Editoriale. Fra incertezze e voglia di ricominciare

In questo primo editoriale “blu” del nuovo anno 2021, possiamo partire con le poche ma importanti parole che il Presidente Sergio Mattarella ha dedicato alla scuola, proprio all’inizio del suo discorso di fine anno: «Vorremmo tornare a essere immersi in realtà e in esperienze che ci sono consuete. […] Scuole e Università aperte», con quel condizionale desiderativo che è tutto un programma. Condividiamo anche la sua difficoltà nell’esprimere gli auguri quasi fosse un passaggio da un anno all’altro come i precedenti, mentre è impossibile non ricordare che per ritrovare una situazione simile, di chiusura e limitazioni nella libertà di movimento, occorre risalire agli anni dell’ultima guerra vissuta in Italia.
Certo le incertezze sono ancora molte: ci saranno vaccini per tutti/e? Arriveranno in tempi rapidi? La scuola — docenti, studenti e personale scolastico — sarà considerata ambito prioritario per la somministrazione del vaccino in tempi utili per mettere tutti/e in sicurezza e poter ricominciare a pieno ritmo? Ecco, ripartire… ma per far tornare tutto esattamente come prima oppure con la consapevolezza di voler affrontare in modo diverso la realtà scolastica, per non disperdere gli insegnamenti che anche una tragedia come la pandemia può aver dato?

Ora “forse” la scuola riprenderà sempre più in presenza: l’ultimo Consiglio dei Ministri del 4 gennaio è intervenuto sull’organizzazione dell’attività didattica nelle istituzioni scolastiche secondarie di secondo grado, con la previsione della ripresa dell’attività in presenza non il 7 gennaio, come per gli altri ordini di scuola, ma a partire dal prossimo 11 gennaio e solo per il 50 per cento delle/degli studenti.
Ho chiesto a docenti amiche di mandarmi opinioni ed esperienze su quali aspetti hanno vissuto intorno a loro come limiti della Didattica a distanza e quali insegnamenti, invece, la Dad può aver dato e che è importante rimangano nella scuola italiana. È opportuno, infatti, oltre ad approfondire l’argomento con letture di esperte/i in pedagogia o sociologia, ascoltare anche la voce di chi lavora “sul campo” e vive la realtà quotidiana “sulla propria pelle”.
Le risposte che ho ricevuto vedono come principali problemi della Dad la diminuzione della capacità empatica e comunicativa del/della docente, che passa anche attraverso una fisicità che ora manca, con il rischio di demotivare le/gli studenti; un danno alla socializzazione delle/degli adolescenti ai quali manca il contatto quotidiano con le/i pari, che non può essere totalmente sostituito dai social, almeno non troppo a lungo, se non con gravi rischi; una pratica della valutazione solo come accertamento e misurazione delle prestazioni e non come attenzione alla crescita emotiva e intellettiva in un contesto educativo: l’apprendimento passa dalla relazione, in modo particolare tra le/i piccoli della Primaria; la presenza di un forte rischio di dispersione dei soggetti fragili; le/i ragazzi stessi lamentano le troppe ore che devono trascorrere davanti a uno schermo fra lezioni, compiti e contatti personali: alcune/i affermano di rimanere collegati anche 10 ore e più al giorno e in un CdC di una quinta c’è stata la richiesta che potesse essere lasciato loro il tempo per leggere libri cartacei; soprattutto chi ha “sperimentato” molto non può che sentire la mancanza della scuola in presenza: i percorsi narrativi, teatrali, hanno bisogno di presenza, solo per fare degli esempi (difficilmente si sarebbe potuto portare a compimento, in tempo di lockdown, il bel progetto del laboratorio teatrale del liceo “Paleocapa” di Rovigo, premiato nella scorsa edizione del Concorso “Sulle vie della parità” e qui presentato); infine è un limite il fatto che le varie piattaforme siano usate come semplici contenitori in cui inserire materiali di studio o esercitazione, e non anche per mantenere relazioni.
La pandemia, che ha costretto a un uso esclusivo della Dad, ha però anche permesso la possibilità di riflettere su una rinnovata professionalità docente, capace di scegliere fra le esperienze migliori per ridefinire criteri e modalità di insegnamento-apprendimento, oltre ad aver incentivato percorsi volti a responsabilizzare le/gli studenti, in periodo di emergenza, e sensibilizzarli al valore del prendersi cura di sé e del mondo.
La maggior parte delle/dei docenti ha reagito dando esempio di grande responsabilità e impegno incessante per superare tutte le difficoltà e i limiti della Dad, dimostrando una fondamentale voglia di ripartire e procedere meglio di prima, con la consapevolezza che la scuola italiana ha un importante gap informatico da recuperare. La scuola è sempre stata un mondo complesso e di notevole impegno: oggi, con il protrarsi dei lockdown, affermano diverse colleghe, implica un livello di stress elevatissimo, sia per chi insegna dietro lo schermo sia per le tante/i genitori che spesso devono affiancare le/i figli, soprattutto se sono alunni/e della scuola dell’infanzia o primaria. Una collega così sintetizza: «Da responsabile per la Dad nella mia scuola, dico solo che è un’altra modalità che va sicuramente bene quando deve integrare quella tradizionale. Da sola, nonostante i diversi strumenti presenti nel web per seguire le/i ragazzi in sincrono, non è adeguata perché manca l’aspetto umano ed empatico che caratterizza il nostro lavoro». Un’altra collega chiosa: «La Dad ci ha insegnato quanto è bella la scuola in presenza», ma aggiunge: «che cosa sarebbe successo se una pandemia del genere fosse esplosa […] anche soltanto una quindicina di anni fa? Probabilmente l’anno scolastico non si sarebbe potuto concludere e l’unica soluzione possibile sarebbe stata non dare a esso alcuna validità».
Quindi ombre e luci sulla Dad, che, nel balletto delle sigle che da qualche decennio accompagna il lessico della scuola italiana, è diventata Ddi (Didattica digitale integrata), su cui una docente ha voluto intervistare la sua classe, perché è giusto che siano anche ragazzi/e «ad avere il diritto di parlare». Più ombre che luci, poi, si riscontrano se si pensa a studenti con Bes (Bisogni educativi speciali), per le/i quali molta strada deve ancora essere percorsa perché un’effettiva inclusione nella classe e nella scuola possa essere raggiunta.

