Le dimissioni di due ministre, Teresa Bellanova ed Elena Bonetti, le ha trasformate in bersagli da distruggere, complici i potentissimi social network, proprio da parte di quelle che apparirebbero loro naturali alleate: le donne.
A fare da detonatore è stata una lettera aperta della filosofa femminista Luisa Muraro e la conseguente intervista alla stessa su “Il Fatto Quotidiano” nella quale, cito dall’editoriale del numero 93 di “Vitamine vaganti” «richiamandosi al femminismo inteso come “ricerca femminile della libertà”, la studiosa rammentava alle due ministre il proprio ruolo e la propria autonomia, in nome della Costituzione, del “bene comune” e delle scelte opportune per il Paese».
Bene, a me, al di là delle intenzioni dell’autrice, questo sembra un atteggiamento patriarcale e maschilista, perché implica il presupposto che le donne siano esseri inconsapevoli, a cui dunque bisogna ricordare “il proprio ruolo e la propria autonomia”. Esseri fragili e deboli, che dunque non possono per loro natura avere coscienza del “bene comune” e delle “scelte opportune per il Paese”, persone prive di capacità di decisione autonoma e quindi per natura soggette alle decisioni di un maschio, nel caso di specie il capo del partito a cui appartengono. E questo nonostante che le due ministre avessero spiegato in tutti i modi e in varie forme, con post sugli stessi social media, con video e con dichiarazioni alla stampa, le loro posizioni, motivandole con l’impossibilità di portare avanti il lavoro fin qui svolto di cui peraltro si dichiaravano orgogliose.
Ora, è ben vero — e forse il femminismo non ha ancora adeguatamente scandagliato questo aspetto — che il maschilismo abita le donne sia pure in modo inconscio. Non c’è nulla di scandaloso in ciò, siamo allevate e istruite secondo i canoni di una società maschilista, e se anche non è nuova questa riflessione, perché in realtà data dagli anni Settanta, non è probabilmente mai seguito alla riflessione un lavoro profondo di presa di coscienza generalizzata. A questo proposito invito tutte le donne, e me stessa in primis, a prestare attenzione ai propri gesti, parole e comportamenti quotidiani: vi sorprenderete di quanto spesso abbiano una complicità se non un’aderenza con gesti, parole e comportamenti propri del maschilismo più becero, indipendentemente dalle nostre convinzioni e dalle nostre intenzioni.
Quindi potrebbe essere che anche Teresa Bellanova ed Elena Bonetti non siano immuni da questo tarlo. Ma perché attribuire loro qualcosa indipendentemente dal fatto che i loro comportamenti e le loro parole dicessero il contrario? Dicessero che di quel gesto, le dimissioni, erano pienamente consapevoli e con esso del tutto concordi?
La spiegazione potrebbe annidarsi nel rapporto conflittuale che le donne da sempre hanno con il potere.
Sono andata a ripescare un testo edito da La Tartaruga nel 1987, che sicuramente Luisa Muraro conosce molto bene essendo tra le autrici: Diotima. Il pensiero della differenza sessuale.Contiene contributi di diverse studiose, tra cui uno di Giannina Longobardi che si intitola proprio Donne e potere.
Scrive Longobardi: «La diffidenza delle donne nei confronti dei rapporti di potere ha delle profonde radici storiche: il potere che esse hanno conosciuto è sempre stato un potere che le sottometteva negandole: è stato il potere maschile dei padri, dei compagni, dei figli, dei padroni o dei capi…».
La critica di Muraro dunque muove da questa diffidenza ancestrale?
Può essere, non è infatti la prima volta che vediamo politiche prese di mira senza altra motivazione plausibile se non quella di essere donne che hanno conquistato un posto di comando.
Ma dunque che cosa vogliamo? Tornare al separatismo? Per fare che? Con quale obiettivo?
