Alla ricerca della scuola perduta. Pensieri alla rinfusa durante la “mitica” Pandemia

Ascoltando Libro privato di Alessandro Baricco, scopro che bisognerebbe pensare la Pandemia come una creatura mitica. «Molto più complessa di un semplice evento sanitario — afferma Baricco — rappresenta piuttosto una costruzione collettiva in cui diversi saperi e svariate ignoranze hanno spinto nella stessa direzione… tutto ha lavorato per generare non un virus, ma una creatura mitica che dall’incipit di un virus si è impossessata di ogni attenzione, e di tutte le vite del mondo». Infatti, la vera Pandemia riguarda l’immaginario collettivo prima che i corpi degli individui. È la deflagrazione di una figura mitica, a una velocità e con una potenza che ha lasciato tutte e tutti sconcertati. Attenzione però, mito non è sinonimo di evento irreale o fantastico. Il mito è ciò che porta l’indistinto di ciò che accade alla forma compiuta di ciò che è reale. Il mito è forse la creatura più reale che c’è. Con questo abbiamo a che fare.

«Narrare la pandemia a cittadine e cittadini responsabili — dice Donatella De Cesare — né colpevolizzati né fomentati contro gli altri, significa far capire che il coronavirus è un evento che ha già segnato questo secolo. Non è una parentesi che si chiuderà presto, ma l’ingresso in una nuova epoca imponderabile… servono un’agenda con priorità da perseguire e una narrazione in cui riconoscersi. Mai come ora toni, accenti, parole dovranno essere consoni all’evento epocale che viviamo». E noi aggiungiamo che questa seconda ondata sembra peggiore della prima, come ogni recidiva ha un potere traumatico ancora più potente, ora c’è la colpa, lo sapevamo e non abbiamo fatto niente. Questo significa che il panico è intessuto con un vissuto depressivo, il trauma non è facendo il confronto con il passato, ma pensando a un futuro che non riusciamo a ipotizzare, a intravvedere.

Eppure, la paura è un delicatissimo dispositivo di difesa. Va attraversata per restare vive/i. Siamo costrette/i ad aver cura di noi stessi, a pensare al nostro benessere per portare giovamento a chi ci viene affidato. Mi riferisco, naturalmente, alle giovani vite che attraversano il cammino di noi docenti. Perché ora abbiamo compreso che il nostro compito, in classe o a distanza, è saldare educazione e insegnamento. Oggi la normalità non può essere semplice trasmissione di nozioni perché questa mitica pandemia si traduce nelle generazioni in formazione in instabilità emotiva e questa si concilia soltanto con stili di insegnamento partecipativi. Solo così l’emergenza può essere una risorsa, la riscoperta della priorità della relazione umana che si libera della didattica preoccupata di programmi da svolgere e valutazioni numeriche da produrre. Ma che sia chiaro, ragazze e ragazzi hanno bisogno della scuola. Come diceva Churchill in tempi di guerra, un governo che non investe su di loro è criminale. Se non investiamo sul futuro del mondo dove possiamo trovare la forza per combattere, per resistere? Dobbiamo vivere per qualcosa, trovare un senso. Loro sono l’unico senso possibile.

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Articolo di Vera Parisi

Insegna Filosofia e Storia al Liceo Scientifico Dell’IIS Matteo Raeli di Noto. È referente dei progetti PTOF Toponomastica femminile – Sulle vie della parità ed Educazione relazionale-affettiva e C.I.C. Parte del gruppo Noto/Avola di Tf, è attualmente interessata alle tematiche relative alla comunicazione relazionale, alla cittadinanza attiva e alle pari opportunità, sulle quali svolge il ruolo di formatrice.

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