Francese d’adozione, l’autrice del testo Brigitte Smadja è nata a Tunisi, ma lascia il suo paese ancora ragazzina per trasferirsi in Francia, dove ha modo di conoscere e vivere tutti i problemi di un’immigrata come lei. Nonostante le tante difficoltà incontrate, riesce a studiare brillantemente in scuole prestigiose, diventando poi insegnante e autrice apprezzata di più di una trentina di romanzi per adolescenti, ma anche per adulti. Nelle sue tante storie che possiamo immaginare, in parte anche autobiografiche, si parla spesso di sentimenti, di luoghi e ambienti urbani degradati, di atteggiamenti di odio e di razzismo, dove la violenza e la prevaricazione sono di casa.
L’autrice, nei suoi vari testi, è ritornata spesso sui grandi temi dell’emigrazione che un paese come la Francia, che pure l’ha accolta e le ha consentito di studiare e di avere nella società una posizione rispettabile, non ha efficacemente affrontato e continua a non risolvere pienamente, ieri come oggi. Il fenomeno delle proteste e delle vere e proprie rivolte della banlieue parigina, che una quindicina di anni fa riempirono le cronache dei media, continuano a permanere, a bruciare sotto la cenere in attesa di esplodere, denunciando le gravi contraddizioni di istituzioni che non sono riuscite o non hanno fatto abbastanza per sanare lacerazioni profonde, il senso di odio e di diffidenza reciproca tra la popolazione francese e gli immigrati, mai inseriti compiutamente nella vita sociale e politica del paese. Eppure l’autrice sembra riconoscere e dare un’enfasi particolare, proprio in questi contesti difficili, alla cultura, alla potenza dell’insegnamento, a una formazione autentica che proponga e sostenga valori prettamente umani quali il rispetto, la dignità, l’accoglienza della diversità, soprattutto per le giovani generazioni.
Proprio lei del resto, scegliendo una professione come l’insegnamento, ha trovato un terreno ideale che le ha permesso di favorire la promozione umana dei giovani e delle giovani, di porgere valori come la tolleranza religiosa contro ogni inutile fanatismo, di portare e diffondere il valore dell’integrazione, l’apertura alle esperienze di scambio e conoscenza nella società globale e complessa. Dunque il messaggio che si scorge in molti suoi testi è quello dell’incessante necessità di trasformare atteggiamenti e affermare ancora una volta il rispetto dei diritti dei popoli a esprimere liberamente la propria identità e a fare in modo che la diversità sia riconosciuta, non come difficoltà che origina steccati e diffidenza reciproca, bensì come risorsa da considerare preziosa per la crescita di una società globale più equa ed equilibrata. Di questi valori, attenzioni, suggestioni è ricchissimo il testo Mi chiamo Said.

Pubblicato in Francia nel 2003 e tradotto in italiano nel 2008, ma anche in altre lingue, ha trovato un bel riscontro in Italia, dove l’autrice ha incontrato spesso scolaresche di adolescenti, magari con una forte presenza di immigrati per parlare proprio di queste problematiche con i giovani. È un testo che racconta la voglia di cambiare, la voglia di riscatto, su cui un bambino diventato adolescente, vorrà provare a scommettere, superando gravi difficoltà e lacerazioni intime. Dentro il testo c’è tutto il disagio di intere generazioni di famiglie emigrate in Francia e mai veramente accettate e integrate. Nella storia, la voce è quella di Said, undicenne nato in Francia da genitori algerini, dietro il quale spesso rintracciamo la visione dell’autrice, una donna integrata di professione docente e che proprio per questo ha avuto modo di conoscere da vicino numerose situazioni difficili. Quelle che spesso ha incontrato l’autrice sono infatti giovani generazioni che si trovano nella situazione contraddittoria di volersi integrare in una società a volte sospettosa e guardinga nei loro confronti, ma che non vogliono alterare o camuffare la propria identità di appartenenza.
I luoghi che abitano la storia sono ambienti che l’autrice ha avuto modo di conoscere da vicino, quartieri violenti dove l’ignoranza, la povertà favorisce la prepotenza e l’affermazione giocata sulla forza, sul disprezzo dei deboli o comunque di chi non parla il linguaggio della prevaricazione. Il contesto è quello delle periferie degradate e sporche, dove i veri francesi, magari illuminati e progressisti si guardano bene dal frequentare, dove le istituzioni si sono limitate a contenere e controllare migliaia di persone, ma mai seriamente aiutarle a raggiungere una vera e propria integrazione.
Eppure in questo contesto difficile è possibile trovare un ragazzino come Said, diligente, volenteroso, amato dai suoi insegnanti che lo hanno incoraggiato a studiare, a diventare un modello per tutti gli altri, a essere un bravo studente. La sua è una famiglia come tante altre: vive con i suoi genitori, la sorella Samira di 17 anni, il fratello maggiore, Abdelkrim, di 14 anni e il fratellino minore Mounir.
Tuttavia le cose in questa famiglia povera, ma serena, saranno destinate a cambiare quando Said entrerà in una fase diversa della sua vita, l’adolescenza e l’entrata alle scuole medie, dove ben presto avrà a che fare con la durezza di un ambiente difficile, dove è necessario sapersi difendere da prepotenze e angherie provenienti da ragazzi più grandi che lui conosce bene, addirittura suoi parenti stretti e tanto altro ancora. Queste profonde trasformazioni e le sensazioni dolorose che le accompagnano saranno narrate dal ragazzino in una sorta di diario segreto alla sua amata maestra delle elementari:
«Ci sono i branchi, bande di bulli che non hanno paura di nessuno, non abbassano lo sguardo quando gli adulti parlano loro, non sono né buoni né giusti. L’unica possibilità di sopravvivere per i ragazzi di prima è evitarli, sperando di non essere presi di mira.»
Ma anche nella sua famiglia le cose cominceranno a guastarsi.
Suo fratello Abdelkrim pende dalle labbra di suo cugino, una sorta di capobanda violento e rispettato da tutti, di cui inizia a imitare i modi ribelli e prevaricatori anche nei rispetti di suo padre, che giudica un poveraccio, uno che non si fa rispettare. Così suo fratello finirà con il prendersela anche con sua sorella Samira, usando violenza contro di lei, colpevole di uscire con un ragazzo francese e dunque da odiare, da considerare un nemico. I problemi si moltiplicheranno e Said, quel ragazzino che amava studiare, sensibile alla bellezza dell’arte e della cultura, si trova inguaiato in una storia di spaccio di sostanze stupefacenti. Tutto sembra volgere al peggio per il ragazzo, ma inaspettatamente qualcuno vorrà e riuscirà ad aiutarlo, riconoscendo in lui un’autentica voglia di comprendere, ma al tempo stesso di trasformare un mondo pieno di ingiustizie e soprusi, a cui lui sente di non appartenere.
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Articolo di Maria Grazia Anatra

Docente in pensione si occupa da anni di politiche di genere. Presidente dell’Associazione Woman to be, ha ideato iniziative differenziate di sostegno all’imprenditoria femminile, alla formazione e all’orientamento di genere. Da anni si occupa di Letteratura per ragazzi e dal 2012 ha dato vita al Premio di Letteratura per l’infanzia NARRARE LA PARITÀ https://narrarelaparitasite.wordpress.com/ oltre a scrivere esti narrativi per bambini/e.