Scriveva sempre Giannina Longobardi nel testo sopra citato: «Se lo scopo che il movimento politico si dà è quello dell’esistenza femminile nel sociale attraverso una produzione simbolica, la forma adeguata non è più quella del gruppo separato costruito su basi egualitarie. La produttività, lo scambio simbolico, la contrattualità che debbono instaurarsi nei rapporti tra donne richiedono il riconoscimento e la valorizzazione della disparità. Il desiderio femminile, che rimane bloccato e reticente nel gruppo fusionale basato sull’identificazione reciproca, si libera e si esprime solo in una dimensione che permetta di giocare al positivo le differenziazioni e di attribuire ad esse valore in relazione alla realizzazione di un comune progetto».
Il riconoscimento e la valorizzazione confliggono con i cannoneggiamenti furiosi e i pregiudizi. Dovremmo evitare di ritenere a priori che le donne non possano avere un pensiero autonomo, che ci piaccia o no, e in quanto donne debbano per forza aver obbedito al capo, perché anche questo è maschilismo!
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Articolo di Annamaria Vicini

Giornalista pubblicista con laurea in Filosofia e master in Comunicazione, ha collaborato con alcune delle maggiori testate nazionali. Dirige un sito internet e delle news di Mall Tivì, cura un blog di successo e ha fondato l’associazione CoderMerate, che promuove l’insegnamento del coding e della robotica educativa a bambini e adolescenti. Ha pubblicato il romanzo Non fare il male, e l’eBook Abbracciare il nuovo mondo. Le startup cooperative.
Mi ha fatto male dover riconoscere che una donna che ha alle spalle una storia come quella di Teresa Bellanova ha permesso a un ragazzotto arrogante di parlare al suo posto, minacciando di ritirare le “sue” ministre, e infine facendolo. Non voglio commentare questa azione, di vero e proprio terrorismo politico, nel mezzo di una pandemia, ma solo dispiacermi, e tanto, per le ministre “dimesse” in tutti i sensi.
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Mi dispiace che l’odio per Renzi (“un ragazzotto arrogante”) offuschi il giudizio nei confronti delle ministre Bellanova e Bonetti. Il “linciaggio” messo in atto sui social network verso le due politiche è purtroppo frequente nei confronti di donne che riescono a conquistare, per meriti propri, posti di comando. Come ho scritto nel mio articolo penso che il genere femminile abbia un problema molto grande con il potere e forse di questo sarebbe interessante discutere. Naturalmente sia l’articolo che la mia risposta al commento rispecchiano solo ed esclusivamente il mio pensiero, non quello di Toponomastica Femminile né della sua testata Vitamine vaganti.
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Cara Annamaria Vicini,
considero utile per noi donne tornare a riflettere sul dibattito che si è sviluppato intorno alle ministre Teresa Bellanova e Elena Bonetti perché lì sono avvenute alcune cose importanti. Vorrei metterne in luce alcune partendo dalla risposta che le due ministre hanno dato all’invito di Luisa Muraro. Erano piccate certamente e non lo hanno nascosto, ma erano anche consapevoli dell’autorità che Luisa Muraro si è conquistata in questi anni, fra le donne e non solo, per cui hanno risposto, difendendo la loro posizione.
“Perché le donne, alla prova degli eventi e dei fatti, sono obbligate a dare ragione della loro autonomia di giudizio rispetto agli uomini mentre agli uomini mai, neppure dalle donne, questo è richiesto?” hanno detto.
Un po’ scherzando e un po’ seriamente direi che noi donne non chiediamo ormai da tanto agli uomini di dare ragione della loro autonomia ma del loro giudizio sì!
E con scoramento registriamo quanto poco ce ne sia, soprattutto man mano che ci si avvicina alla sfera del potere.
à vero noi donne siamo diffidenti nei confronti del potere. E di che ti stupisci, cara? c’è un lungo cammino che ci ha fatto riconoscere il carattere patriarcale del potere e le sue insidie, prima fra tutte quelle di offrire integrazione a patto che si ci si renda assimilabili. Il che è una trappola per tutti anche per gli uomini ma lo è ancora di più per le donne perché rende indicibile la loro differenza.
