Carissime lettrici e carissimi lettori, oggi per tutte e tutti noi è festa! Celebriamo insieme con gioia il numero 100 della nostra rivista!
Come ogni festa che si rispetti abbiamo preparato una torta che fa da orgoglioso cappello a questo editoriale di oggi e segna le 100 settimane di Vitamine vaganti. L’abbiamo cresciuta insieme questa rivista. Ovviamente non ci sarebbe stata senza il vostro interesse, senza la vostra partecipazione di lettori e lettrici attente, ma anche di collaborazione attiva con i vostri articoli, che ci sono arrivati sempre più numerosi, belli e interessanti.
Ci avviamo anche, con l’entusiasmo di sempre, al secondo compleanno di Vitamine vaganti, che festeggeremo il 16 marzo prossimo, quando tutte e tutti insieme soffieremo le due candeline sulla torta, simbolo grafico ben augurante di festa in Toponomastica femminile. Siamo orgogliosi e orgogliose di essere state, fin dal primo numero, una rivista a tutti gli effetti, registrata al Tribunale di Roma e capace di offrire, oltre alla qualità degli scritti pubblicati, che non possiamo e non sta a noi della redazione giudicare, anche tante opportunità ed esperienze diverse, soprattutto rivolte ai e alle giovani. Tra queste anche l’iscrizione all’elenco delle e dei pubblicisti, che potrebbe portare, per ciascuno e ciascuna di queste/i giovani, al passo successivo della scelta professionale.
Non piacendomi la parola palestra in questa accezione, per una brutta reminiscenza politica che vi percepisco, penso che la rivista, oggi al suo centesimo sabato, sia stata e continui a essere, soprattutto per i e le più giovani, una fucina di esperienze culturali e tecniche. Culturali per lo stimolo degli articoli di vasto raggio di interesse, per la felice soluzione nata, con il mensile Vitamine per leggere, di sentir parlare di loro e dell’ambiente che vivono ogni giorno nella scuola, con temi di scottante attualità, primi fra tutti il fenomeno del bullismo o il non sempre facile rapporto con i/le coetanee. Preziosa, sempre nel supplemento appena citato, l’offerta alle idee di scrittura da parte dei ragazzi e delle ragazze.
Ma al di là della gioia per il successo avuto con la nostra rivista, i tempi che stiamo vivendo non sono certo dei migliori. Si è aperta una pericolosa, sconcertante e non necessaria, crisi di governo, che si è trasformata in una crisi della politica. Il momento storico, come si è detto, non ci permette di affrontarla nel migliore dei modi per l’emergenza sociale e sanitaria, che dovevano premettere altre attenzioni. Il mandato esplorativo, dopo le dimissioni del presidente del Consiglio Giuseppe Conte nelle mani del Capo dello Stato, è fallito. Ora la parola è passata a un cosiddetto tecnico, un uomo o una donna (ma in Italia sembra che non si riesca a creare una figura carismatica femminile che ci allontani dal clima patriarcale imperante, soprattutto in politica) che sostenga il Paese in un momento di difficoltà, spesso portandolo alle elezioni per un ritorno politico.
Sinceramente sono concorde con il pensiero del professor Marco Revelli, politologo, storico e accademico dell’università di Torino, che ha detto in un’intervista televisiva, il giorno dopo l’incarico di Mattarella a Mario Draghi: «La giornata di martedì (il 2 febbraio, quando il presidente della Camera Roberto Fico ha dichiarato fallita la sua indagine per un possibile nuovo Governo, ndr) è stata una giornata nera per l’Italia, una giornata che ha segnato tristemente la data della sconfitta della politica. Draghi, il presidente incaricato, è un grande uomo — ha osservato ancora lo storico torinese — ma è un uomo di banca. Per questo penso — ha aggiunto — che la politica sia stata commissariata. Non è certo una bella notizia per le/i cittadini di questo Paese».
La politica, la sua sconfitta nel senso più alto del termine, di governo della polis, che poi si modernizza in quello della res publica, con la democrazia che dà voce a chi ne partecipa, purtroppo non è l’unico grande male di questi momenti, che viviamo donatori per ora di dubbi. Ci pesa il pericolo del virus, che ormai da un anno padroneggia e uccide, siamo paralizzati/e — e sospettosi/e — da possibili assembramenti umani che potrebbero portare (e in effetti portano) a nuovi pericolosi contagi, che innescano a loro volta una catena interminabile. Siamo impaurite/i da nuove versioni dello stesso virus, forse più letali del primo, partito un anno fa da Wuhan o da chissà dove. Ci portano conforto il vaccino, o meglio i vaccini, creati in tempi da record, ma non sappiamo con certezza i tempi di arrivo del nostro turno di somministrazione, oltre tutto il resto (sicurezza, richiami, quantità disponibili).
