, rivale come ovunque nel mondo con l’Aviazione, è seconda solo agli Usa, che peraltro attualmente sono impegnati a contrastare la Cina e, in Unione Europea, alla Francia, con il ritiro della Gran Bretagna a seguito della Brexit. La punta di diamante della nostra Marina è la portaerei Cavour, impegnata in una disputa con l’Aviazione per poter utilizzare gli F35 b, programmati per decollo e l’atterraggio verticale. La Marina Italiana è sempre stata vista – secondo un’interpretazione che Caracciolo definisce “restrittiva” della nostra Costituzione, e su cui mi permetto di dissentire – come una potenza diplomatica che non arriva mai a dispiegare la forza. Su questo punto la rivista è estremamente critica, definendo la stessa poco bellicosa proprio in un momento in cui le altre potenze non si fanno alcuno scrupolo a estendersi nel Mare che ci circonda e a creare ZEE. Il caso dell’Algeria, che è arrivata a lambire la Sardegna, è emblematico. Fortunatamente una recente legge ha creato anche una ZEE italiana.

Caracciolo ci ricorda che il mare non è solo ciò che si trova in superficie, ma anche risorse minerarie e cavi sottomarini di internet, esposti ad azioni ostili. «Il fondo marino accoglie la fitta rete di cavi che assicurano la quasi totalità del traffico Internet globale, esposta a violazioni o interruzioni dolose grazie alle nuove tecnologie in campo subacqueo». (Montanaro, Bielli Panebianco). Da qui il riarmarsi di sottomarini con missili terra acqua di molte potenze.
L’Italia ha una scarsa coscienza marittima e bisognerebbe partire dalle scuole per creare questa consapevolezza. Sarebbe anche necessario creare un’agenzia del Mare o un Ministero del mare, come ha fatto Macron, in grado di cogliere tutte le potenzialità che può offrire a un Paese che è affacciato per 8 mila chilometri quadrati di coste sul mare. Il mare non è solo Marina Militare, ma anche Marina Mercantile, Navi da crociera, Fincantieri e molto altro. Come ci ricorda Maronta, nel suo articolo Il virus non è idrofobo. L’impatto del Covid-19 sull’Italia marittima «Per economia marittima, in Italia, si intendono essenzialmente tre comparti: manifatturiero (cantieristica e pesca), terziario (trasporti via mare, porti e connessa logistica) e istituzioni (Marina militare, capitanerie di porto-Guardia costiera, Autorità portuali, attività dell’Inail concernenti il settore marittimo). In tempi «normali» – assente il coronavirus – al comparto marittimo così definito è ascrivibile circa il 2% del Pil nazionale, pari a quasi 34 miliardi di euro l’anno 1. Un contributo significativo, in gran parte (29,6 miliardi) connesso alle attività manifatturiere e terziarie. Qui la parte del leone è svolta dai trasporti marittimi (12,2 miliardi di euro), seguiti da porti (6,5 miliardi), cantieristica (12,6 miliardi, metà dei quali riferibile al vasto indotto dei cantieri navali) e pesca (1,7 miliardi)».
Bisognerebbe cambiare la narrazione dell’Impero romano, descritto nelle scuole soprattutto come potenza terrestre e ricordare le nostre Repubbliche marinare, soprattutto Venezia e Genova. Su questo punto il ricordo della Battaglia di Lissa, raccontata con la consueta precisione da erudito del Direttore, ci apre gli occhi e ci fa pensare. Occorre guardare la terra dal mare e non restare guardiani di spiaggia, pronti a esaminare al massimo il livello di inquinamento dell’acqua. Quello che fu il mare nostrum oggi è divenuto «via acquatica di collegamento fra le masse oceaniche… Mera sezione locale di un sistema d’estensione planetaria dispiegato dall’Atlantico all’Indo-Pacifico, dove si deciderà la partita per l’egemonia planetaria fra Stati Uniti e Cina e in cui presto potremmo esser chiamati a recitare una parte anche noi».
Dario Fabbri, in Italia, Penisola senza mare, ci ricorda nel suo saggio storicamente documentatissimo, come le classi dirigenti settentrionali nella storia abbiano sempre guardato alle Alpi e alla Mitteleuropa ( concetto recentemente richiamato, con scarsa consapevolezza storica, anche dal Presidente di Confindustria Bonomi) e scrive: «La soggezione del Settentrione – e non solo – per il Nord Europa ci allontana pericolosamente dal Mediterraneo, dal nostro fisiologico campo d’azione, dal contesto in cui esiste la prima di linea di difesa. Lo sguardo perennemente puntato Oltralpe ci impedisce di cogliere cosa capita Oltremare. Come se gli Stati Uniti sognanti il Canada negassero la preminenza del Golfo del Messico, laddove un potenziale nemico può colpirli al cuore, possibilmente risalendo il Mississippi».
Nel numero di novembre sono particolarmente da segnalare due articoli di Maurizio Eliseo, Le città sul mare. L’epopea dimenticata dei nostri Transatlantici e La storia che non raccontiamo. Come recuperare la memoria marittima, che invita a fare investimenti nei Musei marittimi e nell’archeologia industriale. Certamente questa parte di spesa in cultura servirebbe a far crescere la consapevolezza dell’importanza della nostra storia navale e del contributo dell’economia marittima al Pil italiano, al turismo marittimo, all’occupazione. Tutta la seconda sezione, Campanili sul mare, che dedica molto spazio alle questioni riguardanti il porto di Trieste, merita di essere lettaoltre aitanti spunti offerti dalle diverse Parti: Il mare non bagna l’Italia, Medioceani contro e L’Italia nel Triangolo Atlantico-Indo-Pacifico.
In questa sezione consiglio la lettura dell’articolo di Edward Sing Yue Chan, a conclusione del quale si apprende che «La Cina aumenterà certamente la sua proiezione, ma prevalentemente sul piano geoeconomico e mediante strumenti quali l’«economia blu». Diventerà dunque una potenza marittima, non un impero dei mari». Sul piano economico è ben raccontato da Cuscito, nel suo scritto Le vie della seta non portano in Italia, che «la crescita dell’interazione italiana con la Cina è inversamente proporzionale all’intensificarsi del duello tra quest’ultima e gli Usa».