Alla caratteristica di cooptazione del potere la cultura populista ne ha aggiunte altre. C’è un’ampia letteratura che ha sottolineato il godimento che gli uomini ricavano dal potere. Godimento che non ha niente a che fare con il piacere di vivere, sottolinea Ida Dominijanni. Per difendere quel potere sono pronti a sostituire la realtà con una immagine menzognera in cui possono chiudersi a corte con i loro seguaci immaginandosi nel ruolo che più gli aggrada. Il loro potere si regge su e tiene in piedi un regime di finzione. Da ciò l’ampio uso della propaganda e dei social.
Per scardinarlo ci vuole una grossa capacità di autocoscienza maschile e femminile.
Di autocoscienza le donne si sono dimostrate capaci, l’hanno messa a fondamento della loro politica, ma gli uomini lo saranno?
Più uomini di quanto si creda ci danno speranza, ma certo aumenteranno solo se noi donne non molleremo la presa rispetto a ciò che abbiamo capito. E se, fra noi, sapremo “chiederci reciprocamente conto”, non vedendo in questo una limitazione della nostra libertà , ma un nutrimento perché quello che vede un’altra donna mi aiuta a vedere di più, che io sia o non sia d’accordo.
L’abbiamo chiamata politica di relazione.
Quindi fra L Muraro e le due ministre c’è stata politica di relazione: niente su cui piangere o da rimproverare.
Cosa fare allora rispetto al Potere? tu chiedi.
Luisa Muraro a me ha risposto, oltre che con i libri, con la sua vita: ha fondato Diotima, la comunità di filosofe i cui libri rimangono a testimoniare e generare cultura, ha fondato la libreria delle donne di Milano che è punto di riferimento per il femminismo internazionale, ha dato inizio all’avventura dell’autoriforma dell’università e della scuola, è punto di riferimento per i suoi studi sulla mistica. Mi ha mostrato cioè quante cose possiamo fare, quanta possibilità di cambiare lo stato di cose esistente abbiamo, anche senza inseguire il potere. Mi ha mostrato che si può conquistare così una grande autorità . E le due cose sono profondamente differenti.
In una riunione di insegnanti dell’autoriforma Vita Cosentino, una insegnante protagonista di quel movimento, registrando la stretta connessione che il lavoro d’insegnamento ha con il potere, coniò l’espressione :”il massimo d’autorità col minimo di potere”.
Capire la differenza fra queste due posture a me, che ero insegnante, è stato di grande aiuto.
In un’altra occasione sentii Luisa Muraro formulare l’auspicio di stare quanto più possibile vicino al potere senza lasciarsi contaminare dalle sue logiche. à possibile?
Oggi in un momento in cui il desiderio femminile può portare una donna dappertutto,
è utile ricordare questo avvertimento.
Io credo che riaprire questo interrogativo sia un atto di fiducia e la prova che le donne stanno contribuendo a costruire -insieme, il che non vuol dire ammucchiate, ma tenendo conto le une delle altre- un’altra civiltà .
à la civiltà in cui la madre sa cosa vuole lasciare alla propria figlia.
Foggia 27/1/2021
Antonietta Lelario
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Cara Antonietta, ti ringrazio davvero molto per il tuo commento pacato e articolato. Purtroppo la maggior parte dei commenti su Facebook non lo sono stati altrettanto (pacati fortunatamente si, ma nessuno entrava veramente nel merito dei problemi posti) il che mi fa pensare che davvero ci sia bisogno di un dibattito ampio su queste tematiche. Sicuramente il rapporto delle donne con il potere è difficoltoso per ragioni storiche, ma credo anche che oggi lo sia soprattutto perché il genere femminile non pratica abbastanza “l’affidamento” tra donne, mentre spesso si scatenano l’odio e l’invidia verso quelle che pur tra mille difficoltà cercano di portare un punto di vista e una pratica femminile (se non femminista) nell’esercizio delle proprie funzioni. Nel mio piccolo, essendo stata candidata a livello locale, l’ho sperimentato in prima persona ed è stato un percorso dolorosissimo al punto da farmi decidere di lasciare la politica attiva. Sono convinta però che oggi più che mai l’apporto alla vita pubblica da parte delle donne sia necessario e non più rinviabile, in Europa abbiamo esempi che possono esserci di stimolo.
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