A proposito del dovere di vaccinarsi, come scelta di responsabilità, il Presidente Mattarella, sempre nel suo discorso di fine anno, ha affermato: «La scienza ci offre l’arma più forte, prevalendo su ignoranza e pregiudizi». Questo è anche uno dei compiti più importanti della scuola, formare intelligenze critiche che sappiano affrontare la realtà con sguardo attento a cogliere gli insegnamenti del passato, senza porli in contraddizione con i nuovi traguardi e le trasformazioni del presente. Questo sguardo è ora che giunga a essere anche uno sguardo di genere, che porti a riconoscere il fondamentale apporto delle donne nella storia e nella società: molti progetti didattici, soprattutto nell’orientamento, tendono a favorire le scelte scolastiche e lavorative delle ragazze verso le discipline STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria, Matematica) e anche il Concorso “Sulle vie della parità” prevede un ambito in questa direzione: « Far conoscere figure femminili, che hanno amato le discipline scientifico/tecnologiche tanto da dare un contributo davvero significativo al loro sviluppo, perché diventino modelli per le ragazze. In Italia, infatti, la percentuale di donne che occupano posizioni tecnico-scientifiche è tra le più basse dei Paesi Ocse: il 31,7% contro il 68,9% di uomini e solo il 5% delle 15enni italiane aspira a intraprendere professioni tecniche o scientifiche».
Una bella notizia, per un riequilibrio di genere, è il corso di formazione online per docenti e studenti di scuole superiori e atenei, organizzato da Toponomastica femminile nell’ambito del Progetto editoria, finanziato dalla Regione Lazio (in questa prima edizione il corso sarà aperto a un max di 14 partecipanti, su prenotazione). Le esperte wikipediane Susanna Giaccai e Camelia Boban illustreranno le caratteristiche e l’utilizzo di Wikipedia e Wikidonne. Affronteranno temi quali l’analisi delle fonti, il Copyright per l’uso delle immagini, i diritti d’autore, i criteri di enciclopedicità e le regole per la scrittura di una biografia… tutto con esercizi pratici a schermo condiviso e assegnazione di esercizi, per chi seguirà il corso, in modalità semplificata. Diversi corsi del genere, organizzati sempre da Tf, sono già stati realizzati in molte scuole ed è importante che vi partecipino anche e soprattutto le ragazze, perché occorre superare il gender gap che vede una netta prevalenza di autori, rispetto alle autrici, delle voci che, di conseguenza, presentano decisamente più personaggi maschili che femminili: «Le pagine biografiche dedicate alle donne sulla piattaforma non arrivano al 20%. Per quanto riguarda quelle in lingua italiana la percentuale scende ulteriormente. Si ferma al 15% secondo gli ultimi dati diffusi proprio da Wikipedia. È la stessa enciclopedia ad ammettere di avere un gap di genere. Un problema che è fortemente legato alla scarsa presenza delle donne all’interno di questo grande contenitore online. Solo il 10% di chi si occupa di editing e scrive le voci di Wikipedia è donna» si legge in un articolo di Federica Ginesu su “alleyoop.ilsole24ore.com”. E proprio per questo è nata Wikidonne, con lo scopo di migliorare la copertura di argomenti che riguardano le donne in Wikipedia, stilando liste di voci (da creare ex novo, da migliorare e da tradurre) e organizzando eventi. Come ripete spesso la presidente Tf Maria Pia Ercolini: «Più voci, più voce!»