Un altro articolo estremamente interessante è Noi contro i petropirati del Golfo di Guinea, dove viene descritta la zona di elezione della pirateria su scala mondiale: il mare prossimo alle coste dell’Africa occidentalein cuisi concentrano importanti interessi commerciali ed energetici italiani: «secondo il rapporto Sace 2020 i nostri commerci con i paesi dell’Africa subsahariana – malgrado la flessione per l’emergenza Covid-19 – si attestano sui 5,5 miliardi di euro. Quanto alle merci per gran parte si tratta di mezzi di trasporto, chimica, apparecchi elettrici, tessile e abbigliamento, attività estrattiva e metalli. La quasi totalità viaggia via mare». La Nigeria è, dopo il Sudafrica, il secondo mercato di destinazione delle merci italiane in questa macroregione. In Nigeria sono presenti da moltissimi anni Eni e Saipem. Queste multinazionali si sono insediate nel delta del Niger, con piattaforme di estrazione e un’importante flotta navale. Negli anni «hanno subìto numerosi attacchi, sabotaggi e rapimenti, a tratti sfociati in una vera e propria guerriglia. Una situazione di conflitto che è all’origine dei fenomeni più attuali e gravi di criminalità e pirateria nel Golfo, che qualcuno ha efficacemente definito «petropirateria». Il delta del Niger, che era uno dei paradisi naturali della regione, è stato devastato dagli interessi petroliferi ed energetici. Sono nati quindi movimenti di guerriglia delle popolazioni locali «che soffrono di costante emarginazione, anche politica, e di rappresentatività negli organi del governo centrale. Lo sfruttamento delle risorse, lo sversamento di petrolio in mare, il gas flaring, hanno danneggiato l’ecosistema, causando problemi sanitari e lo sfollamento di moltissimi abitanti, la cui sussistenza dipende esclusivamente dalla pesca e dall’agricoltura. L’insufficiente risposta del governo, tenuto in pugno dai militari, le attività delle multinazionali petrolifere e la scarsa governance hanno così radicalizzato diversi movimenti giovanili di protesta, che negli anni hanno dato vita a gruppi paramilitari». Come non ricordare, a tale riguardo, il poeta, scrittore, drammaturgo e attivista Ken Saro- Wiwa, che si era battuto contro la Shell a nome della popolazione degli Ogoni, giustiziato e impiccato da un maldestro boia, che ne dovette ripetere per quattro volte l’esecuzione, per impiccagione, il 10 novembre 1995?
Non sarebbe male ricordare che l’Italia ha la quinta flotta di bandiera tra le maggiori economie riunite nel G20 (la seconda tra quelle occidentali), la leadership mondiale nel settore delle navi ro-ro – per lo più impiegate nel cabotaggio marittimo e sulle «autostrade del mare» – e la quinta flotta di navi cisterna per il trasporto di prodotti petroliferi. Luca Sisto ci ricorda anche che abbiamo il primato mondiale nella costruzione di navi da crociera e megayacht; la nostra flotta da pesca è la seconda del Mediterraneo e che è in grande sviluppo l’acquacoltura. Anche il nostro sistema dei porti, pur permanendo problemi di infrastrutture, è ancora il terzo in Europa per volumi di merce trasportati ed è leader europeo per movimento di navi da crociera e di crocieristi». L’Ocse prevede che nel 2030 il contributo dell’economia del mare al valore aggiunto mondiale potrebbe raddoppiare.

Il numero di novembre di Limes è come sempre denso e ricco di spunti, approfondimenti, informazioni che potrebbero essere molto utili ai docenti di storia e geopolitica per lezioni appassionanti. Il suo merito più grande risiede in uno sguardo veramente geopolitico, quello che manca ai media nazionali e alle loro monotone narrazioni, eccezion fatta per trasmissioni di nicchia come la Rassegna della stampa internazionale di Radiotremondo e pochi altri Think tank.
Spiace solo che tra gli autori degli articoli non ci sia nemmeno il nome di una donna. Ma forse non c’è atteggiamento più rispettoso della realtà, in questo caso. La guerra e le esibizioni di potenza muscolare sono patrimonio del genere maschile nella società patriarcale costruita con il suo sguardo e i suoi valori. Come sempre per fortuna a Laura Canali sono assegnate le bellissime cartine di Limes.
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Articolo di Sara Marsico

Abilitata all’esercizio della professione forense dal 1990, è docente di discipline giuridiche ed economiche. Si è perfezionata per l’insegnamento delle relazioni e del diritto internazionale in modalità CLIL. È stata Presidente del Comitato Pertini per la difesa della Costituzione e dell’Osservatorio contro le mafie nel sud Milano. I suoi interessi sono la Costituzione , la storia delle mafie, il linguaggio sessuato, i diritti delle donne. È appassionata di corsa e montagna.
Questi appuntamenti di conoscenza con la geopolitica attraverso la rivista Limes sono imperdibili. Grazie per la chiarezza!
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