Ma ci sono anche i problemi, pesanti come un macigno, di sempre, non meno importanti, in pericolo di essere come ovvi, declassati alla routine assurda del quotidiano.
Un grande giornale italiano ha avviato in questi giorni una campagna che è insieme un osservatorio sulla violenza contro le donne e sul femminicidio, termine che la società, i mezzi di informazione stessi e persino il computer con il quale sto scrivendo (che me lo segna in rosso come parola non esistente o scritta male!) tende ad accettare con fatica. Gli articoli di avvio di questo progetto sono, a dir poco, raccapriccianti, partendo da tre uccisioni di donne per mano maschile, in una manciata di giorni, tempo che non riempie neppure lo spazio di una settimana. Questa volta sotto la mannaia del compagno o ex compagno di vita sono cadute tre donne tra cui una ragazzina uccisa senza remore da un altro ragazzino mal-educato ai rapporti sentimentali, sembra, secondo le cronache, dopo il delitto accompagnato in questura dal padre, figura maschile di riferimento, non per il desiderio di espiare la colpa, l’indicibile delitto, ma per ottenere egoisticamente una pena meno pesante. Un messaggio educativo sconvolgente dato a un ragazzo di meno di venti anni.
Michela Murgia in un’analisi lucida ha spiegato alla radice il significato del termine femminicidio, affermando: «Il femminicidio prende avvio da prima che accada. Si inizia dalla mortificazione delle donne, che è precedente alla morte. Quando lo Stato si comincia a occupare del colpevole o dello stalker, la donna è ormai già diventata una vittima. Dobbiamo intervenire prima. La ragione della resistenza di forze politiche e mezzi di informazione a usare una parola apposita — sottolinea — era comprensibile. Accettare di nominare diversamente il fenomeno significava doversene occupare con leggi e linguaggi specifici che andassero alla radice culturale del problema». Poi continua: «In quest’ottica è definibile femminicidio anche la morte professionale delle donne attraverso la negazione della parità di salario e di prospettive di crescita. È femminicidio l’assenza di una prospettiva di genere nelle pratiche mediche, che fa sì che le donne muoiano di più per mancanza di protocolli mirati per il loro corpo, per pregiudizi che portano a sottovalutare il loro dolore o per la mancata informazione sui loro specifici sintomi. È femminicidio la quantità di rinunce lavorative legate alla gravidanza e alla nascita dei figli e in questo senso appare femminicida anche uno Stato che non agisce per la rimozione degli ostacoli alla piena realizzazione delle donne — come costituzionalmente stabilito — ma fa campagne colpevolizzanti sulla pelle di quelle che, di fronte agli ostacoli socio-economici, scelgono di non generare o di farlo dopo aver raggiunto una sempre più tardiva stabilità lavorativa, femminicida anche il giudizio estetico e morale sui corpi e sulle scelte delle donne, che condiziona la qualità della vita di tutte noi, ma soprattutto le più giovani e fragili. Il femminicidio, prima e più di una morte, è un processo di negazione e controllo. «Ti ammazzo» è la sua conclusione e diventa qualcosa di più di una minaccia solo quando tutte le altre parole e azioni sono già state agite» (La Repubblica 25 gennaio 2021).
Mentre scriviamo dagli Usa arriva una notizia che per me sembra molto buona. Confesso di non avere un’ammirazione personale (dunque limitata ai miei gusti) per la musica di Rihanna, la popstar afroamericana che da tempo va per la maggiore tra le e i giovanissimi, ma sono felicissima del coraggio dimostrato nel dar voce (con un tweet) alla protesta di contadini e contadine indiane che stanno combattendo il Governo conservatore dell’India contro leggi che, secondo loro, danno man forte allo strapotere delle multinazionali: «Perché non stiamo parlando di questo?», ha commentato Riri in riferimento a un articolo della Cnn sui violenti scontri durante le manifestazioni delle/degli agricoltori, a seguito della riforma agraria. Il governo indiano è prontamente intervenuto criticando aspramente la cantante e accusandola di aver voluto creare un inutile sensazionalismo e di essersi intromessa nelle decisioni di un governo straniero. Ma al tweet di Rihanna, che ha oltre 100 milioni di follower, sono seguiti a catena quelli di altri personaggi famosi come quello dell’attivista Greta Thunberg (Solidarietà alle proteste dei contadini in India) e quello della nipote della vicepresidente Usa Kamala Harris, Meena. Ci sembra un bel modo di porsi (la cantante tempo fa fu vittima di violenza da parte del suo compagno) al proprio pubblico da parte di una cosiddetta Vip: allora ci piace che siano Vere Persone Importanti agli occhi dei nostri figli e figlie.