Un’altra importante eredità, che questo periodo pandemico ci lascerà e che non deve essere trascurata o dimenticata, è l’attenzione e la riscoperta del concetto di cura, nei suoi molteplici significati non solo legati alla malattia o ai farmaci, ma al promuovere benessere nella solidarietà con gli altri/e. Legato a questo c’è il preoccuparsi non come sterile lamentela, ma inteso come quel prendersi cura di sé e del mondo che permettere di ricostruire ciò che è crollato.
Una declinazione di questo concetto ha avuto spazio nel Concorso “Sulle vie della parità” inteso come sorellanza, con l’indicazione alle classi di: «Indirizzare la ricerca a scoprire figure femminili, soprattutto locali, che si sono spese per il benessere di tante altre persone. C’è un potente legame di condivisione e sostegno che le donne sviluppano e che, soprattutto nei momenti di crisi, crea reti in grado di sprigionare energia e creatività impensabili». In questo sono un grande esempio le Giuste, di cui in questo numero di Vitamine vaganti si possono leggere le biografie di Ecaterina Teodoroiu, attiva durante la Grande Guerra, e Diana Obexer Budisavljevic, che salvò moltissime bambine e bambini detenuti nei campi di concentramento.

Un bel ricordo, in questo caso personale e intimo, di sorellanza intesa come complicità e solidarietà femminile, si può leggere in Senso di appartenenza, con la scoperta adolescenziale dei misteri del corpo femminile e dell’amore.
Anche il romanzo Ragazza, di Edna O’Brien, parla della storia di un’adolescente, Maryam, ma in un contesto terribile di guerra e crudeltà in Nigeria, in cui, rapita bambina dai seguaci della setta Boko Haram, perde nelle violenze e nel sangue l’innocenza dei suoi primi anni e solo dopo indicibili sofferenze trova, diventata donna e madre, sollievo e sorellanza nell’affetto di alcune suore coraggiose e in un convento, vissuto come un’oasi di pace.
La difficoltà dell’integrazione è raccontata in prima persona da Said, ragazzino nato in Francia da genitori algerini, protagonista del libro di Brigitte Smadja, consigliato come lettura per comprendere i pericoli del bullismo e dell’emarginazione, sconfitti dalla voglia di riscatto e da chi riesce a dare un aiuto autentico.
Un’altra storia di immigrazione e integrazione, a lieto fine, si può leggere ne Il coraggio della timidezza, in cui un’educatrice ci racconta la vicenda di una ragazzina che, da studente timida e spersa diventa avvocata brillante e sicura di sé.
Aiuta moltissimo la scuola a offrire una buona formazione il non ridurla a tecnicismi e programmazioni, il saper andare oltre l’utilità immediata, il fatto che sappia «dare voce ai saperi invisibili» e spazio all’immaginazione, riconosca il potere sovversivo delle storie! E la storia stessa, come materia scolastica, non deve essere arido susseguirsi di date e nomi, erudizione fine a sé stessa, antiquariato, ma saper affascinare con la scoperta dell’umano, dei vissuti, delle storie, ricercate in fonti come «tracce che gli uomini e le donne del passato hanno lasciato, volontariamente o involontariamente, e che oggi ci sono utili per ricostruire quello che è stato».
Lo studio del passato, condotto con occhio libero da pregiudizi, può portare a interessanti scoperte e a superare stereotipi consolidatisi in modo acritico nel tempo, come nel caso del binomio donne e sport.
Gli stereotipi di genere, che ingabbiamo donne e uomini in ruoli rigidi che risultano penalizzanti e limitanti soprattutto per le donne, ma per alcuni aspetti anche per gli uomini, possono essere smascherati anche “giocando”, divertendosi insieme in un bel gioco da tavolo, che fa mettere nei panni dell’altro/a, come ci racconta Rigenerati!
Infine sono gli stessi stereotipi, che impongono alle donne di primeggiare in bellezza, trucchi, moda e seduzione, a essere alla base di quel fenomeno riprovevole delle baby-miss e baby-modelle, che può essere definito una vera e propria violazione dell’infanzia! La denuncia di questi e altri fatti inaccettabili, come le tante pubblicità sessiste ed espressioni misogene, è ciò che di meglio può fare la scuola per educare ragazze e ragazzi a diventare donne e uomini libere/i e cittadine/i responsabili.

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Articolo di Danila Baldo

Danila Baldo

Laureata in filosofia teoretica e perfezionata in epistemologia, coordina il gruppo diade e tiene corsi di aggiornamento per docenti, in particolare sui temi delle politiche di genere. È referente provinciale per Lodi dell’associazione Toponomastica femminile. Collabora con con Se non ora quando? SNOQ Lodi e con IFE Iniziativa Femminista Europea. È stata Consigliera di Parità provinciale dal 2001 al 2009 e docente di filosofia e scienze umane sino al settembre 2020.

 

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