Torniamo alla festa. Ritroviamo la bellezza e la commozione che non sono scisse da ciò che fin qui abbiamo scritto perché il cosiddetto brutto o male del mondo che ci circonda si trasforma attraverso l’educazione e la ri-educazione estetica (di questo si tratta in senso ampio), un’altra ottica nel modo di vedere, di vivere il mondo e l’intero vivente. Compie novanta anni Luci della città, il film più importante di Charlie Chaplin, la cui Prima fu proiettata a Los Angeles (al Los Angeles Theatre) il 30 gennaio 1931. In sala, gremita e piena dell’emozione di tutti e tutte, c’era anche Albert Einstein (che sembra abbia anche pianto) con la moglie, grande fisica anche lei, seppure poco nota e rimasta nell’ombra. Il film fu deciso come muto, come i precedenti del grande regista, anche se il sonoro si era già affermato. Fu girato da Chaplin in tre anni con quasi 400 ciak e filmando migliaia di scene fino ad arrivare a centomila metri di pellicola ridotti poi, nella versione finale, a due chilometri e mezzo. Un film in cui la commozione e il divertimento si fondono e si sovrappongono, rendendo la tenera storia del vagabondo e della fioraia cieca un gioiello accessibile a tutte e tutti gli spettatori/spettatrici e donando poesia incommensurabile.
Andiamo a vedere gli articoli di oggi, di questo numero cento, primo a tre cifre della nostra rivista. Questa settimana è Charley Toorop, pittrice e litografa olandese, la figura femminile di alto profilo europeo rappresentata in Calendaria 2021. Il corpo femminile, visto nel suo aspetto più ripetutamente “normalizzato”, oggetto riproduttivo e passivo della sessualità e del piacere maschile, fa parte della serie Corpi e ci fa riflettere soprattutto alla luce della cronaca odierna in cui trionfa ancora lo squallore, permettetemelo di dirlo, una visione estremamente patriarcale del ruolo femminile.
La commozione, l’arte e la tragedia, ci portano alla musica delle orchestre nate nei campi di sterminio, che contavano cinque gruppi maschili e uno femminile. Dopo questo articolo la tragedia della Shoah ritorna in un altro articolo con la speranza che mai e poi mai si debba dimenticare. La forza delle donne la troviamo anche nelle pescatrici siciliane delle isole Eolie. Mentre ci riporta alla realtà odierna, immersi/e nella solitudine data dal virus, il bellissimo articolo sulla disabilità dei rapporti sociali, dove ho trovato questa interessante citazione di Zygmund Bauman, sociologo polacco, le cui parole dovrebbero farci riflettere: «Con la crisi del concetto di comunità emerge un individualismo sfrenato, dove nessuno è più compagno di strada ma antagonista di ciascuno, da cui guardarsi. Questo soggettivismo va di pari passo con il consumismo. Esso, però, non mira al possesso di oggetti ma di affetti, passando da uno all’altro, in una sorta di bulimia senza scopo».
La terza sceneggiatura di Teatro Filosofico, ideata da un’insegnante del Liceo delle scienze umane di Lodi, è dedicata a Simone Weil. Il Nasdaq, acronimo di “National association of securities dealers automated quotations” è spiegato splendidamente, e con una chiarezza capace di arrivare a chiunque, in un articolo sull’economia basata sul denaro considerato fine a sé stesso, con tutti i pericoli che sottende, allontanato dai veri bisogni degli uomini e delle donne. Sono racconti quelli che troviamo nel libro di esordio, Acquadolce, della nigeriana Akwaeke Emezi. Continuano le storie di fantascienza al femminile di cui leggiamo qui un’altra bella puntata. Celebriamo anche i 100 anni dalla nascita di Lara Turner, attrice del cinema statunitense, mentre è Grazia Deledda la protagonista dell’Incontro impossibile di oggi. La ricetta pugliese del famoso panzerotto ci lascia in un sospeso di paesaggi e ricordi sensoriali.
La bellezza dei versi della poeta e attivista Amelia Rosselli ci fa ritornare alla meraviglia dell’arte. Con lei, amatissima, e con questa sua poesia chiudo il centesimo editoriale, scambiando di nuovo con voi gli auguri iniziali.
«Se non è noia è amore. L’intero mondo carpiva da me i suoi
sensi cari. Se per la notte che mi porta il tuo oblio
io dimentico di frenarmi, se per le tue evanescenti braccia
io cerco un’altra foresta, un parco, o una avventura: —
se per le strade che conducono al paradiso io perdo la
tua bellezza: se per i canili ed i vescovadi del prato
della grande città io cerco la tua ombra: — se per tutto
questo io cerco ancora e ancora: — non è per la tua fierezza,
non è per la mia povertà: — è per il tuo sorriso obliquo
è per la tua maniera di amare. Entro della grande città
cadevano oblique ancora e ancora le maniere di amare
le delusioni amare».
Ancora auguri e buona lettura a tutte e a tutti.
Buona lettura a tutte e a tutti.
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Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpreti; Siamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.